Solo passato

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Gli zoccoli del cavallo battevano ritmicamente sul terreno. Era buio. Io, tenuto alle redini, restavo proteso in avanti, assalito dai miei pensieri e assordato dal silenzio di Matteo che cavalcava al mio fianco. Quell'uomo era assai preoccupato ed io non potevo non condividere la sua angoscia. Rammentando la grazia di quella fanciulla, assaporavo la vista del suo viso ed il suono della sua risata. Ah cosa non avrei fatto per udirla felice! Tornando alla realtà scrutai il paesaggio. Alcuna anima popolava il sentiero, solo alcuni animali notturni univano le loro voci nel concerto dell'oscurità, il sentiero continuava dritto fiancheggiato da distese verdi. Matteo rallentò il passo del cavallo ed io lo imitai. Non domandai nulla, mi fidavo e basta, ma mi guardai intorno per poter scorgere un segnale. E poi la vidi. Non di certo per intero ma riconobbi il sentiero invisibile che conduceva lì, che conduceva alla collina di Gisella, quella della fede, quella del nostro primo incontro. "Allora non amavo Gisella come ora, come ho potuto permettere che ci allontanassimo di nuovo? Come ho fatto a non capire che stavolta non l'avrei sopportato? Ciò che circa tre anni fa chiamavo amore, non era niente comparato al mio presente, non era nulla paragonato alla preoccupazione che ora mi affligge, ora che ho paura di vivere una vita senza di lei, ora che la amo." Sgranai gli occhi, ci avevo già pensato prima " ma adesso sento che è reale" pensai. Spronai il cavallo per farlo andare al galoppo. Matteo mi raggiunse, lo avevo dimenticato!

-«Ma cosa fate?» mi chiese irritato.

-«Vado a salvare il mio amore!»

-«Ma state sbagliando strada! Così perderemo tempo!»  Bloccai bruscamente il cavallo trattenendo le redini e lui fece lo stesso.

-«Ma questa è l'unica strada!» protestai.

-«Non avete guardato, ho rallentato perchè non so se posso riconoscere ancora bene i sentieri, il tempo ha cambiato tutto...ma ho visto il sentiero giusto al di là di qualche arbusto che ha invaso la strada. Torniamo indietro.» Tornò al galoppo sicuro di sè ed io lo seguii un pò scoraggiato ma sempre motivato. Percorremmo a gran velocità il sentiero suggerito da Matteo che più tardi riconobbi come quel viale che percorsi tre anni prima. Finalmente giungemmo alla nostra meta. Quel villaggio era ben diverso da ciò che ci aspettavamo. Il giorno stava per arrivare ma la vita non apparteneva più a quell'insediamento: le abitazioni erano tutte semidiroccate e le vie erano colme di sudiciume, non un anima, solo qualche cumolo di stracci in lontananza, il fetore era insostenibile. Io e Matteo legammo le redini dei cavalli ad un palo e ci addentrammo nel villaggio, il fabbro aveva un'espressione tormentata ma non sorpresa. Il silenzio regnava disturbato da un ribelle sbattere di una finestra pendente da un cardine. Tam. Tam. Il vento continuava a spingerla verso il muro per poi riportarla indietro e ripercorrere l'agonia. Ad un certo punto sentii i passi veloci di Matteo allontanarsi.

-«Devo andare a controllare» disse.

Avanzai dritto, il fetore diventava sempre più intenso, neanche i ratti osavano avvicinarsi ma io dovevo sapere, io dovevo accertarmi di sbagliare. Senza rendermene conto, presi a correre. E poi lo raggiunsi. Il cumulo di stracci che vedevo da lontano non era ciò che appariva. Non indietreggiai, rimasi lì, immobile, con un braccio sul naso e gli occhi fissi sapendo che non ero in errore, quelli non erano solo stracci, quelli erano cadaveri non ancora denudati. Com'era accaduto? Non potevo saperlo. Il tempo, i ratti e i parassiti avevano consumato talmente quei corpi esanimi che non avrei mai potuto notare nulla: segni della peste, ferite da arma, bruciature, segni da forca. Nulla. Non scrutai nemmeno i volti perchè così non avrei trovato quello di Gisella o della vecchia signora che lavorava al fiume. Caddi in ginocchio a contemplare quella massa informe di anime prese dal Signore. Non mi rimase che pregare per loro, pregare perchè le anime buone possano godere della misericordia divina e della pace eterna. Matteo mi raggiunse stravolto e ansimante, "Poverino, deve aver corso per tutto il villaggio in cerca di qualcuno da salvare" pensai. Non guardò quel cumulo di vite passate. Lui sapeva. Eppure io aspettavo quelle parole, aspettavo che mi dicesse che da qualche parte c'era Gisella ad aspettare me, che da qualche parte c'era la sua voce a chiedere di me, che da qualche parte ci fosse ancora il suo cuore a battere, ma non disse niente di tutto ciò. Scosse soltanto la testa senza neanche la forza di alzare lo sguardo. Mi alzai di scatto, stetti a guardarlo per un pò. E poi risi. Ridevo così forte che un ratto si fermò poco lontano da me, mi guardava stranito come se anche lui volesse dirmi che quello non era il momento adatto. Eppure non mi importava, ridevo perchè non c'era altro da fare. Ridevo perchè speravo che Matteo si unisse alla mia risata dicendomi che era uno scherzo di cattivo gusto. Ridevo perchè l'alternativa era unirmi a quei corpi coperti di stracci. Mentre questi pensieri scorrevano liberi nella mia mente mi ritrovai disteso a terra, smisi di ridere, aprii gli occhi mentre mi portavo una mano all'occhio destro. Matteo era lì dinanzi a me, era furibondo. Si era portato la manica destra rivoltata all'insù lasciando scoperto il suo braccio muscoloso che terminava con una mano chiusa in pugno. Con le dita percorsi il mio viso fino al naso, mi riportai la mano distante dal mio viso vedendola sporca di sangue. Un fluido caldo continuava a scorrere dal mio viso ed io non sapevo se perdeva dal mio naso o dalla mia fronte ma allora non aveva importanza.

Il sogno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora