CAPITOLO UNDICI

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POV JEN

Mi sveglio martedì mattina che ho ancora in testa la serata passata con Trevor. Non so cosa mi abbia fatto, che effetto abbiano avuto su di me i suoi occhi, ma su una cosa devo essere certa: Trevor non mi piace, è soltanto uno stupido capriccio del mio corpo, qualcosa che non conosco e che, quindi, non posso decifrare.
Ma no... Non mi piace.
Io e lui siamo apposti, il bianco ed il nero, il gatto ed il cane... Diciamo che l'ultimo esempio non mi piace molto, però sicuramente si è capito il concetto.
Ieri non è venuto a scuola, probabilmente è andato a fare quel lavoro per mio padre in piscina. Oggi a scuola non è venuto alla nostra lezione in comune, ma credo abbia saltato l'ora: l'ho visto poco dopo parlare con un suo amico, credo si chiami Ruben. All'inizio ho creduto che non gli andasse di venire a lezione per paura di essere chiamato alla lavagna, poi un dubbio è sorto spontaneo nella mia testa: e se l'avesse saltata perché c'ero io e non voleva incontrarmi?
Patetico... Io, sono patetica. Perché? Perché per una volta che sono uscita con lui, non posso pensare subito a certe cose, non ci conosciamo bene, non c'è motivo per cui mi dispiaccia, eppure... Per un momento ho sperato di capire cosa ha provato lui da come mi si sarebbe rivolto oggi.
Mi presento al corso pomeridiano di astronomia e fisso gli occhi su una pianta delle stelle: mio fratello ne aveva una ed anche io, ne ho una appesa al soffitto della stanza. Mi ricordo ancora il giorno in cui me l'ha regalata, le stelle sono fosforescenti sullo sfondo nero, quindi, non appena spengo la luce, si illumina tutto il soffito. Mi addormento guardandole, mi addormento pensando a mio fratello e a quanto ci piaceva guardare le stelle in estate sul tetto di casa. Mi piacerebbe trovare qualcuno con cui farlo, qualcuno con cui avere lo stesso rapporto che avevo con mio fratello.
La faccia di Trevor perseguita i miei pensieri, ma no, lui non potrebbe mai essere così importante come lo era mio fratello.
Come se l'avessi chiamato, Trevor entra nella stanza giusto in tempo per il suo nome sull'appello, che il nostro insegnante chiama. Risponde con un 'presente' sbuffato, come se non volesse essere qui, in questo momento. Mi chiedo dove vorrebbe essere, allora.
Me lo ritrovo che si siede al mio fianco, sull'altra sedia. Sa di sigaretta, ha un leggero odore di gomma bruciata addosso. Cosa diavolo ha combinato?
Non appena mi vede, il suo viso si distende in un espressione calma, mi sorride. "Ciao, raggio di sole".
Sorrido appena, in questo momento vorrei tanto ritornare indietro nel tempo e rivivere la festa di sabato una decina di volte, forse anche di più. Ma solo perché per un momento mi sono sentita guardata, davvero. "Ciao".
Approfittando dell'appello, Trevor si sporge leggermente. "Oggi non sono venuto a matematica, posso chiederti se mi puoi passare gli appunti della lezione?"
Scuoto la testa. "Ha interrogato, non ha spiegato".
Lui sembra pensarci un secondo, poi il suo sorriso si illumina ed a questo punto per poco non cado dalla sedia. "Allora me la sono scampata".
Guardo l'insegnate e faccio finta che la sua voce non mi abbia fatta rabbrividire fino alla punta delle dita dei piedi. Sinceramente mi concentro poco su quello che dice l'insegnante ho parlato con mio fratello tante volte di questo argomento, che sposto tutta la mia attenzione su Trevor, che ora sta scrivendo qualcosa sul telefono.
Non appena alza gli occhi su di me, io mi risveglio e volto la testa, arrossendo di colpo: ebbene, ero curiosa.
Sento la sua voce ancor prima che apra bocca: "Sei curiosa, raggio di sole?"
Sì. "No".
"Allora perché sbirciavi?"
"Non sbirciavo" dico passandomi una mano tra i capelli.
Il suo sguardo segue i miei movimenti. "Ti tocchi i capelli quando menti".
"Mi è andata una ciocca davanti agli occhi".
Trevor alza un sopracciglio, divertito. "Non sei una brava bugiarda, Jen".
"Jen!"
La voce dell'insegnante mi fa saltare sulla sedia. "Sì?"
Con la coda dell'occhio devo Trevor cercare di trattenere una risata.
"Vedo che tu ed il tuo compagno siete molto in sintonia. Partirò proprio da voi, allora. Stiamo parlando della nascita dell'universo. Che ne dite di portare una bella ricerca fatta insieme per la prossima volta?"
Annuisco piano, realizzando, però, rapidamente cosa intende dire. Una ricerca, con Trevor. Vuol dire vedersi da qualche parte e fare delle ricerche, usare dei libri e magari anche intrnet. Oh mio Dio, questa prospettiva mi incuriosisce e mi impaurisce allo stesso tempo.
Mi risiedo.
"La portate per la prossima volta, secondo me siete una coppia molto affiatata, mi piacerebbe iniziare così. Fate ricerche e usate tutte le conoscenze che avete, sono sicuro che verrà bene".
Ne è sicuro? Vorrei avere io la sua sicurezza...
Per tutto il resto del corso, io e Trevor non parliamo, anche se io mi sento osservata costantemente. Lo penso perché provo la solita sensazione, quei brividi che sembrano pungermi la schiena.
Non appena finisce il corso, schizzo fuori dall'aula e poi dall'edificio, ma l'unico problema è che devo aspettare mio padre e, anche se ho cercato in tutti i modi di evitare Trevor, ora non posso più farlo.
Infatti lo vedo avvicinarsi lentamente a me, il casco della moto sotto il gomito e un sorriso spavaldo sulle labbra. "Sei scappata..."
Alzo le sopracciglia. "Pensavo mio padre stesse già qui fuori, non volevo farlo aspettare". Mi tocco i capelli. Merda, ho mentito.
Ma lui non sottolinea questa cosa, anzi, cambia argomento: "Pensavo alla ricerca. Dobbiamo vederci".
I suoi occhi mi seguono, mi scrutano anche mentre è impegnato a prendere le chiavi della sua moto dalla tasca della giacca. Fa una smorfia ed indica la moto. "Possiamo farlo subito, se vuoi".
"No... No" balbetto. "Cioè, non oggi".
"Domani?"
"Non lavori?"
"Fino alle sette, poi sono libero".
Annuisco. "Domani non posso". Devo andare ad aiutare mia madre con la sua pasticceria, domani prevede il pienone in occasione dell'apertura di una nuova sede in un'altra zona di Chicago.
"Allora giovedì".
Giovedì... Stringo gli occhi. "O... Okay".
Dove ci vedremo? Collaborerà oppure dovrò fare tutto da sola?
Sento il suono di un clacson, poi vedo la macchina di mio padre accostarsi. La indico a Trevor e scrollo le spalle. "Devo andare".
"Giovedì alle sette e mezza, va bene a casa tua?"
Casa mia? È perfetta, un luogo che conosco come le mie tasche, un luogo che reputo sicuro.
Annuisco di nuovo, anche se dentro continuo a farmi mille domande, che aumentano non appena mi allontano da Trevor e mi siedo sul sedile della macchina di papà.



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Eccomi!!

So che aspettate da tempo questo capitolo, ho ricevuto tanti messaggi e commenti da parte vostra e mi dispiace tantissimo per non aver pubblicato prima questo capitolo, ma sono stata davvero tanto impegnata. 


Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. 

Fatemelo sapere nei commenti <3 

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Oct 24, 2016 ⏰

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