6. Live together

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Come previsto i Clifford si trasferirono da noi nel giro di qualche giorno, o meglio, Daryl iniziò a vivere a casa nostra da praticamente subito, mentre Michael andava e veniva. Il padre gli aveva affidato le chiavi della precedente abitazione nell'attesa che scadesse il contratto d'affitto e spesso il ragazzo preferiva fermarsi li per restare da solo.

Aveva bisogno dei suoi tempi e la coppia gli dava i suoi spazi. Per ora, le poche volte che si era degnato di fermarsi per la notte, aveva dormito su una brandina nella camera del mio fratellino. Con il passare del tempo tutto sembrò andare a posto e anche Michael iniziò a passare sempre più tempo in nostra compagnia; finché, dopo le tre fatidiche settimane, decise di rimanere definitivamente (ovviamente non aveva avuto altra scelta, a meno che non preferisse dormire sotto ad un ponte).

Inizialmente la convivenza con i Clifford al completo sembrò andare bene: credevo che dopotutto non sarebbe stato così difficile riuscire a sopportare Michael, anche perché di solito  se ne stava tutto il tempo con le cuffie (ipotizzai che quel suo isolamento fosse per evitare contatti con la realtà) e si aggirava per la casa come uno zombie, passandomi davanti senza nemmeno rivolgermi la parola. E a me stava bene così.

A scuola la situazione non era tanto diversa da quella a casa poiché in quel breve lasso di tempo tra i corridoi si era sparsa la voce della convivenza tra  Harris e Clifford (le notizie corrono veloci!). E Michael, dopo tutte le domande che gli venivano fatte e sopratutto le frecciatine sul fatto che ora abitasse proprio a casa della ragazza che aveva sempre preso di mira, si era chiuso a riccio. I suo solito gruppo di amici, probabilmente stufatosi dei suoi comportamenti alquanto lunatici, lo avevano emarginato. Solo uno, Calum Hood, era rimasto nella vana speranza di riuscire ad abbattere il muro che Mike aveva costruito intorno a se. Mi faceva quasi pena a vederlo così giù, non sembrava nemmeno più lui.

*  *  *

Mi guardai intorno trovando il cortile della scuola solitamente vuoto, immaginai che molti avevano visto in quell'ultimo venerdì prima delle vacanze di Autunno un pretesto per rimanere a casa. Il mio sguardo si posò su un ragazzo che avevo iniziato a conoscere fin troppo bene negli ultimi tempi; così mi diressi a passo sicuro verso al tavolo più isolato dov'era seduto, notai qualcuno lanciare occhiate incuriosite mentre prendevo posto davanti a lui.

«Mamma ci rimarrebbe male a sapere che non ti piace il pranzo che ti ha preparato.» dissi riferendomi al suo panino mangiato a metà, cercando di rompere il ghiaccio.

«Vattene.» rispose in un sibilo.

Feci un profondo respiro per restare calma ed evitare di insultarlo. «Mike, mi vuoi dire cosa c'è che non va?» continuai imperterrita, posando una mano sulla sua, cercando di dargli conforto.

Non lo avessi mai fatto: Michael tolse subito la mano da sotto alla mia saltando in piedi adirato. «Ho detto VATTENE!» ripeté, questa volta gridando.

Ora avevamo l'attenzione di tutti addosso. Perfetto.

«Se allontani anche le persone che cercano di aiutarti non ti lamentare se poi rimarrai solo!» risposi per le rime alzandomi dal tavolo e andandomene senza voltarmi.

* * *

Era l'ultima ora e Mrs Jackson stava spiegando come suo solito le noiosissime espressioni matematiche che tanto odiavo. Stavo scarabocchiando su un foglio per passare il tempo quando sentì il telefono vibrare nella tasca dei jeans. Lo presi tenendolo nascosto sotto al banco, era il messaggio di un numero sconosciuto:

Siblings by chance ♡ Michael CliffordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora