parte 1: come ghiaccio nel deserto.

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APRILE 1997.

Non mi piacevano le persone troppo sognatrici, io, noi, eravamo cresciuti in un luogo dove anche sognare costava caro.

Seduti sul divano, io e te, ci scambiavamo sguardi d'odio, che col tempo, imparammo ad amare. Jack contava i soldi sul tavolino, e ci guardava, come fossimo creature mistiche.

"E anche Andrew è andato via." Tu ti limitasti a scrollare le spalle, io sorrisi, forse ero sadica, o forse non sapevo cosa fossero le emozioni, a quel tempo non sapevo nemmeno se m'importasse di te, sapevo solo che il ragazzetto della mia stessa età, appena arrivato nel giro, con ritardo rispetto ai suoi fratelli, ma -a detta degli altri- con i giri che erano tra i più importanti, m'intrigava. Ero io la migliore, finchè non arrivasti tu, dicevano che eri al mio livello, per me non era vero, restavo io la migliore, che in 19 anni ero stata piegata poche volte dalle emozioni, la gente mi dava dell'invidiosa quando lo ribadivo, ma loro non sanno cosa fosse per noi la cenere. Se fossi stato al mio livello, probabilmente, non saresti diventato cenere, ma non lo eri, tra i due, eri tu quello debole.

"Era già stato previsto; sperare che non finisse così sarebbe stato da stupidi. È come portare un cubetto di ghiaccio in mezzo al deserto, sai che si scioglierà, non sai quando, ma accadrà presto, non puoi rimediare, e ti devi lasciare andare davanti all'inevitabile." Affermasti tu, io sbuffai una risata e scossi la testa. Per me eri uno stupido. Un australiano non verrebbe mai e poi mai a Cuba.

"Che pensieri profondi, Hemmings." Ti beffeggiai.

"Almeno io ho un'anima, davanti alla bara sarò impassibile, ma non riderò perché le considero minchiate, Blanco." Mi risposi.

"Luke, Evanjelin, sapete che non voglio ascoltare le vostre cazzate, soprattutto mentre lavoro, o tacete o uscite." Ci rimproverò Jack, seguito a ruota da Ben, che era appena entrato e ci rivolse un'occhiata di intesa. Ci zittimmo e tornammo ai nostri sguardi, più la gente ci guardava, più pensava che staremmo stati bene insieme, io ridevo, tu te ne fregavi, ma poi ci fregammo a vicenda, perché nei tuoi schifosissimi occhi, corrosi quanto i miei, mi ci persi. Lì sentii per la prima volta una vera emozione, capii cosa si provasse a sentirsi pieni.

Non avevamo bisogno di parole, ci bastava guardarci. Ma in fondo, noi, non ci guardavamo, ci vedevamo; non ci sentivamo, ci ascoltavamo; non ci toccavamo, ci facevamo; noi, in fondo, non ci amavamo, eravamo solo persi.

Mi guardavi come guardavi la cosa che ti ha portato via, ti guardavo come guardo ora ciò che resta di te, non c'era modo per paragonarmi a qualcosa, io, non guardavo nulla e nessuno così.

Sei riuscito ad essere il mio "nonostante tutto". Nonostante il mio carattere di merda, nonostante ti urlassi contro, nonostante fossero più i litigi del tempo passato ad amarci. Perché nonostante tutto, per quanto provassimo ad amarci, ci odiavamo, ma ci adattammo, infondo, l'odio sa essere più forte dell'amore.

Ti guardavo e pensavo che fossi un po' perso, mi guardavi e pensavi che fossi un'acida del cazzo, priva di sentimenti. Il problema si presentò quando ci rendemmo conto che non stavamo sbagliando. Tu eri perso, io avevo un carattere di merda.

Sorridevi beffardamente ogni volta che parlavi con me, prima che tutto iniziasse, o forse finisse; ricambiavo i tuoi sorrisi con sguardi meno vuoti. Noi comunicavamo così, con i gesti, ché le parole non ci piacevano. Che poi mi dissi che mi avresti portato a guardare le stelle, non lo hai mai fatto, non che ci tenessi, ma le promesse, per me, non andavano infrante; non che ci tenessi, ormai, non tenevo più a nulla.

Quando ci fu il funerale, io, feci come avevi programmato tu, risi beffardamente davanti alla bara, poi, lo feci anche davanti alla lapide. Tu avevi ragione, io non credevo a quelle minchiate, non credevo che un corpo avesse bisogno di un rito funebre, della gente intorno, dell'ipocrisia di chi non ti conosce ma dice ch'eri un bravo ragazzo. Avevo fatto una pazzia quel giorno, mi ero alzata durante la lettura di Jack, che era il suo migliore amico, ti avevo guardato e c'eravamo scambiati un sorriso, mi ero avvicinata al microfono, mentre tu osservavi ogni mio movimento, lo avevo sottratto a Jack e avevo guardato tutti.

Poi, avevo iniziato a parlare.

