Memorie di una vita passata

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Ricordo ancora quella gelida notte. Avvolto da un mantello, riscaldato solo dal pensiero del riposo; in quella stanza buia e colma di persone nelle mie stesse condizioni o forse peggio. Quella stanza con il pavimento di paglia, sudicia ed impregnata degli odori delle persone che vi avevano alloggiato; offerta dall'ospitalità dei frati del convento e mai rifiutata da coloro che erano in viaggio e in cerca di un riparo. Allora era difficile trovare impiego e lungo il mio cammino incontrai molte famiglie in viaggio tra un villaggio e l'altro alla ricerca di una sistemazione. Io, umile trovatore, non potevo fare altro che rallegrare le loro serate intorno al fuoco con fiabe e racconti. Vagai a lungo conoscendo ciò che un tempo ignoravo e imparando ad ignorare ciò che un tempo mi ha rovinato. Il tempo mi ha donato la saggezza e la conoscenza e ha fatto in modo che io potessi commettere i miei errori e porvi rimedio. Ero un giovine di soli 16 anni quando fuggii di casa e da allora la vita non ha smesso di ostacolarmi. Un giorno, mentre mio padre e i miei fratelli aravano i campi, decisi che per quel giorno avrei lasciato il mio lavoro a loro. Mi arrampicai sul melo appoggiato al muretto in pietre che circondava la nostra proprietà; presi una mela, la più rossa e grande di tutte; l'addentai e mi lanciai giù dal ramo dell'albero cadendo su di un cumulo di terra ben saldo con i piedi a terra e piegando le ginocchia per attudire la caduta. M'incamminai verso il mercato con passo svelto allontanandomi dalle voci che pronunciavano il mio nome sempre più insistentemente cominciai a velocizzare il passo. Veloce, sempre più veloce fin quando mi ritrovai a correre per quel sentiero ormai inutilizzato se non da qualche viaggiatore che ha perduto la via. Di lì potevo vedere l'albero di quercia che,nel corso degli anni passati, mi offriva un silenzioso e sereno nascondiglio fra i suoi robusti e fitti rami. Quei rami sarebbero dovuti essere il mio scudo anche quel giorno di metà primavera, ma, mentre mi dirigevo ai piedi della quercia intravidi un uomo appoggiato all'imponente tronco assopitosi tra il cinguettio dell'arrivo dei migratori. Spinto dalla curiosità, mi avvicinai e lo scrutai; intravidi una casacca da cui fuoriusciva una strumento a corde: una lira,forse. Continuai a fissarlo alla ricerca di qualche dettaglio che avrebbe potuto farmi capire la sua identità,quando la sua testa cedette e lo scosse costringendolo a svegliarsi. Focalizzò il paesaggio e si sorprese di vedere la mia figura in quel luogo disabitato, poi distolse lo sguardo e cacciò le mani nella sua casacca.

-«Vuoi restare lì a fissarmi tutto il giorno?»

Scossi il capo come se mi avesse risvegliato dal sonno.

-«Quello è uno strumento?»

-«Quale? Questo?»- disse indicando la lira -«Si. È una cetra.»

-«A me sembra una lira.»

-«Una cetra è simile alla lira ma, se osservi attentamente, la cetra ha dimensioni maggiori.»

-«Quindi è una lira grande.»

-«Ti ho appena detto che si chiama cetra.»

Alzai le spalle come segno di risposta.

-«A cosa ti serve? Sei un giullare?»

-«No, sono un trovatore.»

Rimasi in silenzio con un'espressione confusa.

-«non hai idea di cosa sia un trovatore, vero?»

Scossi il capo per rispondere di no.

-«Rapsodi, uomini di cultura in viaggio per il mondo che vivono di ciò che gli offre la vita tramandando il loro sapere a tutti coloro che si presentano sul loro cammino.»

Annuivo lentamente mentre cercavo di assimilare quelle informazioni e compresi ciò che mi diceva, trovai meravigliosa la sua vita e la curiosità e la meraviglia mi spinsero a prolungare la nostra conversazione.

-«E a che ti serve la lira?»

-«Ora te lo mostro. Siediti qui, ci vorrà del tempo.»

Appoggiai la schiena al tronco della quercia e mi sedetti sulle sue radici senza perdere d'occhio il trovatore. Lo vidi prendere la cetra e accordarla e poi cominciò.

-«Di fate nè orchi vi voglio narrar.

Or incomincio,non vi farò aspettar.

In quel tempo vi era un fanciullo innamorato

ma da nessuna accettato.

Egli corteggiava ogni ragazza del paese

senza,però,un interesse palese.

Il motivo era chiaro:

v'era in ballo l'amore amaro.

Egli amava la più bella delle fanciulle che, dir il vero, incontrava spesso

ma non osava corteggiarla, sicuro del suo insuccesso.

Lei,in segreto, ricambiava il sentimento ma sapeva che sarebbe stato un fallimento.

Una donna sa che se un uomo la porta al cuore,questo si terrà stretto il suo amore.

Fu questa la storia di Ginevra e Massimiliano,

un amore quasi invisibile al loro cuore umano.

Un giorno, il ragazzo decise di abbandonare l'amore

Scelse la via dello svago senza ascoltare il suo cuore.

Ginevra, che decise di dichiararsi all'amato,

Si diresse al loro luogo di pace,trovando qualcosa d'inaspettato:

Massimiliano ed un'altra fanciulla,

spezzando il suo cuore,il ragazzo, per lei, diventò nulla.

Voltatasi,corse tra il suo stesso pianto

e decise che non avrebbe mai più sofferto tanto.

Massimiliano,accortosi dell'accaduto, la dovette rincorrere per spiegare e

se fosse stato più veloce l'avrebbe potuta salvare.

Soltanto "Ti amo" le avrebbe detto

ma dire "Ti amerò sempre" fu più corretto.

La vide gettarsi nel letto del fiume

e cadere nel più longevo dei sonni,senza il suo cuscino di piume.

Senza poter vivere la sua storia d'amore,

Senza udire le melodie della vita ma solo il suo assordante rumore.»

Lo ascoltai in silenzio durante tutto il racconto accompagnato dal suono della cetra e dalla musicalità delle rime. In quei pochi istanti presi la mia decisione: sarei diventato un trovatore.

E fu così che iniziò la mia più grande avventura in cui avrei incontrato migliaia di persone: quelle che mi avrebbero cambiato per la vita, quelle che mi avrebbero aiutato nel momento del bisogno, quelle che mi avrebbero fatto provare la gioia dell'amore e quelle che mi avrebbero fatto provare paura e rabbia.Tutte quelle che hanno

reso la mia avventura il viaggio di tutta una vita.

Il sogno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora