1. Un tram che si chiama...

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Milano, ottobre.

Sale arrancando sul tram, aiutata da una donna di mezza età che interroga lungamente il conducente sulla via più semplice per arrivare all'ospedale. Durante lo scambio, tutti osservano in modo discreto.

Viene fatta sedere sulla panca vicino all'obliteratrice, al posto di una ragazzina che si è prontamente alzata. Avrà settant'anni, non di più. Lo sguardo accigliato e perso nel vuoto, probabilmente intento a scandagliare una geografia interiore che non trova più riscontro nel mondo che la circonda. Ha la mascella serrata e capelli tinti di un castano chimico. E' vestita in modo semplice e ordinato da mani accorte, esibisce come unico vezzo ormai superfluo un filo di perle.

La donna che l'accompagna le si siede a fianco e le stringe una mano fra le sue, come se quel contatto fosse l'unico filo di gravità che la tiene ancorata a terra. Lei non sembra accorgersene. Si volta dall'altra parte e chiede con inquietudine, un po' a tutti un po' a nessuno: " Dove andiamo?" Nell' imbarazzato silenzio generale si concentra poi sul ragazzo seduto al suo fianco, lo fissa lungamente -chissà chi sta guardando, se suo figlio, suo marito, un fantasma..- poi si ripete: "Dove andiamo?". Lui dopo un attimo di esitazione le prende la mano libera e intercetta lo sguardo confuso. Le parla di niente, a lungo e sottovoce, con dolcezza infinita.

L'ultimo tratto prima di arrivare l'ho fatto a piedi, che a lacrimare da sola su un tram mi sentivo un'idiota.

Umanità in pilloleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora