La volta in cui Levi si perse al supermercato

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Levi fissò il grande edificio oltre il vetro sporco della macchina, poco prima che Kenny parcheggiasse con un brusco rumore di freni. Il centro commerciale era enorme e, nonostante fosse solo metà novembre, addobbato di luci colorate e Babbi Natale giganti. L'atmosfera della festa si respirava già all'esterno, dove le tettoie per i carrelli erano state adornate di fili rossi ed argento.

«Siamo arrivati» Kenny lo fece scendere dalla vecchia Citroen con uno strattone, prima di sbattere malamente la portiera alle sue spalle.

«Mi comprerai un gioco, zio?» chiese, lo sguardo sottile improvvisamente carico di speranza.

«No»

«Ti prego» giunse le manine in una muta supplica, mimando un leggero capriccio con le labbra.

«No»

«Uno piccolo»

«No»

La risposta era sempre la stessa, nonostante il tono di voce stesse pericolosamente cambiando: aveva imparato a conoscere quella sfumatura irritata e secca, indice che Kenny non stava gradendo affatto le sue richieste. Decise, tuttavia, di ritentare:

«Poi non ti chiederò più niente»

«No»

Sbuffò. Con quell'uomo non si poteva proprio ragionare. Infilò le mani nelle tasche del giubbetto azzurro, chinando il capo e limitandosi a camminare dietro all'imponente figura nera.

Kenny era suo zio da parte di madre. Da quando Kuchel se n'era andata – Kenny non aveva voluto dirgli dove, ma lui sospettava si fosse risposata con il tabaccaio sotto casa, che aveva chiuso il negozio proprio in quel periodo – si era ritrovato costretto a vivere con il burbero signor Ackerman, che si era rivelato tutto, tranne che uno zio affettuoso e premuroso. Aveva dovuto accontentarsi: sua madre non sarebbe tornata, impegnata come era nella nuova attività di commerciante alle Maldive. Per cui, non aveva scelta: vivere con lo zio oppure finire in orfanotrofio. Non era sicuro d'aver preso la decisione giusta, ma ormai era fatta! Almeno aveva un tetto sopra la testa e qualcosa da mangiare, già... non poteva lamentarsi troppo. Anche perché, in caso contrario, avrebbe conosciuto di nuovo il battipanni; l'ultimo incontro non era stato affatto piacevole.

«Muoviti!» la voce di Kenny lo riscosse, spingendolo ad attraversare in fretta il parcheggio, sino all'ingresso. Passò sotto al grande arco dorato, fermandosi soltanto un istante per studiare la propria figura: a cinque anni, la sua altezza era già inferiore alla media, ma il viso paffuto e le spalle tondeggianti lo facevano assomigliare più ad un pulcino impaurito, che ad un bambino sveglio e promettente. Un pulcino nero, a giudicare dai ciuffetti di capelli che spuntavano sotto il berrettino a pois. Il corpo morbido era avvolto in troppi strati di vestiti: giacca a vento, maglione, maglietta della salute; bermuda sotto i jeans ed un paio di scarponcini, oltre agli immancabili guanti bianchi di seconda mano, regalo di una vicina di casa.

In fondo, forse Kenny gli voleva bene: lo aveva imbacuccato così per evitare che si ammalasse? Senza dubbio, ma più per risparmiare sulle cure mediche, che per amore della sua salute.

Scosse il capo, barcollando tra la gente e tornando al fianco dello zio. Formavano una coppia curiosa: un uomo di bell'aspetto, allampanato e robusto, seguito da un moccioso più simile ad un rospo che ad un bambino. Attiravano indubbiamente l'attenzione: molte signore si soffermavano sui lineamenti duri e intriganti di Kenny, prima di squadrare perplesse il ragazzino che gli correva appresso.

«Zio...» Levi tese le dita nel nulla «Mi dai la manina?»

«No»

«Ma c'è gente... ho paura! Potrei perdermi»

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