Quando la vita non ha valore

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A volte non ci sono parole per descrivere specifiche situazioni.

A volte non ci sono parole per esprimere determinate sensazioni.

A volte non ci sono parole per raccontare storie terribili e impressionanti.

A volte non ci sono parole perché non c'è nulla da dire.

C'è solo la tristezza, la rabbia, l'impotenza e la paura.

Emile era una ragazza di diciassette anni, bellissimi capelli biondi, splendenti occhi azzurri e un affettuoso cagnolino. Ora vaga nell'aldilà, riposa in Paradiso, si è rincarnata, forse non è più nulla, vedetela come volete.

In ogni caso, Emile non c'è più.

Non è stata uccisa da una malattia, non è stata investita in un incidente, non è stata assassinata da un criminale.

Emile è stata portata via dalla sofferenza, dal senso di colpa, dall'insopportazione. Emile si è addormentata da sola perché Emile era stanca. Stanca di dover sentire gli insulti dei suoi compagni mentre raggiungeva l'aula, stanca di dover nascondersi in bagno per avere un minuto di tranquillità, stanca di dover raccogliere i libri che le lanciavano giù dalle scale, stanca di doversi tagliarsi le ciocche di capelli su cui le lanciavano chewing gum masticati. Stanca di essere diversa dagli altri e per questo sbagliata. Stanca di non sentirsi degna di quella vita insopportabile.

Non valeva più la pena di vivere, dal punto di vista di Emile. Perché quella vita era una punizione per un reato che non aveva commesso, una vendetta per riscattare un delitto a cui non aveva preso parte, un fioretto per redimere una colpa che non aveva.

Per ogni azione che compieva, Emile riceveva un castigo.

Se Emile indossava un semplice paio di scarpe da ginnastica, le arrivava una presa in giro.

Se Emile indossava vestiti poco moderni, le veniva dato uno schiaffo.

Se Emile portava sulle spalle uno zaino non firmato, si beccava un calcio negli stinchi.

Se Emile camminava, saliva le scale, si sedeva al suo banco, riceveva uno sputo sul viso.

Se Emile respirava, allora per quel respiro, meritava un insulto.

I bulli le hanno portato via prima il rispetto, poi la dignità e infine la vita. L'avevano privata della vita molto prima che si suicidasse. Quella di Emile non era vita. Era qualcosa di molto simile all'inferno.

L'unico con cui si permettesse di raccontare la sua triste esistenza era il suo diario. Ai suoi genitori non diceva nulla, non voleva farli sentire in colpa. Di cosa? Di aver messo al mondo uno schifo come lei.

Già, lei pensava di essere quello. A furia di sentirselo dire, Emile si era convinta di esserlo.

Emile era una ragazza di diciassette anni, bellissimi capelli biondi, splendenti occhi azzurri e un affettuoso cagnolino. Emile non riusciva a comprendere il suo vero valore, non riusciva a capire chi fossero i colpevoli di quel disastro in cui viveva ogni giorno. Ma sapeva di aver superato il limite di sopportazione.

Emile, la vita ti deve delle scuse.


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