You're such a hopeless romantic

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Ero disteso sul divano, al centro della sala. Mi sentivo indifeso, a tratti bello, canonico, euforico. Non sentivo un minimo di imbarazzo sulla mia pelle e sulle mie spalle.

Ero completamente nudo, a casa di Andreas. I vestiti erano sul pavimento, mentre la camicia bianca appoggiata ad uno dei braccioli. Mi osservava impassibile.

Non ci eravamo detti una parola su quello che era accaduto o sulle chiamate.

Avevo solo risposto «Sì.» al suo «Ci stai? Io riesco a comprendere molto di più in questo modo.»

Andreas era davanti a me, in piedi.
L'unico scudo a dividerci recava macchie di colore che io non potevo vedere. Ma erano tutte quante figlie di quell'uomo bellissimo che, in quella serata fresca ed annebbiata, aveva deciso di accoppiarsi con la creatività. Mi aveva chiesto di seguirlo a casa sua, dopo quella scenata in discoteca e senza dimenticarne il motivo, lo avevo assecondato. Non avevamo camminato per troppo tempo, non ero neanche stanco od assonnato. Ma sebbene fossi felice di ciò che stava accadendo in quel momento, la mia tensione ed i miei pensieri non potevano che giocare brutti scherzi al mio fisico senza resistenza.

«Non preoccuparti, capita. Va bene così.» Andreas mi fece cenno di non muovermi e di non pensare troppo a quello che stavamo facendo. Mi guardava come un invasato. Si muoveva con sicurezza ed in una mano teneva il pennello, nell'altra, invece, la tavolozza con le varie tonalità di rosa e marrone. I suoi occhi chiari erano due fessure piccole ed attente, vagavano sulla mia pelle distante alla ricerca del particolare e della similitudine. Talvolta blaterava qualcosa di incomprensibile, talaltra instaurava dei dialoghi con l'aria.
Si rispondeva da solo e non avevo neanche pensato per un attimo di trovarmi nella casa di un pazzo. I suoi coinquilini non c'erano, avevamo la casa intera a disposizione. Quella sala non era poi troppo ampia e la mobilia, casuale e poco curata, era disposta in modo convenzionale. Quando mi aveva spogliato, Andreas aveva sistemato la mia sagoma tutt'altro che inerte su quel divano di stoffa rosata. Sembrava piuttosto antico, ma non doveva essere pregiato; come, del resto, tutta quanta l'attrezzatura della sua casa.

Non volevo colmare i miei evidenti desideri insoddisfatti; ma più lo guardavo, più mi rendevo conto della bellezza che emanava come una monade luminescente. La barba bionda gli incorniciava il volto sporco di colore, sensuale anche nel movimento più breve.

«Michael, parlami.» Andreas muoveva i muscoli del volto in modo delicato.
«Mi piacerebbe sapere cosa ti passa per la testa in questo momento.»
«Vorrei che questo colore che ho sul volto mi entrasse nella pelle, attraverso i pori. In un percorso contrario al sudore.»
«Non ti viene una sfumatura?» sorrisi, quanto ero stato banale.
«L'atto del dipingere è come l'orgasmo di una donna. È fuori dal sé, completamente. Tu pensi che l'arte sia imitazione?»
«Io non sono un artista. Quindi per me lo è. Ma suppongo che per chi c'è dentro, l'arte rappresenta di più.»

Andreas scosse la testa, mosse il pennello e rise, a testa bassa. Risalì con un baffo di colore marrone scuro sulle labbra. «Sei tanto platonico.»
«Sono bravo in poesia ma in filosofia per nulla.»
«Platone reputava l'arte imitazione di imitazione. Per lui, il sensibile era solo la copia imperfetta di un mondo ideale; e l'arte, in quanto mimesi di mimesi, non può che essere negativa. Ma ci pensi?»
«A cosa?»
«Al fatto che ...» si interruppe, deglutendo ed io capii il perché. Aveva inserito dell'altro marrone sulla tavolozza e adesso picchiettava sulla parte a sinistra della sua tela su cavalletto. « ... a quanto possa esser denigratorio e distruttivo un pensiero univoco e dogmatico.»
«Platone non era troppo dogmatico, a quanto io ricordo.»
«Oh, Michael. L'Accademia non era dogmatica, ma Platone lo era. O, fondamentalmente, lo erano i suoi interpreti.»
«Cosa provi?»
«Io ti sto toccando, adesso. Mi senti?»

Non c'era altro da fare che vagare sotto le stelle. Del West, di solito.Where stories live. Discover now