Capitolo quindici.

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Stavo mettendo in valigia le ultime cose; tra me e Dinah, non c'era nulla, insomma mi stava aiutando e basta, un po' iniziavo a pensare fingesse queste cosa.
Domani mattina finalmente però andremo da mio padre.
Il mio cellulare vibrò e il mio cuore mancò un battito nel vedere il nome di Camila sullo schermo: "Come stai?" diceva il messaggio. "Bene." Le scrissi. "sei già andata da tuo padre? Va tutto bene?" Chiese dopo un po'. "Sono ancora a Los Angeles, penso vada tutto bene? Sta per morire, come può andare?" Le scrissi ancora, sì, ero ancora arrabbiata con lei. "Non dovevo scriverti, okay, scusa" scrisse. Lasciai il telefono sul comodino e mi misi a letto. Erano solo le 4 del pomeriggio, ma dormire non mi avrebbe fatto male, così non solo mi sarei riposata ma non avrei pensato a quanto mi avesse scosso quel messaggio.

***
Mi era stato impossibile dormire, così presi un foglio e scrissi: "Scusa, ma non sei tu la persona con cui voglio andare da mio padre. Lo sai, è Camila che amo e star qui con te non ha cambiato le cose. Mi dispiace, per tutto quello che ti ho fatto e continuo a farti. Buona fortuna, Dinah." Lo lasciai sul suo comodino e me ne andai da Camila, prendendo le mie cose e i due biglietti. Forse non sarebbe voluta venire e allora ci sarei andata da sola,  ma avevo bisogno di andare da lei, baciarla, sentirmi amata come non mai a contatto con le sue labbra e dirle quanto la amo.
Senza accorgermene arrivai a casa di Camila, posai a terra il borsone con le mie cose e suonai il campanello. -Un attimo.- La sentii urlare. Mi era mancata la sua voce. Sentii la chiave della porta girare e poi mi aprì. Rimase immobile nel vedermi, aveva il corpo avvolto da una asciugamano e i capelli bagnati le scendevano sulla schiena. -Camila? È così che apri la porta? E se non fossi stata io ma qualcun altro? Entra subito dentro!- La rimproverai. Lei scossa entrò dentro de io chiusi la porta alle mie spalle, portando il borsone dentro quella grande casa. Quando entrambe realizzammo un po' la situazione, ci guardammo per qualche secondo, lei mi sorrise. -Perché sei qui?- Dissi, spezzando il silenzio. -Perché è successo tutto così in fretta, ed io prima di partire, volevo darti un ultimo bacio, visto che tu non vuoi venire con me.- Dissi, avvicinandomi di più a lei. -Perché pensi che io accetto di darti un ultimo bacio?- Chiese lei, seria. -Non lo penso, ma volevo darti un ultimo bacio, però forse è stata una cosa stupida.- dissi, avvicinandomi alla porta. -Non scappare sempre da me.- Mi disse, afferrandomi il braccio. Mi voltai e la guardai negli occhi, senza dire nulla, si avvicinò a me, lasciò sfiorare le nostre labbra e poi mi sussurrò -Ti bacio solo se mi prometti che non sarà l'ultimo.-
Presi tra le labbra con i denti il suo labbro inferiore e poi la baciai. -Ti amo, e Dio quanto mi eri mancata.- Le sussurrai. Lei sorrise. -Sì, anche tu, però adesso sbrighiamoci, abbiamo un aereo da prendere.- Ammiccò. -Cosa? Vieni con me, da mio padre?- Chiesi, sorridendole. Lei annuì e andò di sopra. Io la seguii, senza farmi vedere da lei ed entrai in camera sua. Era di spalle, e cercava qualcosa dal suo armadio. Le presi i fianchi. -L'aereo parte tra quattro ore, abbiamo tutto il tempo.- sussurrai. Lei si voltò e mi baciò. Il suo corpo nudo, cosa non era. Mi distesi sul letto, lasciandola sotto di me. -Ti amo, Lolo. Dio, quanto ti amo.- Mormorò.

Stanza 147. // CamrenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora