CAPITOLO 16

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Le ore di lezione, insieme a Iz passano velocissime, e tra risate e pettegolezzi anche l'ultima campanella suona.

«Iz, vieni a casa mia oggi?»
«Lil oggi no, ho promesso a Chassy che sarei rimasta a casa a farle compagnia, dato che è ammalata.»

Sorrido un po' delusa alla sua risposta.
Cassandra è la coinquilina di Iz ed è una ragazza, come dire, priva di difese immunitarie.

«Ok.»

Mi limito a risponderle e dopo averla salutata mi dirigo verso casa.
A volte è davvero snervante avere la casa così lontana, mentre a volte, la maggior parte delle volte, proprio come ora, è stranamente rilassante.
Camminare mi schiarisce le idee ed è per questo che molte volte, per pensare o semplicemente per starmene in pace cammino, passeggio o corro. Non per troppo tempo, ovvio, ho una certa reputazione da mantenere.
Diciamo che mi calma, mi aiuta, in un certo senso mi consola quando sono giù di morale.

'Ma quanto siamo depresse oggi! '
Oh, sai, ogni tanto capita a tutti di avere quella giornata in cui inspiegabilmente sei trise. No?

Arrivata a casa, dopo aver fatto un lungo giro, faccio il mio solito ingresso furtivo per non incrociarlo. Ultimamente ci siamo evitati come la peste, o almeno è quello che ho fatto io. Ora mi sento già meglio.
Entro in cucina e, dopo aver preso gli ingredienti, mi metto a cucinare.
Sembrerebbe non ci sia nessuno in casa, così accendo lo stereo di Jonathan e lo collego al mio telefono. Faccio partire un serie di canzoni, le mie preferite e, senza accorgermene, trasportata dalla musica, mi metto a cantare e a muovermi a ritmo, spignattando allegramente.

Amo la musica e tutto ciò che la riguarda. È il mio calmante, il mio anti stress.
Amo cantare soprattutto in momenti come questi. Di solito ho due tipi di sfoghi, quello rapido quando, ascoltando canzoni ritmate, col quale tendo a reprimere il dolore, il vuoto o qualsiasi tipo di emozione mi affligga in quel momento, ma non a liberarmene davvero, e quello pesante quando, con musiche tristi, mi metto a pensare finendo per piangere sempre come una disperata.

Sto cucinando della pasta con tonno e panna. Amo la pasta, persino quella con la pasta di acciughe. Potrei essere scambiata per un'italiana media visto il mio consumo quasi ossessivo di cibi prevalentemente italiani, ma che ci posso fare? Mi fanno impazzire! Prendo una boul e ci metto dentro un cartoncino intero di panna. Poi prendo una scatoletta di tonno e, dopo aver tolto l'olio al suo interno, verso i resti del povero pesciolino nella terrina dove avevo precedentemente versato la panna.
Mi metto a mescolare e ad amalgamare il tutto per bene, continuando a canticchiare e a muovermi per tutto il piano cottura.

Dopo aver finito col condimento passo alla pasta.
È quasi pronta perciò preparo la terrina e prendo dal cassetto un mestolo.
Scolo la pasta e la travaso nella buol. Amalgamo il tutto ed è pronto.
Mi giro e per poco non faccio cadere la pasta. Seduto al tavolo della penisola vedo comodamente stravaccato Jonathan che mi guarda divertito.

'Oh, dannazione! '
Sono sicura al centouno per cento di essere diventata un arcobaleno.

«Bello il tuo spettacolino!»

Mi guarda con fare malizioso, quasi potesse vedermi, con la vista a raggi X. E non era nemmeno tanto difficile da fare, dato che addosso avevo solo una gonna nera, morbida a mezza coscia, ed una canotta.
Non dico nulla, non saprei cosa dire.
Mi siedo semplicemente al mio posto e mi metto una porzione di pasta sul mio piatto.
Lui continua a guardarmi ma ora soltanto curioso. Fa per prendere la terrina ma io lo blocco.

«No. Non l'hai fatta tu, e poi non me l'hai nemmeno chiesto.»

Si blocca di scatto e ritorna a fissarmi, ora come per sfidarmi, mentre io lo guardo indifferente. Ad un tratto si sporge sul tavolo fino ad arrivare vicino al mio orecchio.

«Pidocchio, posso mangiare anch'io la tua pasta?»

I brividi mi percorrono tutto il corpo, come una scarica elettrica. Decido nuovamente di non dire una parola. Gli passo soltanto la terrina. E così pranziamo in silenzio con solo il rumore delle forchette che sbattono sul piatto.

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