A chi ha cercato la maniera e non l'ha trovata mai

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«Michael.» ero tornato da poco a casa e lo avevo trovato sul divano a leggere un libro di Thomas Hardy, accovacciato come un labrador davanti ad un camino.
«Dove sei stato?» me lo disse con il sospiro di chi ne ha sopportate tante.
«Ti risponderò tra qualche giorno.»
«Che significa?»
Mi avvicinai a lui e gli posai i palmi sul volto, sperando di infondergli della fiducia. Ma lo capivo.
«Significa che adesso non posso parlartene. Ma lo farò.»
«Andreas, stavi piangendo. E tu non piangi mai.»
«Lo so, lo so. Ma, ti prego, ti prego. Guardami ...» lo fissai in quegli occhi parlanti. « ... guardami.»
Ingoiai le lacrime che risalivano. Mi munii della forza più remota che albergava in me e cercai di suonare convincente. La verità era che non lo sapevo nemmeno io. Avrei voluto stringerlo e se me lo avesse chiesto, avrei detto "Sì, sì, sì, facciamo l'amore."

Ma non potevo.

«Questo è un momento importante per la mia vi ...»
Non mi fece neanche finire di parlare. «Andreas, sei la mia spiaggia, adesso.»
«Michael.» lo fermai.
«Voglio che tu sappia che il passato è passato per me. Conta quel che siamo insieme.»
«Michael, ti prego.»

Inevitabile, potente, travolgente, bagnato, arrivò il mio pianto.

«Amore, che succede?»
Mi asciugai le lacrime e lo rassicurai. «Nulla, scusami. Ti prometto che ti dirò tutto.»
«Perché non ora?» era così preoccupato.
«Perché non è tempo.»

S'erano fatte ormai le cinque e l'aria di Londra profumava già di Earl Grey al bergamotto ed apple pie. Io e Michael c'eravamo tenuti stretti, senza baci ma arrovellati tra le catene della fiducia reciproca. Il divano era diventato pesante e pungente, stretto per noi.

«Vuoi stare solo?» non c'era stato bisogno di parola alcuna tra noi. Era stato lui a chiedermi di riportarlo a casa e così era stato. Avevo percorso quelle strade inglesi, guidando di seconda marcia. Non l'avevo più cambiata, perché la mia mano sinistra era impegnata a stringere il pugno chiuso del ragazzo meraviglioso che avevo accanto. Al semaforo era stata dura reggere il silenzio ma non avevo null'altro da aggiungere. Accesi la radio e dopo un po' di giri, da una nota riconobbi la voce di Bob Dylan che cantava le mie emozioni: Then take me disappearing through the smoke rings of my mind. Michael mi salutò con un bacio umido e lungo e non potei fare a meno di ricambiare, sebbene la mia mente urlasse "smettila!".

«Ci sentiamo.»
«Andreas, lo sai.» annuii e lo seguii con gli occhi, aspettando che entrasse nella casa che m'aveva sconvolto l'esistenza.

** ** **

Erano passati tre giorni e dovevo attenderne altri quattro per avere una risposta. Ero rimasto a casa tutto il tempo, non avevo visto neanche Michael. Mi mancava. Tanto.
Lo avevo chiamato molte volte, la sua voce era uno sciroppo sedativo. M'aveva detto che le cose andavano bene a scuola, i suoi voti non erano cambiati e Ian White era stato spostato in un'altra classe. Sentivo sempre urlare dietro la cornetta la sorellaccia folle ma tanto amica di lui. Le fui grato.
Ma Michael aveva capito tutto. Aveva capito che non si trattava di un capriccio, di una paura passeggera. Sapeva che dovevo stare solo per rafforzare ancora il nostro legame.

Saremmo stati ancora insieme?

Era un ragazzo intelligente, non ostentava le sue bellezze e sì, c'aveva preso: avevo bisogno di lui e la paura di perderlo mi asfissiava. Aveva giocato bene, m'aveva cotto a puntino. E adesso ero a casa, a dipingere con colori caravaggeschi le tele nuove ed immacolate. Era tutto nero con sprazzi di cobalto.

C'era una stella, in alto, semplicisticamente ridotta ad asterisco bianco.
Attorno un aura, tutta chiara, che si dissolveva piano piano nello sfondo nero-marrone di una notte senza verità.
Poi in fila, sette bicchieri tondeggianti e trasparenti; sei erano vuoti, con sul fondo, una patina sopraelevata e riflettente.

Non c'era altro da fare che vagare sotto le stelle. Del West, di solito.Where stories live. Discover now