19. Storie di pietre e occhi blu

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La donna più friulana che abbia mai conosciuto è una signora bretone senza età, con il viso spigoloso, le mani rovinate da una brutta cicatrice e gli occhi blu.

Lei il Friuli -quello vero, lontano dalle città- se l’è scelto, trasferendosi da Parigi a Topoló, ovvero dalla capitale europea per eccellenza a un borghetto abbarbicato su un versante ben esposto che, credo, anche nei momenti più floridi, non abbia mai contato  più di una dozzina di abitanti.

È lì che la incontriamo, fra le casette basse, abbracciate l’ una all’ altra per farsi coraggio. Siamo alla ricerca di casi da manuale della ricostruzione dopo il grande terremoto che ha squassato questa terra una generazione fa. Probabilmente, quando ci fermiamo a chiedere informazioni lei non vede altro che quattro sgallettate in calzoncini, macchina fotografica e occhiali da sole. 

Ci squadra da capo a piedi e resta in silenzio a lungo prima di ammettere che in effetti una casa a due piani, con ballatoio e fienile nel borgo c’è, e guarda caso, è proprio quella in cui vive col marito.  Credo sia il lampo di entusiasmo negli nostri occhi a convincerla del fatto che non siamo poi così male. “Seguitemi” una parola in tono asciutto, pochi passi e ci ritornano nella sua cucina.

Inizia il confronto. Da una parte ogni dettaglio tecnico di quel edificio, ogni trave, ogni muro ogni lesione, tutto ciò che disegni e documenti possano trasmettere. Dall’altra una voce schietta che mischia i ‘Dio Boi’ alle erre moscie, e racconta ogni particolare della casa, ogni battaglia, ogni attesa, ogni rivincita. Tutto ciò che la memoria può trattenere per il tempo di una generazione.

La signora parla di anni estenuanti e dolorosi senza battere ciglio, non cerca comprensione, non cerca empatia, rinfresca solamente il suo esercizio di tenacia, lo sforzo muscolare dello sguardo, a comunicare chiaro e tondo che lei da lì, non si muove e non si muoverà mai. Questa è casa sua, non quella che le ha concesso il destino, quella che ha conquistato, mattone per mattone.

E davvero ogni pietra si porta dietro una rivincita contro geometri e ingegneri del comune che pensavano di poter dire a una coppia di friulani come costruire casa loro (e nel tempio della burocrazia ‘il portiere ancora trema quando mi vede arrivare’, ridacchia orgogliosa la signora); ogni stanza risuona della volontà di ferro di ottenere ciò che è giusto.

Ogni fuga in malta cementizia, ogni trave in cemento, ogni lamiera, racconta la distanza siderale fra la precisione asettica di un disegno tecnico e la magnifica, imprevedibile complessità della vita, di una casa vissuta, di una signora con le mani rovinate e gli occhi blu.

Umanità in pilloleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora