Parte 8: salvación

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21 Gennaio 1998.

Ti ho guardato, mentre te ne andavi. Ti ho guardato negli occhi, occhi di un morto, occhi rigirati.
Ho guardato le tue labbra blu, la tua pelle grigia, la siringa ancora infilata nell'avambraccio.
Ho letto nel tuo volto la disperazione, il rimorso, la stanchezza.

Forse la felicità non è per tutti, Luke.

Ho sentito una morsa allo stomaco, ho temuto di perdere quell'essere di appena quattro mesi dentro di me.

Mi sono accasciata accanto al tuo corpo freddo, e ho pianto, ho pianto come non avevo mai fatto nella mia vita, ho lasciato che il dolore scivolasse via, insieme al mio amore per te.
Ho urlato, urlato fino allo sfinimento, fino a non avere più forze, con tuo fratello che mi scuoteva per farmi riprendere, stava male anche lui, piangeva, non avevo mai visto uno dei tuoi fratelli piangere.

Poi, dopo quel momento, non ricordo molto, ricordo solo di aver avuto bisogno di stendermi, di chiudere gli occhi, di andare via per qualche tempo.
Non ricordo quanto durò la mia assenza, non ricordo quanto io abbia dormito, non ricordo ciò che ho fatto nell'intervallo di tempo tra il tuo ritrovamento e il tuo funerale, non ricordo dove io sia stata, non ricordo nulla. Quel momento mi ricordò la morte di Michael, avevo trovato io il suo corpo, nelle stesse condizioni, reagendo allo stesso modo.

Però, per il tuo funerale, entrai in chiesa. Avevo scritto io l'omaggio funebre, me l'aveva chiesto Ben, ma non volevo leggerlo, non volevo avere nulla a che fare con quella situazione, io non volevo vederli i funerali.
Mi ero messa nell'ultima fila, in piedi, poggiata ad una delle colonne di quella fredda chiesa, avevo lasciato che la gente mi facesse le condoglianze, senza ringraziare, senza dire nulla, senza avere il coraggio di rispondere, ascoltando chi diceva che i migliori sono sempre i primi ad andarsene, non sapendo che per te non valeva.

Io, i funerali, li trovavo inutili. Non mi piacevano le chiese, o la religione in generale, ero atea, nonostante la disapprovazione generale.
Non mi sarei mai aspettata così tante persone al tuo funerale, credevo che la gente fosse meno ipocrita.
Vidi i tuoi genitori per la prima volta, seduti in prima fila, tua madre con le lacrime agli occhi, tuo padre con i pugni stretti e le nocche bianche, le labbra serrate in un'espressione piena di rabbia.
I tuoi fratelli mi avevano raccontato tutto, eravate venuti qua per vivere a Santa Clara, i tuoi erano dei ricchi imprenditori australiani che avevano voluto accontentare il vostro desiderio di venire a stare a Cuba, perchè i tuoi fratelli avevano studiato, erano diventati importanti e sarebbero andati in quei posti di Cuba dov'è il degrado non si sentiva, posti per gente ricca. Poi qualcosa era andato storto, e vi eravate avvicinato al nostro mondo e, improvvisamente, tutto si era fermato.
La mia attenzione si era riversata su Jack solo una volta, mentre leggeva ciò che io avevo scritto, Ben non ne sarebbe mai stato in grado.

"La felicità non è per tutti, Luke.
Nessuno ha intenzione di definirti un bravo ragazzo, non lo sei mai stato. Ma ci mancherai comunque. Oggi, noi abbiamo perso te, mentre tu, tu hai perso la vita, l'amore, la famiglia che avresti potuto costruire. Ma la felicità non è per tutti.
Eri un ragazzo triste, troppo giovane per questo schifo, e a conti fatti, tornando indietro, avrei cercato un modo per fermarti.
Hai conosciuto l'autodistruzione quando è arrivata l'adolescenza, sei sempre stato pieno di demoni, e prima o poi, avresti dovuto trovare un modo per alleggeriti da questo peso immane.
Io non credo nell'inferno, come non credo nel paradiso, ma ad essere onesti io non credo nemmeno in Dio.
Trovo inutili i funerali, trovo stupidi i battesimi, trovo stupido chiudersi in una chiesa e chiedere aiuto a qualcosa che non riesco a vedere, sentire, toccare o percepire.
Nemmeno tu credevi in queste cose, ma so che hai sempre amato la metafora dell'inferno, dei demoni, degli angeli. Tu ti definivi sempre troppo buono per l'inferno e troppo cattivo per il paradiso.
So che hai pensato a noi prima di morire, so che ti sei chiesto cosa ne sarebbe stato di noi, so che ti sei sentito in colpa.
Avevi mille difetti, facevi mille sbagli, ma ti amavo, e ti amerò per sempre."
Jack, poi, aveva attribuito quell'omaggio a me, mentre io, me ne andavo da quel luogo, intenzionata a non tornare mai più.

