Famiglia multietnica

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La casa di Hanna si trovava in una zona di campagna ed aveva un ampio cortile pieno di alberi e fiori. Non era quel tipico giardino ben curato in modo pignolo, bensì un giardino casalingo con la natura che rigogliosa ed indipendente faceva sfoggio di se stessa. Quando entrammo in casa cinque paia di occhi si poggiarono su di me, due scuri e tre chiari. -ciao- li salutai sentendomi in imbarazzo. -ragazzi lei è Gladys, la figlia di una vecchia amica mia e di vostro padre- mi presentò tenendomi una mano sulla spalla Hanna. -ragazzina ti sei fatta grande- commentò Peter dalla sua poltrona. Non pensavo l'avesse ancora, già quando ero piccola era vecchia e con le molle fuori posto. -Peter! Ancora su quella poltrona, è più vecchia di te ormai, non la vuoi proprio buttare- scherzai avvicinandomi a salutarlo. -non offendere la mia poltrona ragazzina. Sei la solita rompiscatole di una volta, solo più alta- borbottò nascondendo un mezzo sorriso. -io sono Keiji- mi stese la mano un ragazzo di qualche anno meno di me. Destiny se non sbaglio mi ha detto che dovrebbe fare ventuno anni a breve. Non assomiglia molto al fratello Eisuke, ma si riesce comunque a riconoscerlo come tale. -piacere, io sono Gladys- ricambiai la sua stretta di mano con un sorriso. -io sono Hei- si presentò una ragazza dai tratti orientali e due maglifici occhi verdi. Altro che i miei occhi marroni, mi sarebbe sempre piaciuto avere gli occhi chiari azzurri come mia madre però alla fine li ho presi da mio padre. -e io Mi-hi- la succedette una ragazza poco più grande di lei con gli occhi scuri, che le somigliava moltissimo. -ed io Dione- si presentò una ragazza dagli occhi grigi ed i capelli tinti di un giallo pastello. -wow, bei capelli- commentai sorpresa. -grazie! Se vuoi potrei farti una tinta azzurro pastello, non ti starebbe male- le si illuminarono subito gli occhi. -grazie, ma passo. Non sono da tinte io- rifiutai cercando di essere il più gentile possibile. -Dione, non sono tutti pazzi come te e Destiny nelle tinte- commentò Hei divertita. Sicuramente devo aver fatto un espressione che lasciava trapelare il mio scetticismo. -ok ragazzina, ben tornata ma ora basta. Su ragazzi aiutate vostra madre in cucina- disse Peter con il suo solito tono burbero. Uno ad uno li vidi uscire dalla stanza e mi avvicinai a lui. -come va Peter?- gli chiesi sedendomi sul bracciolo della sua poltrona. -va- disse prendendosi un giornale ed iniziando a sfogliarlo. -bene o male?- chiesi sperando di fargli dire qualcosa in più. -bene- non si è sprecato. -sono felice per te- sorrisi appena. Mi fissò con un sopracciglio alzato e sbuffò alzandosi. -aspettami qui- se ne andò in cucina tornò poco dopo con il suo passo lento. -seguimi ti mostro la casa- mi ordinò iniziando a salire le scale. Lo seguii in silenzio e sempre silenziosa lasciai che mi mostrasse ogni stanza. Ogni camera era ben illuminata da ampie porte finestre. Lo stile un po' da casa della fattoria la rendeva accogliente e mi faceva sentire bene quel largo orizzonte che stava fuori. -questo è la camera degli ospiti affiancata dal mio studio- brontolòad un tratto -è molto bella, ricorda molto la stanza dove mi ci rifugiavo ogni tanto da piccola nella vostra vecchia casa- mormorai accarezzando il legno chiaro della finestra. -cos'hai Gladys? Non credere che in quindici anni circa che non ci vediamo abbia dimenticato i tuoi sforzi di far credere che vada tutto bene quando invece non è così. Eri una pessima bugiarda da bambina e ora non sei da meno- mi fece notare sedendosi sul bordo del grande letto a una piazza e mezza. -è così evidente?- chiesi sconsolata. -ci puoi scommettere ragazzina- Ti pareva? Solo chi non mi conosce non se ne potrebbe accorgere. -dai spara- mi incitò. Mi sedetti vicino a lui e feci un respiro profondo. -io e un ragazzo che ho conosciuto cinque anni fa oggi avremmo dovuto sposarci, ma...- -senza un ma non sarebbe interessante vero?- mi chiese ironico. -può darsi. Un anno fa preciso John mi ha chiesto di sposarlo e ho accettato, in più lo stesso giorno gli ho detto di essere incinta- iniziai a raccontargli tutto dall'inizio. -e dov'è il pargoletto?- mi chiese con un espressione paterna in viso. -poco prima di essere al nono mese Zowie ha detto di essere incinta e tutti eravamo contenti. Pochi giorni dopo il parto Angelo, così lo avevamo chiamato, è morto per un problema al cuore che aveva sin da ancor prima di nascere- mormorai con il viso madido di lacrime e appoggiandomi istintivamente le mani sulla pancia. Peter mi attirò a se facendomi appoggiare la testa sulla sua spalla. -Zowie ed il suo ragazzo due mesi fa hanno discusso e lui l'ha lasciata. Ieri volevo capire perché si fossero lasciati e ho incontrato il suo ex. Mi ha detto che ha lasciato Zowie perché il bambino non è suo, che ha scoperto che è di John... l'uomo che amavo, con cui avrei dovuto avere un figlio e che volevo sposare!- scoppiai a piangere disperata. Mi ero troppo controllata nelle ore precedenti, mi dovevo liberare da tutto questo. -e lo hai lasciato all'altare- finì lui per me. -no, neanche sono entrata in chiesa. scesa dalla macchina gli ho chiesto se c'era qualcosa che doveva dirmi. Ero disposta a perdonarlo, a sposarlo lo stesso se mi avesse detto la verità in quel momento, ma non l'ha fatto e ho deciso di andarmene- spiegai asciugandomi delle lacrime. -almeno lo hai saputo prima di sposarlo, sarebbe stata più dura se lo avessi scoperto dopo. Sai quanto ci vuole per divorziare?- Sorrisi appena ma per niente convinta. -non riuscivo a guardare mia sorella in faccia questa mattina, era li tranquilla e serena a godersi la gravidanza di un figlio che avrebbe dovuto essere mio- -Gladys, sei giovane e hai tempo ad avere un altro figlio. E quando lo avrai sarà con un uomo che ti meriterà davvero e non ti farà mai soffrire- mi rassicurò. Peter è così, all'apparenza burbero e sempre scocciato. Ma in realtà è l'unico che ti sa aiutare facendoti tornare il sorriso in poco tempo. -papà, la mamma ha detto che è pronta... scusatemi non- si bloccò di colpo Eisuke. -no, non importa- mi affrettai a dire asciugandomi gli occhi con il palmo della mano. -avverto io Hanna che Gladys non scende a mangiare con noi, tu falle un po' di compagnia intanto che le faccio portare su qualcosa- disse Peter dando una pacca sulla spalla ad Eisuke. Il silenzio calò come una nevicata invernale, freddo e pesante. Dopo qualche secondo tirò fuori un fazzoletto e me lo porse. -ti è colato un po' di trucco- spiegò avvicinandosi. -grazie- mormorai flebilmente accettando il suo fazzoletto. -sai, ora che ci penso qualche volta i primi tempi in cui vivevo qui li sentivo nominare il nome Gladys, però non sapevo fossi tu- disse mettendosi le mani in tasca. -io invece ero rimasta un po' indietro sui figli che avevano, sapevo solo di Dione. D'altronde è più di quindici anni che ho perso di vista Hanna e Peter ed essendo piccola a quei tempi io volevo solo giocare con loro per divertirmi un po'- dissi facendo una lieve alzata di spalle. -in effetti ora siamo ben sei, nel frattempo siamo stati adottati io e Keiji, è nata Destiny e sono state adottate Hei ed Mi-hi- convenne con un sorriso un po' divertito. Si sentì bussare alla porta e spostai lo sguardo da Eisuke a Destiny che con cipiglio di preoccupazione mi stava osservando. -mamma e papà mi hanno detto di portavi da mangiare qui. Non stai bene Gladys?- mi chiese preoccupata. -mattinata intensa, tutto qua- cercai di sminuire il tutto. Annuì con un sorriso poco convinto e poggiò il vassoio sul letto tra me ed Eisuke. Non appena fummo rimasti da soli iniziammo a mangiare in silenzio. Nessuno dei due sa cosa dire, anche se comunque vorrei fare due chiacchere. -Eisuke- lo chiamai un po' incerta. Alzò la testa dal suo piatto e mi prestò la sua attenzione. -se ti chiedo com'è stato essere adottato ti infastidisce?- chiesi. -no tranquilla- mi rassicurò lui subito. -grazie. Volevo sapere come vi siete trovati tu e Keiji? Dev'essere stato molto... molto, magari non proprio sconvolgente, ma comunque vi siete ritrovati in un'altra famiglia, in un posto che non conoscevate con una lingua che non capivate. Tutto molto diverso da dove vivevate prima- cercai di farmi capire e spero di non aver straparlato. -ho capito quello che intendi- disse annuendo. -beh si all'inizio eravamo completamente spaesati. Io sapevo solo poche parole d'inglese, giusto quelle due o tre che ti insegnano alle elementari e basta. Già solo i modi fare sono diversi: in Giappone ci si saluta con un piccolo inchino, non con strette di mano o con baci sulla guancia tipo in Europa, le case sono più minimaliste, a scuola da noi le elementari durano sei anni, di più che qui e le valutazioni sono in centesimi. La prima volta che ho preso una B ho dovuto chiedere a Peter se era un bene o un male, non ci capivo ancora molto, in Giappone sarebbe stato un 80/90- spiegò sorridendo a quel ricordo. -e io che da piccola ero in ansia perché i miei mi avevano fatto cambiare scuola e avrei perso le amicizie che avevo prima- commentai sentendomi una stupida. -per me sarebbe stato lo stesso se non fossi stato adottato, magari sarei ancora con i miei genitori a faticare ad arrivare a fine mese- le sue parole mi sorpresero molto. -i tuoi genitori biologici sono ancora vivi?- mi venne spontaneo chiedere. -si, ma ogni anno tutti e otto andiamo una settimana in Giappone così io e Keiji stiamo un po' con loro- spiegò senza aggiungere altro. -è una cosa molto bella, ti invidio nell'avere avuto la fortuna di essere stato adottato da Peter e Hanna. Sono due persone fantastiche e anche se è un bel po' che non li vedevo non ho un solo ricordo negativo di loro- mi pulii la bocca con un tovagliolo e bevvi un sorso d'acqua. Eisuke annuì con un lieve sorriso poi si fece pensieroso. -hai detto di essere andata via dal tuo stesso matrimonio, ma perché? Non lo amavi?- Dalla sua domanda sembrava quasi che l'antagonista di tutto ciò fossi io. Scossi il capo e mi passai due dita sotto gli occhi per catturare delle lacrime che mi stavano sfuggendo. -se John mi avesse detto la verità quando glie l'ho chiesta fuori dalla chiesa io sarei stata anche disposta a sposarlo, a fare la figura dell'idiota davanti a coloro che già lo sapevano. Ma lui non me l'ha detta e allora non me la sono sentita di vivere con un fardello del genere sempre appresso fingendo di non sapere- spiegai omettendo però i dettagli. A lui bastava sapere che ero anche disposta a chiudere un occhio, ma che era stato John a perdere quest'opportunità.

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