-XI-

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Entrarono in un piccolo boschetto, se così si può definire una serie di alberi che si estende per qualche chilometro. Il terreno era ancora bagnato per l'umidità della notte precedente, così come le mappe di muschio disegnate sui tronchi. Non c'era freddo, ma neanche i raggi del sole bruciavano la pelle. Dena e Cayus avevano ripreso a camminare ormai da qualche ora, ma nessuno dei due aveva osato nuovamente emettere un solo suono. Chissà perchè le loro discussioni non terminavano mai in modo sereno. La terra attutiva il movimento dei loro piedi, facendo in modo che neanche il rumore da loro emesso nel camminare disturbasse il silenzio tombale. Andò avanti così per un po', fino a quando d'improvviso un intenso, ma silenzioso, fischio penetrò il timpano di Cayus, che con uno scatto secco reagì tirando a sé Dena col braccio destro, e stringendo qualcosa di appuntito nel punto sinistro. Era incomprensibile come il suo cervello fosse riuscito a riconoscere il suono impercettibile di una freccia che aveva tagliato l'aria, a individuarne la traiettoria e soprattutto a scansare Dena e ad afferrare la punta dell'arma. L'unico fatto da considerare umano in tutto ciò, era che la sua mano sanguinava maledettamente. La quasi-vittima di quella che sembrava essere la pessima mira di un cacciatore di selvaggina inesperto non ebbe materialmente il tempo di capire, e metabolizzare, l'avvenuto. Aveva il corpo pietrificato e un turbinio di emozioni negli occhi. Terrore e incredulità si sovrapponevano a tutte le altre. Si voltò verso Cayus, vide che la mano continuava a sanguinargli e si convinse che quello non era il momento adatto per lasciar spazio alla debolezza o alla paura.

-Cayus- non terminò la frase poiché la voce del suo interlocutore la bloccò

-Complimenti scricciol, ottimi riflessi- sorrise sarcasticamente

-Ti sembra questo il momento di fare del sarcasmo?!-urlò. La calma del ragazzo le dava alla testa

-Comunque prego eh, salvarti è stato un onore-

-Smettila di fare l'idiota e fammi vedere quella mano-.

Lui tornò serio, posò gli occhi su Dena e subito dopo ritornò sulla ferita. Il suo sguardo perso nel vuoto.

-Siediti Cayus, ti prego lascia che ti aiuti-

-Non potresti fare nulla, tanto. E poi non mi sembra grave-

-Non avrò i tuoi riflessi, ma non sono un essere inutile. Ricordarti con chi stai parlando, cono una guerriera anch'io-.

Il ferito si lasciò scivolare sulla terra bagnata, con la schiena appoggiata ad un tronco d'albero. La mano sul terreno, il palmo verso il cielo. Non parlò. Gli capitava spesso di immergersi in momenti di silenzio che nessuno era in grado di interpretare. Potevano durare ore, minuti, istanti. Non era dato saperlo in anticipo. Di solito, quando taceva, si chiudeva in sé stesso. Non voleva dare spiegazioni a nessuno di ciò che avveniva dentro di lui, e il non parlare era un messaggio implicito: voglio stare da solo.

Purtroppo però, Dena era una tosta e non si faceva certo intimorire da delle labbra cucite! Gli si sedette accanto, e iniziò ad analizzare la ferita -Avevi ragione, è solo un brutto taglio, per fortuna- questa la diagnosi -basterà bendare il palmo e bloccare il sangue- enunciò. Il paziente ancora non parlava. -Mi serve una fascia- annunciò l'infermiera, e andò per strappare un pezzo di stoffa dal suo mantello, ma fu lì che Cayus finalmente riaprì bocca -No, faccio io-. Con la mano destra portò la parte inferiore del capo che gli ricopriva la parte superiore del corpo e ne strappò una linea con i denti. Poi tentò di fasciarsi l'arto da sé, ma stavolta fu la ragazza a fermarlo -Non potrà mai venirti bene se non usi dieci dita, genio-. Lui la guardò dubbioso, ma lei sorrise-Per favore- ogni dubbio si volatizzò.

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