***

Il mio viaggio non è stato facile, non mi aspettavo lo fosse, ma per quanto fossi povera, a Cuba, avevo sempre trovato un posto in cui dormire. Non mi ero mai ritrovata a dover dormire per strada. I risparmi che avevo li ho usati per il viaggio, e sinceramente, se avessi avuto una vaga idea di cosa mi aspettava, mi sarei preparata meglio.

Alessandro mi ha salvata, trovandomi una notte su una panchina, non chiedevo soldi, non facevo elemosina, ed essendo al quinto mese di gravidanza si notava che fossi incinta, me la sono cavata, per tre mesi ho racimolato cibo dove potevo, ho vissuto col terrore di perdere la bambina, ma lui mi ha salvato.
Ricordo quella notte, in cui stavo congelando, con addosso vestiti troppo leggeri per il clima italiano.

Non penso fosse intenzionato a farlo, si è semplicemente seduto al mio fianco e ha iniziato a parlare. Parlava spagnolo, mi disse di averlo studiato all'università, e per me era fastidioso il suo accento troppo marcato e quel gergo che non apparteneva a quello cubano.
Ha continuato per un mese, prima di decidere che sarei dovuta andare con lui.
Non volevo farlo, non volevo risultare la poveretta di turno, ma mi convinse.
Mi istruì, mi insegnò a parlare e scrivere italiano, mi diede tutte le cure necessarie che una donna incinta meritava, mi diede l'aiuto di cui avevo bisogno, e non ricordo come, ma la nostra storia iniziò.
Lui aveva 25 anni, io 19, viveva da solo, era figlio di una ricca famiglia e stava lavorando come avvocato nello studio del padre, ma voleva fare lo scrittore.
Mi aiutò a trovare un lavoro, come cameriera, nel ristorante di un loro amico di famiglia, quello che ora gestisco io, ancora incredula nel pensare di essere arrivata dove sono.

Mi ha insegnato che nessuno si salva da solo.
Se tornassi indietro, proverei ad insegnarlo anche a te, anche se dopo tanti anni, non ho ancora capito se tu volessi fare di testa tua o se non volessi essere salvato. Tutti hanno bisogno di qualcuno al proprio fianco, che sia uno sconosciuto, o un membro della famiglia.

Mi ha salvato, e non lo ritenevo possibile.

***

Mi ha chiamato Jack, non gli ho detto che tornerò per una "vacanza", non gli ho detto che alla fine mi sono sposata, non gli ho detto che Sam assomiglia a te. Non gli ho detto nulla, ho lasciato che parlasse lui, che mi raccontasse di quanto fosse bello tornare in Australia, ma che non ci avrebbe mai vissuto, mi ha raccontato che si è messo la testa a posto, che sia lui che Ben sono andati via dal Virginia, che ora stanno nel centro di Santa Clara, che Cuba, quando hai i soldi per girarla, è bella. Non mi sono mai serviti soldi per girarla, a me piaceva quello spicchio che conoscevo, mi bastava. Mi ha raccontato che gli altri sono ancora tutti lì, che ogni tanto torna per andare alla tua tomba, ma che gli fa male come se la ferita fosse ancora fresca.

Ti ho amato Luke, ti ho amato con tutta me stessa, e dopo di te non sono più stata capace di amare, dopo di te c'è stata solo rabbia.
Ti ho amato in modo sbagliato, in modo malsano, e tu mi hai permesso di farlo, senza ribellarti, lasciando che ti sottomettessi, come se nulla fosse.
Ti ho amato come amo la pioggia, come amo i temporali, come amo il nero.
Ti ho odiato Luke, ti ho odiato nel peggiore dei modi che esista, ti ho odiato come odio le rose, come odio il sole, come odio le folle. Ti ho odiato con tutta me stessa.

Ma nel profondo, so che sarò sempre tua, che lo voglia o meno. Nel profondo lo so, ti appartengono.

Cenere. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora