Anime salve

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Nessuno fa l'amore alle otto di mattina.

Forse era l'ora giusta perché non ci avevamo pensato neanche. L'unico modo per togliermi lo schifo dal corpo, era quello di combatterlo con le armi della bellezza.

Il letto non era poi così grande, ci stavamo a mala pena da abbracciati.
Non avevo mai portato nessuno dei miei giochini del passato in quella casa, avevo sempre scelto di mantenerli lontani dalla mia cucina, dalla mia doccia e dai miei pennelli sparsi. Ogni tanto pensavo a quanto fossi stato stupido a tirare indietro tutti i pianti del mondo; Michael nella mia vita aveva avuto un effetto lacrimogeno: da alcuni giorni mi bastava pochissimo per esplodere.
Lo stavo facendo di nuovo, in realtà.

Ma in modo lieve e diverso.

Era avvolto nel lenzuolo con cui gli avevo coperto le nudità, rimaste esposte dopo il nostro rapporto. Anche io ero nudo, molto più di lui.

Ero più nudo di chi è nudo, perché inerme di fronte alle armi più potenti: le sensazioni. Il mio petto reggeva senza sforzo la sua testa colma di riccioli castani e potevo sentire benissimo il suo respiro caldo infrangersi contro la mia pelle. Non vedevo la sua bocca ma aveva gli occhi chiusi, incorniciati da una coltre di ciglia spesse e lunghe: dormiva appoggiato su di me, mentre io, con il braccio destro, gli avvolgevo la schiena liscia ed esile, tracciando lo stesso segmento immaginario da un po' di tempo.

Durante l'orgasmo, mi aveva urlato "Ti amo" ed io avevo riposto chinandomi sul suo volto.
Ma non avevo ricambiato. Sapevo, in fin dei conti, quanto poco potessero valere quei "ti amo" da sesso, pronunciati nella foga dell'acme (almeno da parte mia).

Ma per lui era diverso, come sempre.

Mi aveva domandato cosa fossimo ed gli avevo detto che forse, lo amavo anche io.

«Anzi, ti amo di sicuro.»

Lo avevo aggiunto al discorso con la forza dei ribelli. E ribelli perché, vi direte?
Beh, la cultura dei "ti amo" detti con facilità era stata ormai da tempo soppiantata dall'altrettanto fissista ed estrema corrente dei "ti amo" detti per la vita. Le due parole, considerate il tabù più grande dai giovani moralisti del mio tempo, io le avevo dette dopo poco, sì; ma le avevo dette con la convinzione di chi sa riconoscere l'amore quando arriva. Michael mi era entrato dentro in tutti i modi possibili e mi aveva salvato dalla mia stessa persona. Piangevo e mi arrovellavo la mente: chi avrei dovuto ringraziare per un dono così grande?

Nonostante lo avessi già ritratto, ebbi l'impulso furibondo di alzarmi e prendere foglio e carboncino. Sentivo l'ispirazione arrivare ma non volevo svegliarlo. Aspettai che fosse lui a muoversi, agevolando verso il lato opposto i respiri e le piccole stuzzicate sul materasso duro. Dopo pochi minuti lo incoraggiai a spostarsi e, lasciato il letto, mi rivestii in modo parziale. Michael aveva lasciato cadere un lembo del lenzuolo verso il basso cosicché la parte che richiedeva maggiore copertura era, di fatto, la più scoperta. Vidi che c'era la pioggia e che le macchine sfrecciavano, litigando dietro le rispettive barriere.

Mi sedetti per terra, dalla parte verso cui Michael era rivolto e con il carboncino nero, delineai sul mio blocco la sua bellissima figura slanciata.

e ripensai all'estate a quando avevo undici anni che raccoglievo le primule nel giardino di casa di nonna, ad atene sì era proprio quello il profumo dei miei battiti per niente offuscato dall'odore acido e pungente del sesso ma quello non era stato sesso cosa potevo vedere dietro quel corpo a parte il drappeggio di tessuto? delineai l'ombelico delicato ed i muscoli ma io sono libero ora o sono in catene contratti del ventre mosse i piedi e pregai non so neanche poi chi che non si svegliasse. mi guardai l'indice ed il continuo contatto tra il polpastrello ed il carboncino non solo l'aveva reso nero come la pece ma pensai anche che me lo avesse consumato. passavo le mani sul suo petto fatto di carta ed avvertivo la voglia di toccarlo ancora. lo sentivo veramente senza virgole né impedimenti come questo insensato flusso di coscienza. e sì ma chi lo ha mai visto felice un flusso di coscienza? alla impossibilità di averlo alla difficoltà di tenerlo tra le mani era subentrata in modo ossessivo la paura dell'eventualità di perderlo e sì per ora era sì ancora mio ma mi sarebbe scappato dalle tasche come una moneta era la prima volta che avvertivo paura di essere solo ancora ma la verità era che non potevo essere solo di lui nel senso di me uomo senza la compagnia sua

«E ti amo anche io.»
Lo dissi così tanto ad alta voce, schizzando l'ultima punta del suo corpo, che si svegliò.

«Ciao.» sussurrò, sorridendomi e stirandosi le braccia con un movimento rapido. Il suo corpo così esposto mi destabilizzava.
«Ti sei stancato, vero?»
«Cos' hai in mano?»
«Ah, questo? No, niente. Uno schizzo venuto male.»

Michael si mise a sedere, scacciando il lenzuolo come fosse un brutto sogno. Ancora una volta, il suo corpo senza veli mi causò una pericolosa calura in viso.
«E dai.» lo tirò via dalle mani e spalancò la bocca. «Sei assurdo, assurdo. È spettacolare, Andreas.»

mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani*

Michael lesse ad alta voce quelle parole che avevo scritto sul suo corpo, finemente. Mi chiese cosa volessi dire.
«Questo è l'addio a quello che ero.»
Si sedette su di me. Come quando eravamo a Dover e lo riscaldavo.
«Ed ora?»
«Ora, cosa?»
«Cosa sei, Andreas?»

Gli baciai il collo, mentre lui continuava a girarsi fra le mani il foglio appena sfornato.

«Non lo so cosa sono, ma almeno sono vivo. E Michael, ...» lo fermai, prima che quel bacio si trasformasse in qualcosa di azzittente. « ... tu hai tutto il merito di avermi salvato. Credevi di avere bisogno di me, ma smettiamola di dirci bugie. Chi ti chiede in modo disperato di restare sono io. Quanta vita ho perso senza te.»

«Quando si è in due sulla prua di una nave che fende le onde ed uno dei due si sta per gettare; se l'altro gli prende la mano e lo salva, salva anche se stesso. Sarebbe potuto andare a finire anche lui in mare, non credi?»

«Copriti, non prendere freddo.» glielo dissi, abbracciandolo a livello del busto.
«Pensavo non ti dispiacesse vedermi così.» si alzò di scatto. Era lui a guardarmi dall'alto adesso. Mi costrinse a corrergli dietro.
«Fortuna che t'ho trovato.»
«Fortuna che t'ho trovato.» ripeté, spingendomi di nuovo sul letto sfatto e pieno dei nostri bellissimi cattivi odori.



A distanza di un anno eravamo ancora insieme.
Eravamo felici. Facevamo progetti, non parlavamo più come bambini.
Michael stava per prendere il diploma.

S'era iscritto già alla facoltà di letteratura. Ci sapeva fare. Mi leggeva tanti di quei passi dei suoi libri ed a letto mi ripeteva alle orecchie le robe degli ultimi romantici. Eravamo ancora più innamorati di prima ed il tempo ci aveva un po' cambiati. Il signor Taylor, della London Neat Gallery, mi aveva offerto un lavoro grosso. Si trattava di una mostra da tenere in galleria per due settimane.

Inutile dire quanto fossi felice.

«Come la intitoliamo, Andreas?» m'aveva chiesto al colloquio.

«Anime salve.» avevo risposto senza esitazione alcuna.


Fine

* (Anime salve, F. de André, I. Fossati)

Non c'era altro da fare che vagare sotto le stelle. Del West, di solito.Where stories live. Discover now