"Smettetela di dire minchiate." Ero esplosa. "Lui era una persona di merda, esattamente come tutti noi, era più la roba che prendeva che quella che vendeva, non andava in chiesa, non credeva in dio, bestemmiava più di quanto non lo faccia io, era sempre fuori di notte, non rispettava i suoi genitori e odiava tutti, faceva schifo, esattamente come noi." Poi ero andata via, percorrendo la navata della chiesa, nel silenzio più assoluto, mentre tutti mi fissavano. Tu sorridevi, e anche se non potevo voltarmi per guardarti, ne avevo la certezza.

Eri uscito qualche minuto dopo di me, e mentre stavo seduta sul sagrato della chiesa a fumare una sigaretta, tu, mi fissavi. Sentivo i tuoi occhi pieni di merda più grossa di te, bruciarmi addosso; fosse stata qualsiasi altra persona avrei iniziato ad incazzarmi, odiavo essere fissata, ma quando lo facevi tu, per quanto la mia mente si ribellasse, sapevo che in fondo mi sentivo più forte. Tu non ti limitavi a fissarmi, mi scrutavi, mi osservavi, vedevi.

Ti eri seduto accanto a me e mi avevi preso una sigaretta senza chiedere nulla, le altre persone non lo facevano, anche solo chiedendo si beccavano una di quelle occhiatacce che avrebbero fatto raffreddare l'inferno, ma a te non importava, eri come me, ciò che volevi, dovevi ottenerlo, che fosse una sigaretta o quella merda che ti ha portato via da me; forse può sembrare stupido, ma fu lì che mi resi conto di una cosa: tu, mi piacevi; mi piaceva il tuo modo di fare, il tuo modo di porti, il tuo essere strano, mi piacevi e basta.

Quando ci conoscemmo non mi strinsi la mano, bastò un cenno, non mi trattavi come gli altri, tu non avevi paura di me, condividevi il mio mondo, quello in cui stai nel tuo e non rompi il cazzo, tu mi tenevi testa e ridevi, e io lo facevo con te.

Non ti ho mai chiesto di esserci, ma sapevi quanto ne avessi bisogno, mentre seduti a quel tavolino, guardavamo la roba con sguardo sognante, le mani tremanti per la consapevolezza di non poterla toccare prima di essere divisa, e con il nervosismo per dover aspettare, non avevamo pazienza, volevamo tutto subito, eravamo giovani che non sapevano trattenersi, eravamo ingenui e ci credevamo invincibili, eravamo degli arroganti e saccenti del cazzo che conoscevano solo la vita di strada, sboccati del cazzo che non riuscivamo nemmeno a mettere su una frase senza una parolaccia, ma a noi, non serviva, eravamo destinati a questa vita di eccessi che ci avrebbero portato via prima del tempo.

La prima volta che tirai di coca fu per il mio sedicesimo compleanno, insieme a Michael, il mio migliore amico, mi sentii in un mondo tutto mio, e la botta adrenalinica era assurdamente piacevole, sentivo di poter spaccare il mondo, in fondo, era la prima volta; lì decisi che sarei diventata esattamente come lui e come tutti gli altri, ma mi andava bene, finché lui era con me, poi, andò via anche lui, fu l'ultima volta che il mio viso assaporò il gusto delle lacrime, l'ultima volta che permisi alle emozioni di piegarmi, poi, buio.

La prima volta che mi feci d'eroina, fu con te, eravamo solo nello stesso posto, allo stesso momento, con la stessa intenzione. Allora ci sedemmo a terra in quel cazzo di garage che ci ha portato all'inevitabile, quella cazzo di polvere marrone, su quel cucchiaino già tutto ossidato, insieme al limone, che bolliva, poi, tutto il resto venne da sé, il laccio emostatico improvvisato legato al braccio per prendere la vena, che in realtà era un pezzo di gomma, l'ago che entrava nella vena, prima fuori e poi tutto dentro, via la siringa, poi c'eravamo lasciati andare. Per due ore non alzammo un dito e non spiccicammo parola, restammo ognuno nel proprio mondo. Quando ci alzammo ci promettemmo di non farlo più da soli, solo insieme, e da lì, non ci uscimmo interi.

Poi, quando tornammo, ne prendemmo tante, tu da Jack, io da Ben, non c'importò, anche loro erano consapevoli che non avremmo smesso. Per sicurezza ci fecero vendere tutto, tranne l'ero; facevano bene, l'avremmo usata.

"È roba pesa, ragazzi, state attenti." ripeteva Jack, ma come sempre ce ne sbattevamo il cazzo, ma sapevamo quale sarebbe stata la nostra fine.

Ogni tanto ci guardavamo, e scambiandoci sguardi d'intesa, mi guardavi e "dopo questa smettiamo", ma non era una promessa, non lo poteva essere, ci provavamo eh, ma resistevamo otto ore scarse, prima di iniziare a sentire le prime mancanze, ma andava bene così, ci accontentavamo delle merde che eravamo, sarebbe finita comunque così. Ma non te lo perdonerò mai Luke, tu, non dovevi diventare cenere.

Cenere. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora