parte 4: hija de puta.

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N.B. Il titolo non è in senso letterale, a Cuba si usa per indicare una persona cattiva e stronza, e con quello vorrei indicare la natura di Evanjelin, nulla di più.

Luglio 1997

Una parte di me voleva scappare da quel mondo, l'altra mi costringeva a restare.
Eravamo due giovani ragazzi che volevano solo stare meglio, che volevano solo vivere.

Ormai passavamo le giornate insieme, ogni tanto a rubarci qualche bacio, altre volte ad urlarci addosso.

Quando litigavamo, nessuno dei due chiedeva scusa. Eravamo feroci, agguerriti, orgogliosi. Tu m'incolpavi per qualsiasi cosa: se stavi male era colpa mia, se litigavi con i tuoi fratelli era colpa mia, se gli affari non ti stavano andando bene era colpa mia; era sempre colpa mia, mi dicevi che ti avevo rubato tutto, dicevi che starmi accanto ti stava cambiando, dicevi che se non mi avessi mai conosciuto, sarebbe stato meglio, avresti avuto la possibilità di essere più forte.

Io però ti tenevo testa, ti incolpavo per avermi rubato il giro al Virginia, ti davo la colpa se qualcosa andava storto, era colpa tua se ero diventata così, dicevo. Ti mentivo, per farti sentire in colpa, non sapevi che io, ero così da tutta una vita.

La prima volta che mi fecero notare la mia scarsa empatia, la mia esagerata acidità e il sarcasmo che accompagnava ogni mia frase, avevo appena 12 anni.
Non me n'ero mai preoccupata, ero abituata a rispondere male a chiunque mi mettesse i bastoni tra le ruote, volevo il controllo su tutto, anche su Michael. Ce le davamo di santa ragione quasi ogni giorno, non gli importava che fossi una ragazza, o che fossi più esile di lui, ci prendevamo letteralmente a morsi. Gli tiravo schiaffi e pugni ogni qual volta mi facesse alterare, lui me li dava indietro, come se nulla fosse.

Aprile 1990

Una sera, quando sotto il cielo limpido e pieno di stelle, mi disse ciò che pensava, io, non feci una piega. "Vedi Ev, ogni volta io ho paura di sbagliare con te. A te non frega un cazzo se litighiamo o meno, tu stai bene comunque.  Ma io, no. Odio quando cerchi di avere il controllo su tutto, anche sulla mia vita, non ne hai il diritto."

"Invece il diritto ce l'ho, eccome se ce l'ho. Sei mio fratello." Avevo ribattuto, era scoppiato a ridere istericamente ed aveva acceso una sigaretta.

"Dimmi Ev, dimmi. Davvero consideri questa stronzata vera? Davvero mi consideri tuo fratello. Avanti, non sai nulla di me, sai che mi chiamo Michael, e basta. Sono figlio di nessuno, non so nemmeno quando compio gli anni, non ho un cognome, magari, non esisto." Aveva detto. Mi ero alterata, davvero tanto, e riuscii solo a scattare in piedi e urlare.

"Brutto stronzo. Io e mia madre ti diamo una casa. Io, io inizio a condividere tutto con te, anche il seno di mia madre, mi lavo con te, mangio con te, dormo con te, vivo in simbiosi con te, e questo è il tuo ringraziamento? Mi vieni a dire che non ti consideri mio fratello, che probabilmente non mi consideri tua sorella e che non ti conosco. Sei un coglione Michael, un coglione." Urlavo, in preda alla rabbia. Lo vidi sorridere, e come al solito non fece una piega, era abituato ad essere travolto da me.

"Ammettilo, vuoi solo sentirti dire che sei una brava persona, che stai facendo la cosa giusta, e altre frasi false. Ma io lo so, e lo sai anche tu, che sei solo un'egoista del cazzo. Che tu lo voglia o no, anche se ci fossimo conosciuti ora, avremmo vissuto in simbiosi comunque. Senza te, io, potrei ritenermi perso, lo ammetto, -aveva detto lui, e quasi avrei potuto perdonarlo, se non avesse continuato-  ma anche tu, senza me, non andresti lontana. Non vuoi ammetterlo, perché per te, l'orgoglio, viene prima delle persone. Ci vediamo a casa Ev." E poi, si era dissolto, insieme ad un gruppo di persone, a me sconosciute. Me ne tornai a casa, sconfitta e consapevole che quella fosse la verità.

Cenere. || Luke HemmingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora