20 - BLACK ROSES

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Lunedì 30 Novembre.
Sono passate 2 settimane, e Dicembre é alle porte. Arkel é in coma, ora vado a trovarlo tutti i giorni, portandogli fiori, qualche disegno e mettendogli le cuffie per ascoltare le nostre canzoni preferite.
La mia gamba fa male, ho le stampelle e ancora le fasciature, che sono una scocciatura per gli skinny jeans.
Sono anche tornata a scuola pochi giorni fa, mi sono trovata un cartellone di ben tornato appeso sul muro dell'aula di scienze, é stato decisamente imbarazzante.
Non ho più frequentato o visto nessuno oltre i miei due migliori amici, in tutto questo tempo.

Sono le 7.36, c'é veramente freddo fuori questa mattina. Sento le mani scongelarsi vicino al bocchettone dell'aria calda, in macchina.
Il cielo é scuro.
Mia madre mi lascia davanti al negozio di fiori, come ogni giorno da quando sono uscita dall'ospedale, per prendere un bel fiore ad Arkel. In genere vado a trovarlo subito dopo le lezioni, prima di tornare a casa.
"Ciao mamma, ci vediamo a cena" le lascio un bacio sulla guancia e scendo dalla macchina con le stampelle, che rottura...
"Buongiorno biondina" Tate mi da un bacio in testa mentre mi abbraccia.
"Buongiorno biondino" gli faccio l'occhiolino e sorrido, controvoglia.
"Sum é in ritardo di cinque minuti"
"Da quando lei é in ritardo e tu in orario?" lo prendo in giro.
"Da quando lei si é fermata a prendere l'erba da Anas"
"Ah ora capisco" rido e scuoto la testa in segno di resa.
Tate mi apre la porta mentre entriamo nel negozio, e subito mi guardo intorno.
"Buongiorno Alexis" il vecchietto proprietario di questo negozio mi fa un saluto con la mano.
É una persona dolcissima e piena di energia, nonostante l'età e il corpo curvo e minuto. La barba bianca scende lunga coprendo il collo, assomiglia vagamente a Babbo Natale, ora che ci faccio caso...
"Buongiorno Mitch" ricambio il sorriso ma non il gesto della mano, ovviamente, avendo le stampelle.
Lui si avvicina lentamente, con aria sospetta, sembra mi voglia confessare un crimine dal modo in cui si guarda intorno.
"Ho una cosa per te" sussurra con un faccino allegro che mi fa tenerezza.
"Seguimi"
Tate mi guarda stranito, ma senza che possa oppormi, essendo molto protettivo nei miei confronti, ci segue. 

Entriamo nel magazzino sul retro del negozio.
Il vecchietto si avvicina ad una scatola bucherellata.
"Non é molto, ma vedo che apprezzi il nero e che anche il tuo ragazzo lo apprezza molto, da come me lo hai descritto" mi fa l'occhiolino e mi porge un piccolo bouquet, di non più di 4 o 5 fiori, composto di rose nere.
Lascio cadere le stampelle ai lati delle mie gambe, con lo sguardo fisso sulle rose.
"Sono bellissime" le prendo e lentamente le porto al naso, annusandole in un lungo respiro.
"Sono molto rare, tienile, sono il mio regalo di Natale in anticipo"
Guardo Mitchell sorridere alla scena e lo abbraccio ringraziandolo fino a fargli venire la nausea.
"Gli piaceranno tantissimo"
"Lo spero"

Tate mette le rose della taschina laterale esterna del mio zaino, mentre io rispondo a Sum sul cellulare.
Chiudo la chiamata e avviso Tate che dobbiamo andare.
Saluto Mitchell e mi dirigo all'uscita, dove Tate mi sta tenendo la porta aperta.
Che strano però... il ragazzo incappucciato con la felpa verde, proprio dietro lo scaffale dei Gerani, mi ricorda qualcuno. Una strana fitta al cuore mi pervade. Dai Alex, è solo perché ti manca Arkel, smettila.
"C'é qualcosa che non va?" Tate é ancora sulla porta, Mi volto e proseguo uscendo dalla porta.
Il venticello gelido mi entra tra la schiena e la maglietta dal colletto largo della felpa di Arkel. É una giornata particolare, malinconica, il sole esce a tratti da qualche squarcio di nuvola.
Sum é bellissima oggi, indossa un berretto bianco che le risalta gli occhi verdi, e il rossetto rosso sta benissimo con la carnagione chiara, quasi cadaverica.
"Buongiorno depressina" mi da un bacio sulla guancia e fa lo stesso con Tate.
"Beh ragazze chi vuole una canna?"
Lo sguardo mio e di Sum é bastato per far capire a Tate la risposta.
"Quando litighiamo mi chiedo cosa sto con voi a fare, ma in questi momenti lo ricordo bene" sorride e poggia le braccia sulle spalle mie e della mia migliore amica, attirandoci in un abbraccio.

10.40 am.
La sabbia tiepida scalda i miei piedi freddi, il rumore delle onde da pace ai sensi. Oramai vado a scuola con la stessa frequenza con cui gli altri si assentano.
Se potessi vivrei qui, in spiaggia, con le onde che cullano i miei sogni e le stelle che accompagnano il dormiveglia.

"Come falsificherete la firma?" chiede Sum rivolgendosi a me e Tate.
"Come sempre" diciamo in coro.
Gli faccio il pugnetto e mi scappa una risatina.
I minuti successivi passano nel silenzio totale, le nostre teste sono immerse in una vasca di pensieri, e le labbra sono chiuse a chiave dall'interno.
Ammetto che l'erba fa la sua parte, ma é l'energia che é strana.
Sono in una specie di purgatorio tra la sofferenza e la felicità, e per quanto la sofferenza sia ormai il mio habitat naturale, la felicità ha sempre avuto una certa attrazione, anche se per la maggior parte delle volte, i ponti costruiti tra me ed essa, erano d'aria.
"Cosa ci sta succedendo?" non mi sono nemmeno accorta di aver pronunciato quelle parole, se non alla risposta di Tate.
"Siamo stanchi, Alex, di tutto"
"Si certo, quello l'ho capito, ma perché non prendiamo la nostra vita in pugno, perché ci rinunciamo in partenza?"
"Perché ci abbiamo provato, non una sola volta, e i fallimenti portano alla sconfitta e alla rinuncia"
"Non é vero" la mia testa sta elaborando un miliardo di informazioni insieme.
"Cosa non é vero?" risponde Sum guardandomi per qualche secondo.
"Non abbiamo mai preso la nostra vita in pugno. Chiedersi perché esistiamo o semplicemente fregarsene di tutto ciò che ci circonda non é prendere la propria vita in pugno. Prendere la propria vita in pugno é mandare a fanculo chi si mette tra noi e i nostri obbiettivi, e scavalcare, abbattere, chi o cosa si stanzia tra noi e la felicità. Bisogna tirare fuori le palle ragazzi o non andremo da nessuna parte.
Pensate alle donne quando volevano avere il diritto di voto, o ai contadini quando volevano sterminarli, se loro sono riusciti a rivoluzionare il mondo, volete non essere capaci di rivoluzionare la vostra vita?"
Mi guardano per qualche secondo senza alcun cenno di espressione, poi iniziano a ridere, lentamente, a bassa voce, fino ad urlare.
Mi sento umiliata, ma poi capisco che le risa non sono perché mi credono ridicola, ma perché credono ridicoli loro stessi per non aver capito tutto questo prima.
"Vaffanculo!" Sum alza il terzo dito al cielo, volteggiando vorticosamente.
"Vaffanculo!" ripete Tate.
Rido anche io, per le loro urla squinternate, gli adulti li guardano con sguardo giudizioso, mentre i giovani li guardano divertiti.
Tate mi prende in braccio, facendomi urlare per le giravolte, e corre in giro, fino a sbilanciarsi e cadere a peso morto nella sabbia.
Restiamo così, appesi su un filo tra il vuoto e il tutto, guardando il cielo.

The Angel with Green EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora