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Nel giro di pochi anni, Cedric Diggory era diventato una persona perfetta. Uno studente eccellente, un ottimo cercatore, un grande amico. Tutti volevano avere a che fare con Cedric Diggory. Ma la maggior parte del tempo, lui la trascorreva con Annabel: la giovane Corvonero, crescendo, era diventata bellissima ai suoi occhi – e anche agli occhi di molti altri.
"Non torni mai a casa per Natale?" Le chiese Cedric un giorno. Erano seduti in un angolo della biblioteca, e lei gli stava rispiegando – per la terza volta – come si curavano le mandragole: la verità era che il suo ottimo rendimento scolastico era dovuto a lei. Si irrigidì di colpo nel sentirlo parlare, lasciando andare la penna che teneva tra le mani.
"Preferisco restare qui con i gemelli e Becky," disse rapidamente, per liquidare in fretta l'argomento. Lui si accigliò.
"Se potessi io passerei il mio compleanno con la mia famiglia, Annette, è questo che non capisco." Annette. La chiamava così solamente quando sapeva di toccare un tasto dolente: l'addolciva. Lei sospirò, chiudendo rapidamente i libri.
"Ced, sai che non voglio parlare della mia famiglia né del mio compleanno," iniziò, stringendo le mani attorno la copertina del libro di pozioni. "Perché continui a tentare di farmi dire qualcosa?" Aggiunse in tono sommesso, lo sguardo appena chino verso il tavolo.
"Voglio solo cercare di capire, ti conosco da quasi dieci anni–"
"Non sono neppure nove anni, Cedric. Potresti dire sette, dal momento che per due anni non ci siamo visti." Le labbra di Cedric si arricciarono in una lieve smorfia.
"Va bene, va bene," sospirò. "Ti conosco da quasi sette anni, e non so il perché del tuo nome, non so come sei arrivata qui, non so perché il cappello ci ha messo così tanto a smistarti. Non so perché Luna è la tua unica amica tra i Corvonero, o perché hai così pochi amici. Quanti sono? Cinque? Sei? Non so quasi niente di te, e vorrei poter dire di conoscerti davvero." Le labbra di Annabel formarono una linea sottile mentre allentava la stretta sul libro.
"Non mi piace avere gente intorno, sto bene così," disse semplicemente, per poi alzarsi. Sotto lo sguardo accigliato di Cedric, recuperò i suoi libri e si allontanò, uscendo dalla biblioteca, con la gonna accorciata al di sopra del ginocchio che le ondeggiava sui fianchi, e i capelli biondi sempre più chiari in netto contrasto con il nero della divisa. Cedric si abbandonò sul tavolo sospirando: la bella Annabel che ancora una volta fuggiva da se stessa.

I libri caddero di fianco la testa di Becky, facendola sobbalzare.
"Sono sveglia, Fred!" Quasi gridò, prima di guardarsi attorno spaesata, le palpebre praticamente incollate tra di loro e le labbra dischiuse. Annabel la osservava appoggiata con una mano al legno del tavolo dei Tassorosso, un sopracciglio inarcato e l'espressione di chi tentava invano di non ridere.
"Fred?" Le domandò prima di sedersi al suo fianco, poggiando pigramente la testa sulla mano. L'altra sospirò, stropicciandosi gli occhi e tirandosi indietro i capelli color tramonto. C'erano dei giorni in cui Annabel si chiedeva come l'amica avesse potuto pensare che tingersi i capelli di quel colore fosse una buona idea, ma spesso ci rinunciava: Becky Johnson non aveva un perché.
"Mi sono addormentata durante Divinazione e mi ha dato talmente tante gomitate sul fianco che credo di avere un livido grande quanto una mano di Hagrid." Sospirò, spostando lo sguardo sul suo volto. Sebbene sulle labbra della bionda fosse dipinto un sorrisetto, manteneva lo sguardo chino verso la sua mano posata contro la panca. Per qualche istante, la giovane Tassorosso rimase in silenzio a osservarla, poi batté le mani tra di loro prima di scompigliarle rapidamente i capelli.
"I gemelli hanno ritrovato la Mappa del Malandrino, Percy l'aveva nascosta sotto i libri del suo baule." Così dicendo, si alzò, tirando l'amica per la cravatta blu e nera con un sorriso divertito stampato sulle labbra.
Quando i corridoi erano particolarmente affollati, per Annabel era semplice nascondersi: era minuta e silenziosa, un po' come il suo gatto. Quanto a Becky – lei spiccava ovunque. Fu così che i due Weasley riuscirono a trovarle entrambi; Annabel, già sul punto di scappare, venne afferrata da George che, senza fatica, la sollevò da terra con un ghigno divertito sulle labbra. Fred si limitava a mantenere il braccio attorno le spalle di una Becky annoiata.
"Stavamo comunque venendo da voi," sbuffò, tentando di scrollarsi di dosso il braccio di Fred.
"Lei stava venendo da voi, io volevo–" iniziò la bionda.
"Andare a cercare Cedric," dissero in coro i gemelli. Annabel sollevò lo sguardo al cielo, dimenandosi nella stretta di George.
"No. Volevo andare a studiare Trasfigurazione." Sbuffò. Arrivati nel cortile, George la mise a terra, e lei incrociò le braccia al petto con un lieve broncio sulle labbra.
"Era già con Cedric, per questo ha la nuvola della disperazione sulla testa," dichiarò Becky, colpendo la mano di Fred posata sul suo fianco, che si ritrasse con una lieve smorfia. Annabel li guardò per qualche istante con un sopracciglio inarcato, poi scosse il capo, sospirando.
"Sei sempre di grande conforto, sai?" L'amica le sorrise con fare innocente, sollevando quindi le braccia come per stiracchiarsi, lasciando quindi ricadere le mani intrecciate dietro la sua nuca.
"Oh, pretty boy Diggory* ha colpito ancora? Questa volta ti ha ricordato di quando è caduto dall'albero sei anni fa?" Domandò Fred, lasciandosi sfuggire una bassa risata. Annabel lo colpì con il libro di pozioni, facendolo indietreggiare leggermente chinato in avanti. Becky portò una mano davanti la bocca per non scoppiare a ridere, fallendo miseramente. Non mi piace avere gente intorno, sto bene così. Era la verità; sebbene la ragazza l'avesse detto per mettere fine alla conversazione, ciò che aveva detto era vero: stava bene così, con i gemelli, Becky e Luna. E Cedric. Perché avrebbe dovuto volere altra gente attorno? Certe volte le mancavano Bill e Charlie, altre si ritrovava a parlare con Percy durante i suoi giri da Prefetto. Ma le bastava.

"È molto carino," disse una voce sottile sulla soglia della porta. Il fiore cadde sul petto di Annabel che lasciò correre lo sguardo lungo la stanza prima di notare la giovane ferma all'entrata della stanza. Luna Lovegood era una ragazzina bionda del primo anno, sempre allegra e con la testa tra le nuvole; Annabel era stata la prima ad accoglierla al tavolo dei Corvonero, e francamente le piaceva. Avesse avuto lei quella mente a undici anni.
"Luna, vieni." Le sorrise, afferrando tra la punta delle dita lo stelo del fiore ricaduto sul suo petto: era una piccola rosa bianco sporco, all'apparenza appena sbocciata.
"Mi chiedevo come mai questa cosa dei fiori, tu e Cedric Diggory lo fate di continuo," disse la più piccola, raggiungendola sul letto. Molti le avevano scambiate per sorelle, più di una volta, e ad Annabel non sarebbe dispiaciuto avere una sorella più piccola. Qualcuno da proteggere e aiutare ogni qualvolta fosse servito. Le sorrise lievemente.
"Quando Ced e io ci siamo conosciuti non sapevo ancora di essere una strega, non credevo neppure all'esistenza della magia. Così lui, per provare che aveva ragione, mi ha mostrato un piccolo trucco," rivolse i palmi delle mani verso l'alto e, dopo pochi secondi, su di essi spuntarono due piccoli soffioni. "E io, essendo parecchio cocciuta, gli ho chiesto di insegnarmelo." Spiegò, mentre lo sguardo di Luna si fissava sui fiori. Con un movimento delicato della mano, lasciò che uno volasse davanti il suo volto, facendola sorridere.
"Non è proibito parlare del mondo della magia ai babbani?" Domandò Luna, senza smettere di seguire il movimento ondeggiante del fiore. Annabel si strinse tra le spalle, lasciandosi sfuggire una bassa risata.
"Teoricamente, ma eravamo piccoli e non ci davamo molto peso. Era come se già sapessimo." Luna riportò lo sguardo su di lei: la osservò per qualche momento, gli occhi tanto chiari da sembrare argentati attraversati da una scintilla di viva curiosità. Luna aveva sempre quello sguardo.
"Quindi è una cosa tutta vostra," disse, con un sorriso a illuminarle il volto. Annabel sorrise in rimando, allungando una mano per andarle a sistemare rapidamente una ciocca di capelli, fermandogliela dietro l'orecchio.
"Quindi è una cosa tutta nostra," annuì.

Cedric aveva tentato di raggiungerla, ma vedendola con i gemelli e Becky aveva deciso che, probabilmente, era meglio tornare a concentrarsi su rune antiche, dal momento che aveva finalmente capito come non far morire una mandragola. Ma sembrava impossibile: in un modo o nell'altro, la sua mente tornava ad Annabel. Perché non gli diceva nulla? Era così solo con lui, o anche con gli altri? Non che agli altri sembrasse importare realmente della sua storia, ma a lui importava.
Voltò lo sguardo verso la pergamena sulla quale prendeva appunti con una lieve smorfia ad arricciargli le labbra ma, quando tornò a guardare il libro, trovò le rune coperte da un foglio su cui erano scarabocchiati dei versi. Sollevando lo sguardo, vide Annabel, il labbro inferiore stretto tra i denti e i capelli raccolti sul capo, fermati con una rosa bianco sporco che si confondeva con le onde e le diverse tonalità del suo biondo: due ciuffi le ricadevano dolcemente ai lati del volto, quasi incorniciandolo.
"Volevi sapere il perché del mio nome," spiegò, sedendosi nuovamente al suo fianco. La rosa emanava un profumo dolce e delicato, che spinse Cedric ad avvicinarsi lievemente alla giovane. All'inizio del foglio era stato appuntato Annabel Lee, di Edgar Allan Poe.
"Era un poeta babbano, questa è la sua ultima opera completa. Quando mio padre parla di mia madre, dice sempre che amava questa poesia tanto da darmi il nome della ragazza," continuò, sollevando distrattamente un angolo del foglio. Cedric rimase a osservarla, con le labbra appena dischiuse – amava.
Senza dire nulla, Cedric prese il foglio tra le mani e iniziò a leggere, leggermente accigliato. Annabel, intanto, sistemava la bozza del suo compito di rune senza che lui se ne accorgesse.
"Il mio amore, la mia vita, la mia sposa, nella sua tomba, là vicino al mare, nel suo sepolcro, sulla sponda del mare." Mormorò la ragazza.
"Era triste? Tua madre, era triste?" Le chiese d'istinto Cedric, posando il foglio. Annabel si strinse tra le spalle, lo sguardo chino in avanti e le labbra distese in un sorriso appena accennato; più passava il tempo, più a Cedric sembrava sorridesse di più. Ricordava perfettamente la bambina imbronciata che, quasi come una donna matura, lo affrontava con il mento sollevato e le mani sui fianchi sottili.
"Non lo so, non l'ho mai saputo. Lui – mio padre – non ne parla quasi mai," replicò. Lui non l'aveva mai sentita utilizzare quel tono, un po' malinconico un po' allegro, delicato e sicuro. Sembrava ancora più grande, e lo faceva sentire un bambino inesperto sulle dinamiche del mondo. Era bravo purché si trattasse di giocare a Quidditch, di studio, di interazioni sociali, del mondo della magia. Ma riguardo il mondo vero? Lui aveva vissuto la metà di lei, ed era più grande – di tre mesi solamente, avrebbe precisato nel sentirlo. Con un lieve sorriso le si avvicinò, posando rapidamente le labbra contro la sua guancia, delicatamente. La mia bella Annabel Lee.

*nella versione originale, i gemelli chiamano così Cedric.

than to love and be loved by me | cedric diggory [ita]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora