Ancora vuoto

113 5 0
                                    

Fui svegliato dall'invadente luce del mattino. Dalla posizione del sole in cielo compresi che non doveva essere molto presto, alzai le braccia e sbadigliai, mi guardai un pò intorno rivedendo il verde che mi circondava, l'albero che mi sorreggeva e udendo l'acqua del ruscello. Pensai per qualche istante prima di scattare in piedi e rendermi conto che mancava qualcosa in quello splendido scenario: Gisella. La sua risata, il suo sguardo, tutto quello che avevamo trascorso in una notte che stava per cedere il posto al giorno. Scossi il capo convincendomi che non v'era stato nulla se non un sogno ben articolato. Un sogno ispirato da cosa? Dalla brama di reincontrarla? Si, doveva essere così. Avrei dovuto cercarla e riportarla da me! Presi decisione. Mi recai al ruscello per rinfrescarmi. Nonappena vi giunsi, le risate m'assalirono. I suoi occhi verdi mi fissavano cercando di comprendere.

-«Giorno, Riccardo. Vorreste rendermi partecipe della vostra ilarità?»

-«Nulla» dissi io «solo gli strani pensieri del primo mattino.»

La presi per mano e la riportai al villaggio. Quel giorno la sua bellezza era tormentata da un senso di stanchezza, le chiesi più volte se preferisse riposare ma rifiutò in tutti i casi.

-«Dove mi stai portando?» mi chiese.

Proseguii di qualche passo senza rispondere alla sua domanda, mi fermai e mi voltai verso di lei.

-«Mia adorata, qui vi abiteremo» dissi indicandole con un gesto della mano una piccola abitazione semidiroccata alle mie spalle. La porta era al centro della facciata frontale, una finestra a destra ed una a sinistra che deficieva di pannelli, era solo un foro nella parete. I muri erano infestati qua e là da crepe. Il tetto in legno, e ricoperto di paglia, era in buone condizioni. Una modesta distesa d'erba mal curata circondava la casa e, nel retro, v'era un ciliegio che attendeva di essere curato.

-«Dove sono i vecchi proprietari?»

-«In viaggio per Genova,in cerca di una vita migliore». Mi volto verso Gisella, mi avvicino e la sollevo di peso lasciandomi cingere il collo dalle sue braccia. Così avanzai verso l'abitazione e spalancai la porta con un calcio.

-«Eccoci a casa, amore» dissi fingendo di essere marito e moglie.

Appoggiai Gisella con i piedi a terra; la stanza era vuota se non per un braciere posto al centro, lei si avvicina ad esso e si volta verso di me con la testa fra le mani.

-«Oh marito mio! Hanno saccheggiato la nostra dimora!» ridemmo.

Corsi da una parte all'altra della casa, poi tornai all'ingresso e mi fermai dinanzi a Gisella tenendomi il mento con una mano.

-«Credo tu sia nel giusto». Recitammo e ridemmo ancora per un pò senza accorgerci di non fingere realmente. Quando il sole stava ormai per calare, ci avvolgemmo nel mio mantello, io seduto e lei appoggiata con la testa sul mio petto.

-«Questa sarà la nostra stanza, qui, dove siamo ora, ci sarà il nostro letto. Al mattino ci sveglieremo guardando fuori da questa finestra e penserò se sarà la giornata bella o brutta, ma poi vedrò te e saprò che ogni giornata sarà quella dove splende il sole perchè vivo in un mondo in cui ci sei tu»

-«La stanza all'ingresso avrà un tavolo dove mangeremo tutti insieme; la stanza di fronte a questa sarà quella dei bambini perchè possano correre da noi ed insinuarsi nel nostro letto quando avranno paura per un temporale o per un incubo; e quella trave» disse lei indicando la porta dell'ipotetica stanza dei nostri figli «sarà piena di incisioni perchè i nostri figli registreranno continuamente la loro altezza per fare a gara con i fratelli» disse con un sorriso.

-«Racconterò loro le storie più belle perchè non possano mai dubitare dello splendore del mondo»

-«Dovrai raccontare loro tutte le storie» mi bloccò lei «perchè conoscano ogni aspetto della vita. Gli racconteremo la nostra storia, un giorno».

-«Scriveremo noi la nostra storia, la costruiremo mattone dopo mattone, insieme a questa casa». Trascorse la notte tra parole e baci, trascorse il giorno e trascorsero le stagioni. Io trovai impiego come cantastorie di una famiglia di aristocratici e qualche lavoro edile qua e là , Gisella offriva lavori di sartoria. Il denaro scarseggiava ma con qualche sacrificio riuscivamo a procurarci il necessario per vivere e qualche materiale per la manutenzione della nostra casa che avevo comprato e che volevo rendere come sognava Gisella. Non le dissi che stavo ricostruendo la casa, ma credo che sospetasse qualcosa. Intanto Frà Tommaso ci ospitava al convento fingendo di non sapere nulla del nostro rapporto eretico. Quante volte ho chiesto a Gisella di sposarmi! Quante volte ha tristemente rifiutato. Io accettavo le sue condizioni pur di stare con la fanciulla che amavo. Dovevamo nasconderci di continuo per non risvegliare le voci del mondo, della gente. Ogni giorno sbrigavo i lavori e poi correvo verso il convento per poterla rivedere, per portarl folla.

-«Non stai costruendo quella casa per me, vero?» chiese senza muovere lo sguardo.

-«Quale casa?» chiesi io fingendo di non capire.

-«Lo sai.» si voltò verso di me.

Mi arresi.-«La costruisco per noi, per una vita migliore di questa.»

Si alzò di scatto chiudendo gli occhi:-«Avresti dovuto parlarmene.»

-«Credevo lo volessi anche tu» ero confuso.

-«Tu non mi conosci, tu parli ma non sai niente di me.» disse prima di scoppiare in lacrime. Si coprì il volto con entrambe le mani e si lasciò scivolare con la schiena sulla parete esterna della chiesa.

Mi avvicinai a lei cercando di capire.

-«Qual è il vero problema?» chiesi io. Non mi rispose. Assunsi un tono più autorevole perchè sapevo che altrimenti non me ne avrebbe mai parlato.

«Gisella, perchè sei in lacrime?»

Si ricompose lentamente e con gli occhi segnati dalla mestizia mi rispose:-«Poco fa è venuto un uomo» mi allarmai ma lasciai che continuasse « credevo volesse qualche informazione sulla rete stradale, qualche indicazione. Avevo capito che era uno straniero, non l'avevo mai visto qui. Stava lì fermo a guardarmi mentre ti aspettavo dinanzi al convento. Ho cominciato ad avere paura ma non mi sono mossa da lì perchè finchè fossi stata alle porte di una chiesa non avrebbe potuto tangermi. Si avvicinava ed io non mi muovevo, anzi fingevo di non vederlo ma lui sapeva, sapeva che l'avevo già visto. Con la vicinanza ho distinto la sua figura: era Enrico.» fermò la sua voce, forse le faceva male pronunciare quel nome, forse voleva vedere la mia reazione. In un attimo mi tornò alla mente quell'uomo che mi aprì la porta due anni prima, quell'ubriacone che aveva maltrattato Gisella, il marito della mia amata. Fu un attimo, ricongiunsi le immagini e rividi l'uomo della piazza, quello che mi aveva urtato poco prima con il suo corpo scheletrico. Era lui. Avrei potuto sferrargli un pugno in quel momento se solo lo avessi riconosciuto, tremavo per la rabbia.

-«Cosa voleva?»

«Cosa vuole?» urlai. Gisella di fronte a me piangeva in silenzio mentre mi fissava. «Vuole me. Vuole che io torni da lui.»

«Non ti ha toccata, vero?»

«No, non l'ha fatto»

«Cosa gli hai detto?»

«Che ci avrei riflettuto»

Sgranai gli occhi sorpreso.

«Dopo quello che ti ha fatto?!»

«È cambiato»

«Non puoi pensarlo. Non te lo permetto. Tu menti, mi hai sempre mentito. La verità...la verità è che tu non hai mai voluto accettarmi come tuo marito, non hai mai voluto accettare questa vita con me perchè tu hai lui, tu ami ancora lui: quell'Enrico, quell'ubriacone, quel poco di buono...sai cosa ti dico?! Và da lui! Corri fra le sue braccia...ma stavolta,stavolta non sarò io a baciare le tue ferite»

Abbassai lo sguardo sperando che rimanesse lì con me, che prendesse la mia mano e la baciasse sentendo il suo profumo e avvertendo le sue carezze, ma l'unica cosa che sentii furono i suoi passi che si allontanavano. Non alzai la testa. Silenzio. Si era fermata.

«Ti amo» e andò via.

Alzai la testa ma non vidi altro che il vuoto che Gisella aveva lasciato, fuori e dentro me.y

Il sogno dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora