15. Com'è andata veramente...

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Per coloro che fossero rimasti insoddisfatti del finale di Terminal

Mi chiedo che aspetto avessimo, lì piantati, nel bel mezzo dell'entrata alla metro. Lui ancora sull'ultimo gradino con me parata davanti. Per la foga non gli ho neanche concesso di terminare la risalita, forse perché così il dislivello a mio favore mi permetteva di fissarlo negli occhi.

Ma che dico! In quel momento non ero in grado di pianificare alcunchè. E' capitato così e basta. Chissà cosa si saranno chiesti gli avventori del bar, seduti ai tavolini a un paio di metri da noi. Me lo domando solo ora, a molta distanza da ciò che è successo. In quel momento non esisteva nulla, neanche io. L'universo era solo quello sguardo, che per una volta era alla stessa altezza del mio. Ero talmente al centro di ciò che stava succedendo...

Anche questo è un motivo per cui ho fatto così fatica a lasciarlo andare. Con lui ho fatto un passo al di fuori della mia comoda posizione di osservatrice e sono stata catapultata.. nella mia vita. Immersa negli avvenimenti fino alla gola, come da un fiume in piena, sentivo per la prima volta l'acqua gelida sulla pelle, percepivo i muscoli gonfiarsi per rimanere a galla.

Poco prima anche noi eravamo seduti a quegli stessi tavolini dai quali ora eravamo osservati. Lui aveva ipotizzato un suo nuovo trasferimento a Milano e io mi ero sentita morire. Non ci sarebbero più state quelle centinaia di chilometro a sostenere la mia vigliaccheria. Accarezzai con ostentata indifferenza il bordo del mio bicchiere mentre aspettavo che il putiferio scemasse di poco e mi restituisse il barlume di lucidità col quale sopravvivevo in sua presenza. E pensare che non avrei neanche dovuto essere lì. Avrei dovuta essere in biblioteca col naso sui libri, a ripassare per l'esame che avrei dovuto sostenere il giorno dopo. L'ultimo, il più difficile. Eppure ero lì, inevitabilmente incatenata, a immaginare un suo eventuale ritorno nella mia città d'adozione.

- Ma non ne sono sicuro, è difficile vivere qui. Non ci si innamora a Milano.

Riportai gli occhi sui suoi. Per un istante solo. Milano mi aveva permesso di innamorarmi di lui. Grazie a lui, avevo iniziato ad amare Milano. In un lampo fui lui, e mi resi conto che, probabilmente, senza volerlo, aveva dato a me e a questa città molto più di quanto avesse ricevuto. È stato il mio errore più grande. O forse l'ultimo presidio di autoconservazione che, inconsapevolmente, allontanava da me una persona che non sarei mai stata in grado di gestire. Non lo saprò mai.

Ad ogni modo, lui aveva un appuntamento e io ancora tre capitoli da ripassare. Ci salutammo poco dopo e io mi avviai riluttante verso l'università, dall'altra parte del piazzale. Ero davanti all'entrata della biblioteca quando avvertii i miei piedi fermarsi. Rimasi qualche minuto buono a fissare immobile i tornelli mentre il viavai di studenti mi scivolava addosso. Non so descrivere quegli attimi in nessun modo se non con una parola: blackout.

Non so riportare brandelli di ragionamento, sensazioni, suoni registrati in quel lasso di tempo. Solo i dettagli dei tornelli che osservavo assente, piantata lì davanti. In questo stato di trance mi vidi prendere il cellulare e mandargli un messaggio. Tre parole.

- Sei già andato?

Rispose subito, come sempre.

- Sto aspettando la metro. Che è successo?

- Niente, puoi tornare su un attimo?

- Oddio sì. Mi devi uccidere?

- Certo. Comincia a correre.

- Allora non esco.

- Dai, sto tornando alla fermata.

Riposi il cellulare in tasca e, dopo dieci minuti buoni da statua di sale, tornai sui miei passi. L' ingombrante e insostenibile assenza di pensieri come compagna e il battito del mio cuore come una trivella. Ubbidivo a una dipendenza, alla droga più potente sulla faccia della terra.

E siamo alla scena iniziale. Lui due gradini più in basso di me, con lo sguardo a livello ma lontanissimo. Credo pure di essere riuscita a scherzare, qualcosa sul fatto che dovevo ucciderlo... non ricordo.

Poi l'ho detto. Non so come sia possibile ma dalla mia bocca sono detonate queste esatte parole:

-Comunque, ci si innamora a Milano.

Sono ritornata in me nell' istante in cui ho letto il mio messaggio sul suo viso. Credo sia stata la prima volta che lo vedevo in difficoltà da quando lo conosco. Durò poco, riacquistò subito la sua maschera da sbruffone. Invocai la proverbiale voragine che mi consentisse un passaggio fino alle viscere del mondo, per coricarmici e non fare ritorno mai più.

L'avevo perso.

Non avrei più potuto stargli vicina dopo questo. Avevo rinunciato a lui definitivamente. Disse qualcosa che non ricordo, probabilmente provò anche a essere delicato senza riuscirci.

La terra ignorava le mie suppliche. Decisi quindi di scappare. Letteralmente.
Feci dietrofront e lo mollai lì, sul secondo scalino dell'uscita della metro.

Fu l'ultima volta che vidi Aydin.

Il giorno dopo passai l'esame.

Umanità in pilloleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora