Un padre

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Quella mattina ero pervaso da un senso di tranquillità. Ginevra, così si faceva chiamare la bambina che io e Matteo avevamo trovato al villaggio fantasma; arrivati a casa del fabbro, Isabella si è presa cura della bambina, agli inizi le distinguevamo "Isabella parva" e "Isabella senex" ma poi la piccola Isabella decise di denominarsi Ginevra, in ricordo di sua madre. E quella mattina del 1096 non dovevo aiutare Matteo nè praticare alcun lavoro, così mi feci raggiungere dalla piccola Ginevra sull'uscio dell'abitazione. Ah il fabbro non aveva esitato ad ospitarci tutti ed io non avevo ancora il cuore di lasciare quella famiglia che mi faceva tanto sentire a casa.

-«Mi avete chiamato,Riccardo?»

Annuii.-«Ti porto al mercato»

Gioì esultando, poi si ricompose e disse

-«Vado a prendere il paniere!»

Aspettai che tornasse con il cesto e poi giungemmo al mercato. Le persone camminavano, parlavano, urlavano, contrattavano, si azzuffavano addirittura. Il mercato è il centro di ogni città o paese. Io e Ginevra proseguivamo al centro delle due file di banconi, le offerte di vendita provenivano da tutte le parti ed il caos era regnava in quella piccola area rotonda, eppure amavo così tanto l'insanità di quei posti che mi dicevano "che ci vuoi fare?! Questa è casa tua!"

Vidi Ginevra discostarsi da me per avvicinarsi ad un bancone dove vi era seduta una bambina dalle trecce brune di fili di cotone, gli occhi neri ricamati insieme ad una bocca segnata da una curva che andava all'insù, una lunga gonna di tessuto giallo con dei piccoli segni rossi appena distinguibili, le gambe di pezza a penzoloni e le mani prive di dita. Mi avvicinai offrendo due monete d'argento al venditore.

Spostò lo sguardo dalla mia mano a Ginevra, poi al mio viso.

-«Voglio 5 monete» disse quasi ridacchiando e sfregandosi le mani. Stavo per protestare con qualche imprecazione, ma sentii lo sguardo di Ginevra su di me. Sapevo che avrebbe capito se non le avessi comprato quel balocco, ma non volevo deluderla, aveva già sofferto troppo senza mai lanentare le sue pene. Annuii al mercante e gli consegnai le 5 monete d'argento.

-«Avete fatto un ottimi affare, signore. Per i figli qualche sacrificio è d'obbligo»

-«Già, lo spero bene» ci congedammo.

-«Perchè non gli avete detto che non siete mio padre?»

La voce di Ginevra stroncò i miei pensieri, la sua domanda mi colse di sorpresa, non ci avevo pensato.

-«Sarebbe stato complicato spiegare» risposi. Accettò la risposta alzando le spalle e abbracciando più forte la sua bambola.

-«Grazie» disse.

Or non saprei descrvere le sensazioni che mi provocò quella sola parola, ma mi fece capire che Ginevra era il futuro che non avrei mai avuto, era tutti i figli desiderati e non ancora nati. Era mia figlia. Per un attimo non pensai che avrei voluto che somigliasse a Gisella, che avrei voluto portarla sulle spalle e tornare in una casa dove c'era mia moglie ad aspettarmi e quella moglie era Gisella, non pensai a tutto questo, pensai soltanto a quel "grazie", quella parola che mi aveva fatto aprire gli occhi distogliendoli dalla tristezza del cuore.

-«Prego» sussurai quasi, sorridendo.

Nei giorni a venire trascorsi più tempo con Ginevra. Quando non avevo lavori da sbrigare stavo con lei e giocavamo. La portavo tra i fiori, dove nessuno poteva disturbarci, raccoglievamo i fiori e poi le insegnai a farci collane e corone; facevamo un gioco dove uno dei due doveva nascondersi e l'altri doveva trovarlo; ci rincorrevamo e quando si stancava o, più facilmente mi stancavo io, ci stendevamo sui fiori; nei giorni di pioggia le raccontavo delle storie dinanzi al fuoco, le insegnai anche a leggere e scrivere qualcosa secondo gli insegnamenti che avevo dedotto da Frà Tommaso. Molti in paese affermavano che io fossi suo padre e che la madre fosse morta dandola alla luce ed io non li contrariavo. Io ero suo padre.

Il sogno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora