I was too sore for sight.

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A tutti piace la felicità. È molto più attraente della difficoltà di respirare, comprendere, vivere.
Volevano la felicità.
Lì dentro c'era la felicità.
Ma di quelle potenti, spensierate, pericolose.
Attraenti.

La musica era altissima, i miei timpani erano abituati, però. Non ascoltavo mai nulla in silenzio, lo trovavo brutto, ossimorico.
Non avevo mai visto così tanti ragazzi tutti insieme in vita mia. Mi guardavo intorno come se fossi appena venuto fuori da un utero: c'erano colori artificiali in ogni dove e cambiavano posizione così tanto velocemente che, pur provandoci, non riuscivo a seguirli, neanche spostando i soli occhi.

«Allora, dov'è la tua ragazza?» mi aveva portato dentro, s'era avvicinato pericolosamente al mio zigomo sinistro, m'aveva inondato il volto con il suo fiato caldo.
Mi ballava vicino, addosso poi un po' più lontano e poi di nuovo vicino.
Di tanto in tanto chiudevo gli occhi, era tutto così nuovo; sentivo imbarazzo ed eccitazione e nonostante centinaia di persone stessero compiendo le nostre stesse azioni peccaminose, veloci e salate, aspre, io mi sentivo fuori posto. Ancora.

«Non ridere.»
Più vicino.
«Sciogliti. Prova a ballare con me. Così.» Il suo bacino era a contatto con il mio, le sue braccia incrociate dietro al mio collo. Mi guardava negli occhi, un po' serio, un po' provocante.
Mossi il fianco, poggiai una mano sulla parte bassa della sua schiena, mi lasciai andare.
«Come ti chiami?»
«Robert. Tu?»
«Michael.»
«Sei bello. Quanti anni hai?» sentivo il suo odore, i centimetri tra di noi li mangiava a forza di parole.
Stavo tremando.
Avevo paura. Forse era davvero troppo presto. Lui era ben vestito, delicato, profumato. Ma era un uomo.
Un uomo.
«Diciotto e mezzo» aveva chiuso gli occhi, mancavano pochi secondi. Ci saremmo congiunti in un bacio, le nostre lingue avrebbero tessuto una tela, mi avrebbe preso la mano, avrebbe mugolato sulla mia bocca immacolata, mi avrebbe stretto il braccio.  Lo sapevo, era prevedibile.

Nella testa ticchettava impaziente una valigia con due bombe, dovevo scegliere il pulsante da spingere.
Scelsi la strada più semplice. Oppure no.

«Cazzo, aspetta», lo spinsi. Strillai, forse sovrastai la musica, mi allontanai e vidi la sua bocca spalancata, in segno di stupore, disapprovazione, sdegno.
«Oh, ma sei fuori?»  mi guardò e si diresse in un attimo verso il bar presente nel locale, nella stanza contigua. Io gli camminavo accanto, volevo scusarmi, pensavo a quel momento interrotto, volevo ritornarci, forse.
Ma cosa ne sapevo, attendevo un aiuto dall'alto per continuare; volevo pregare ma non m'avrebbe salvato nessuno. Del resto, avevo smesso di credere in Dio ormai da tempo.

«Mi hai spinto via, mi si è fermato il cuore.»
«Scusa, è che ...» balbettai.
«Cosa? Non ti piaccio?»
«No. Cioè, non è quello.»

Cosa dovevo dirgli? Che non avevo mai baciato una persona?
Avevo perso il tempo, mi stava sfuggendo.
Mi venne in mente la mamma, la cucina di casa mia, il silenzio del mio letto, la monotonia delle foto con le mie sorelle e la bellezza di quel calore conosciuto. Lo rimpiangevo, lo chiedevo in quell'aria torbida, girandomi su me stesso.

«Michael, scusami. Il tuo è stato un rifiuto. Non ha senso continuare né giustificarsi. Siamo in discoteca, non sono mica innamorato di te».
Mi sorrise ed andò via, scomparve tra le luci, tra la gente.
Avevo bisogno di capire. Dov'era il silenzio? Lo cercavo a carponi, nel buio. Mi girava la testa, non avevo neanche bevuto. Vedevo le luci, non sentivo aria, percepivo ansia e calore sul volto. Mi stavano sudando le mani. Ma quanto ero stupido? Non era una cosa così grave, non avevo perso la verginità con un maniaco, avevo ancora le mie cinquanta sterline e probabilmente, non era neanche così tardi.
Respirai, poggiandomi ad una colonna grandiosa che sorreggeva il soffitto insieme a tante altre copie di se stessa, in quella sala. Il mio volto era appoggiato al braccio, che tenevo piegato a mantenermi in piedi.
Stavo calmandomi, l'aria mi riempiva i polmoni.

«Non vomitare in sala, però.»
Robert era tornato, questa volta aveva un bicchiere in mano. Puzzava di alcol in modo esagerato. Provai sollievo e sentii l'odore pungente della novità.
Dietro di lui, un ragazzo alto, biondino.
Non vedevo bene il suo viso ma quando le luci si fermarono su di lui, contemplai la forma della bellezza.
Fu un secondo, il più lungo di una vita. Capii di essere omosessuale. Lo capii dal desiderio sfrenato che cresceva in me di baciarlo, di spingerlo contro il muro, prendergli la mano e scappare. Non lo guardai negli occhi ma glieli guardai bene: quanto azzurro c'era in quella circonferenza perfetta? Erano piccoli, socchiusi, inadeguati. Percepii per l'ennesima volta la mia stupidità; mi stavo contraddicendo ancora. Mi chiedevo se stessi prendendo sul serio in considerazione l'idea di ...
L'idea di cosa?
Avevo dimenticato perfino il mio pensiero. Mi era bastata una sera in un locale casuale, con una paura casuale per sentire attrazione. Eppure avevo atteso per diciotto anni e mezzo un'emozione del genere. Spostai il mio sguardo sulle labbra carnose, le vidi muoversi ma ero troppo annuvolato per intendere quali segni stessero tessendo.

«Michael, ma che cazzo? Hai preso qualcosa? » Robert sembrava divertito.
«Io, no.» ero un sussurro.
«Non ci ho messo tanto, come vedi.»

«Vai a lavarti la faccia.» Il ragazzo con un accento britannico e contaminato aveva parlato, parlato a me.

«Sto bene.»
«Smettila di fare il cazzuto. Stai facendo girare tutta la sala. Non attireresti comunque l'attenzione.» Robert barcollava con i piedi e con la voce. «Su, forza. Smetti di darmi problemi.»
«Aspetta. Guardalo, è spaesato.»
Ancora lui.
«Andreas, ti prego.»
«Robert, non sa cosa fare.» un vocione infernale mi stava schiaffeggiando con la violenza di un padre ubriaco. «Dovremmo aiutarlo, non credi? Oh, non venirmi addosso.»
Andreas si lamentò quando Robert gli versò parte del cocktail sulla maglia nera attillata.
«Non preoccupatevi.» volevo che quel canto amebeo continuasse all'infinito.
Era bello e diretto. Stavo facendo il cazzuto, sì. Mi voltai e misi un passo. Rischiai di cadere ma non caddi.
Andreas mi afferrò il braccio con possanza, un dolce dolore mi invase l'avambraccio magro ma era una tortura piacevole.
Mi impedì di cadere.
«Sto bene.»
«Andiamo fuori e smettila di ripetermi che stai bene, che palle.»

La sua mano era ancora sul mio braccio.

Notai con sorpresa che non era poi così alto, lo superavo di poco. Mi guidava gli arti, non guardavo davanti.
«Scusa ma cammini con la testa all'indietro?» sbuffò.
Fummo all'ingresso, lo salutarono.
«Dimmi dove stiamo andando.»
«Dimmi dove abiti, ti porto a casa.»
«No, sto bene.»
«Michael.»
Tutto quello che stavo vivendo non era reale. Ero nel tunnel freddo ed illusorio del sogno, mi sarei svegliato.
«Ti chiami Andreas.» ebbi la forza di dire.
«Quindi, dove ti porto?»
«Hai un bel nome.»
Gli occhi, ancora loro, mi irretivano.

«La macchina, Michael!» Mi tirò indietro, avevo cercato di attraversare senza ragione o preavviso. Andreas aveva chiuso gli occhi, sospirava ansiosamente e non aveva cambiato posizione dal salvataggio.
Le sue mani erano incrociate sul mio petto ma io ero di spalle.
«Porca miseria!» urlò. «Adesso ti riprendi. Non scherzo. Stavi per finire sotto ad una macchina, amico.» mi disse quelle parole e contemporaneamente, mi mise le mani sulle scapole, facendomi voltare, quasi con violenza.
«Perché?»
«Cosa?» era torvo.
«Perché mi stai aiutando?»
Lasciò la presa e mi sentii vuoto, pieno solo della voglia di baciarlo e dei fotogrammi delle sue labbra.

Andreas si allontanò da me, indietreggiando. Guardò il pavimento, le sue converse bianche.
Dormouth Street non dormiva, era ancora ricca di luci della notte.
«Avevo paura per te. Sali in macchina e basta domande.»
Mi indicò l'auto, feci come mi aveva detto.
«Andreas.»
«Cosa c'è ancora?»
Stai andando bene, Mica.
«Posso fidarmi? Mi porti davvero a casa?»

Andreas mi porse la mano.
Una fragranza buona mi inondò le narici. Era l'odore del καιρός, del momento giusto.

Non c'era altro da fare che vagare sotto le stelle. Del West, di solito.Where stories live. Discover now