Illmari

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Ogni anno, allo scoccare della mezzanotte dell'equinozio di primavera, un'enorme forza arrivava a trascinarti in terre natie, in acque natie. Iniziava giorni prima, una piccola pulce nell'orecchio, a prepararti: la leggenda narrava che se - entro la quarta luna - non ti fossi trovato ove si congiunge il tuo sangue, le membra sarebbero divenute di pietra. Erano in pochi ad aver sfidato gli antichi canti e, vuol così il fato, mai più i loro occhi erano tornati a guardare il cielo.

Kjell, della stirpe svenska, non era mai stato così coraggioso da sfidare la sorte e trascorreva - seppur con neghittosità - quel periodo che a lui pareva infinito. La sua famiglia da millenni infestava il Golfo di Botnia, ma lui non era mai riuscito a comprenderne il motivo.

Era incredibilmente lento nelle trasformazioni, sentire la sua colonna della sua pinna dividersi in due, i muscoli lacerarsi, era doloroso, lo era sempre stato. Tutte le sirene condividevano quella familiare agonia, ma Kjell cercava di raggirarla. Trascorreva le estati nei mari caldi o nei classici luoghi di villeggiatura ed era incredibilmente facile cibarsi, lì. Si nutriva di emozioni umane: il dolce di un'effimera infatuazione, l'aspro della felicità, il vomitevole amaro della pura. Le trascinava giù in fretta, le sue vittime, cercando di evitare la bile di quegli ultimi istanti.

In Svezia, al contrario, erano pochi - e stupidi - coloro che si avvicinavano alle acque, l'addentrarsi nel territorio fluviale era stato una possibilità, considerando le competizioni di canottaggio, ma il rischio era troppo grande.

Perché vivere qui?

Una volta, una vecchia sirena sul punto di morire, gli aveva dato quella che a suo parere era la risposta: la fatica. Riuscire dove gli altri non riescono, vincere dove gli altri perdono, faticare per poi avere la possibilità di avere qualcosa che ti è costato tempo, devozione.

Aveva incontrato altre stirpi, nella sua vita, ma considerava la loro quella peggiore. C'era chi amava torturare, assorbire la sofferenza della persona, sentendosi superiore; c'era chi lavorava in branco, rovesciando piccole imbarcazioni; c'era chi amava i bambini.

Loro illudevano, lavoravano sulla terra ferma, mostravano un amore che non provavano e, quando si l'umano fidava abbastanza? Semplicemente non avrebbe avuto una lunga vita.

Lui non era mai riuscito a far innamorare qualcuno, non aveva mai assaggiato l'amore.

***

Si sarebbero riuniti a Stoccolma, per poi raggiungere Umea verso la metà di agosto, non c'era una ragione in particolare:  Katarina era troppo squattrinata per permettersi un volo verso un aeroporto così piccolo, Oscar preferiva viaggiare con i piedi per terra, Ulrika era ancora troppo piccola e si trovava lì insieme al loro padre. Solo lui avrebbe potuto scogliere Kjell dal legame familiare, ma negava di farlo, consapevole che il suo primogenito non sarebbe più tornato in quelle fredde acque.

Kjell era giunto a Stoccolma con un giorno d'anticipo, sperando di abituarsi al freddo, prima di doversi immergere. Poteva sopportare all'incirca settantadue ore fuori dall'acqua, ma le allucinazioni erano forti, si era deboli e non si aveva il pieno controllo del proprio corpo. Stava cercando la sua felpa, all'uscita dell'aeroporto Stoccolma-Arlanda, quando qualcosa, o meglio qualcuno, venne spinto contro di lui. Kjell si girò, riuscendo ad individuare due figure correre via con un numero considerevole di borse ed una valigia. Alzò le spalle, indifferente all'accaduto, ma divertito dalle espressioni indignate di chi aveva ancora il proprio bagaglio stretto al petto. Abbassò lo sguardo, dal suo abbondante metro e novanta d'altezza, fino ad incontrare la nuca biondissima di un ragazzo che sembrava stesso morendo di freddo, probabilmente aveva la giacca dentro lo zaino.

Quando alzò lo sguardo, con due occhi grandi, azzurri e mortificati, Kjell sapeva già chi sarebbe stata la sua prima vittima, sul suolo svedese.

Gli passò la felpa, poco male, sarò costretto ad abituarmi al freddo, pensava intanto.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jul 26, 2016 ⏰

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