17. Il bibliotecario

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Il bibliotecario più bibliotecario che possiate immaginare, alto e allampanato, in testa una lontana memoria di capelli, occhialetti squadrati e abiti di almeno un paio di taglie troppo grandi.

Allunga il collo e strizza gli occhi avvilito, in cerca del nutrito gruppo che probabilmente, contava di portare in visita al palazzo storico che ospita la biblioteca. Io e Erica ricambiamo lo sguardo un po' dispiaciute, ci siamo solo noi. L'uomo si avvicina riconoscente e prova a improntare una conversazione, temporeggia sperando nell'arrivo di qualche ritardatario. Ci parla da sopra le lenti spesse, mantenendo il mento vicino al petto. Gesticola copiosamente e porta spesso le mani tutt'ossa e legamenti davanti al viso. Mi ricorda un lottatore denutrito.

Mentre chiacchieriamo, un'altra ragazza arriva. Solo una. Dopo qualche minuto, l'uomo desiste e, un po'sconsolato, dà inizio alla visita per il suo sparuto seppur entusiasta gruppetto.

Appena varchiamo la soglia del cortile interno però, succede qualcosa: siamo nel suo mondo ora. Abbandona la postura accartocciata e distende le scapole contratte, la voce è più profonda e rilassata, lo sguardo punta lontano. Con la disinvoltura di un oratore navigato comincia a raccontarci le vicissitudini del palazzo multicentenario. Chiama tutti i proprietari che vi si sono avvicendati, per nome, come fossero vecchi amici.

Ci porta poi nel maestoso scalone principale, che conduce a un' infilata di sontuose sale affrescate. Gli ambienti sono maestosi senza essere eccessivi, dopotutto, siamo sempre a Milano. Proprio per questo mi stupisco nel notare la sciatteria che deturpa alcune stanze: sedie accatastato alla bell'e meglio, pannelli espositivi abbandonati addosso alle pareti, scrivanie e mobilia vari piazzata senza il mimino criterio. La guida intercetta il mio sguardo e sussurra mortificato: "Sai, spesso nelle biblioteche finisce tutto ciò che è indesiderato" e ho l'impressione che non si riferisca solo agli oggetti.

La visita continua, arrivano i pezzi forti. Entriamo in una sala completamente saturata di volumi appartenuti a Stendhal, meraviglia! Ci viene permesso di osservare i tomi subissati dalla grafomania del loro illustre proprietario. Riempiamo il bibliofilo di domande che ricevono ricche delucidazioni. Siamo entusiaste, lui in estasi.

Poi è la volta di Montale, diverso autore, stessa dinamica. La nostra visita si è già prolungata ben oltre l'orario pianificato.

Infine il nostro interlocutore sospira appagato e chiede speranzoso se ci sono altre domande. Non resisto.

"C'è qualche altro volume a cui sono legati aneddoti particolari"? Chiedo.

Il viso gli si illumina. Un lampo gli squarcia gli occhi.

"Aspettate qui" ordina in tutta risposta prima di scappare via.

Attendiamo per mezz'ora buona.

Alla fine ritorna carico al punto che temo possa franare su se stesso. Dalla pila di libri spuntano solo due gambe scheletriche, eppure io lo vedo, posso intuirlo il suo sorriso più grande del volto.

"Seguitemi" ci intima con la circospezione di uno spacciatore.

Ci fa entrare in una stanza immersa nella penombra, dove ci accomodiamo attorno a una tavola rotonda. Lì ci mostra i suoi tesori. Incunaboli cinquecenteschi, manoscritti Aldini, tomi che hanno salutato Gutenberg, volumi condannati alla distruzione dall'inquisizione, salvati dal Re Sole in persona, trafugati, ritrovati, dimenticati... il racconto ha perso ogni traccia didascalica, il nostro bibliotecario si alza, gesticola, si esalta. Recita per noi le imprese di questi autori antichi con il trasporto degno di una narrazione epica.

Quando ha esaurito le vicende di ciascun volume fa una pausa per riprendere fiato. Credo abbia finito, invece ci inchioda addosso uno sguardo a metà fra il terrore e l' eccitazione.

"e poi c'è questo" sussurra estraendo una chiave dalla tasca.

"Non so se funziona, non ho mai provato" confessa con voce spezzata.

Inserisce la chiave nella toppa di un imponente scrittoio antico. Gli ingranaggi scattano, l'anta in noce si apre e lascia intravedere tre volumi enormi. Afferra il primo e dobbiamo aiutarlo in due per sollevarlo. È grande più o meno quanto un tavolino da campeggio, la rilegatura è fatta in cuoio e bronzo dorato. Si tratta dell' Inferno di Dante. Indossati i guanti, gira le pagine con la delicatezza che si dedica a un neonato. I caratteri tipografici ricordano la severità dei manoscritti gregoriani, dopo ogni canto c'è un' incisione a colori di una bellezza d'altri tempi. Sottovoce ci racconta la storia del libro.

"É stato esposto solo una volta, quando è venuto in visita il presidente della repubblica"

Ci stringiamo a lui respirando piano.

Mormoriamo la nostra meraviglia a voce altrettanto bassa, chè quella stanza è diventata una cattedrale e il tavolo un altare. E al cospetto del sacro, si sussurra.

Più tardi, mentre tornavo a casa dalla visita, ho realizzato due cose:

La biblioteca Sormani è entrata di prepotenza nella mia antologia di luoghi milanesi.

E non bisogna mai sottovalutare il potere stravolgente del chiedere a una persona di parlati di ciò che ama.

Umanità in pilloleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora