Capitolo 13

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Lasciai che l'enorme portone si chiudesse alle mie spalle mentre, a passo spedito, avanzavo verso il lungo corridoio.
Quella mattina l'edificio era deserto nonostante fosse già mattina inoltrata.
Strano, pensai.
Solitamente c'era sempre qualcuno della band spaparanzato sui divani posti all'ingresso a sorseggiare del caffè fumante o a chiacchierare sulle ultime novità. O magari una delle ragazze che di tanto in tanto si occupavano di mettere in ordine quel casino madornale. Non si udivano nemmeno le classiche urla mattutine di quella traditrice di Marta.
Si, ce l'avevo ancora con lei.
Quel faccino e quegli occhi azzurro cielo prima o poi me l'avrebbero pagata.
L'unica cosa che in quel momento spezzava il silenzio era il ticchettio sul pavimento in marmo dei miei stivaletti nuovi in pelle.
Uno dei miei acquisti migliori durante i saldi primaverili.

Arrivata di fronte l'ufficio di Marco sistemai meglio la borsa in spalla e bussai.
Ti prego Dio, fa che non ci sia.
Fa che abbia di nuovo l'influenza. Anche un piccolo raffreddore va bene, giuro.
Nessuna risposta.
Aspettai qualche secondo e per sicurezza provai di nuovo.
Nulla. Silenzio totale.
Stranita ancor di più, abbassai di poco la maniglia per far si che la porta si aprisse e diedi una rapida occhiata dentro.
Stava lì, sdraiato sul divano, con le mani dietro la testa e gli occhi rivolti al tetto.
Era lì ed era sveglio. Non si era minimamente accorto di nulla. Possibile che non avesse nemmeno sentito bussare alla porta?
Vederlo in quel modo riportò alla mente i ricordi di quella sera a casa sua, Come se i giorni trascorsi da mia sorella non fossero stati già abbastanza tormentati.
Il pensiero di ciò che avevamo condiviso mi provocava costanti fitte allo stomaco. Il modo in cui le nostre mani si erano intrecciate con una naturalezza disarmante, come se avessero finalmente trovato l'esatta metà. Non mi ero pentita di essermi esposta tanto con lui, temevo solo che quella strana intimità potesse compromettere in qualche modo il lavoro.
Mi schiarii la voce avanzando di poco  per richiamare la sua attenzione. Quei pochi gesti sembrarono risvegliarlo da uno stato di trans, tanto da farlo scattare a sedere in un lampo.

"Ho bussato parecchie volte, credevo non ci fosse nessuno"

Ferma a pochi passi dal divano, tentai malamente di scusarmi per aver irrotto nel suo ufficio.

"Ero sovrappensiero, non ti ho sentita entrare"

Sorrisi lievemente portando entrambe le mani dietro la schiena, mentre lui ad occhi bassi tentava di massaggiare il collo indolenzito per la posizione scomoda dovuta al divano troppo piccolo.
Chissà da quanto tempo era lì.
Come da copione, l'imbarazzo calò su di noi. Quel genere d'imbarazzo che non da scampo; lo avverti, lo senti, lo respiri. Nessuno dei due osava guardarsi negli occhi, consapevoli di esser finiti dentro una bolla. Un enorme e soffocante bolla.

La vibrazione proveniente dal cellure mi distrò totalmente da quei pensieri.
Lo tirai fuori dalla tasca dei jeans  e notai che sul display una piccola icona gialla a forma di busta lampeggiava.
Nuovo messaggio da un numero sconosciuto.
Presa dalla curiosità lo aprii e lessi velocemente quelle poche parole.

So che non è passata nemmeno un'ora da quando ci siamo visti e  probabilmente penserai io sia pazzo, però mi chiedevo se ti andasse di vederci per la pausa pranzo.
Lorenzo.

In fondo sapevo si sarebbe fatto vivo in breve tempo, ma non mi aspettavo di certo che lo facesse dopo mezz'ora da quando ci eravamo salutati giù in strada.
Pensai a tutto il lavoro che c'era da fare e ai giorni di malattia che ero stata costretta a prendere.
Non potevo permettermi un permesso in quel momento, senza contare il fatto che Marco non me lo avrebbe di sicuro concesso.

Oggi sono stracolma di lavoro, mi dispiace. Possiamo fare un'altra volta?

Digitai rapidamente la risposta tornando poi con lo sguardo verso Marco.
Nei pochi secondi in cui mi ero distratta aveva cambiato postazione; seduto al tavolo con il pc portatile davanti sembrava immerso e concentrato a fissare il piccolo schermo. Lo raggiunsi sedendomi al suo fianco e prendendo dalla borsa il pennino USB contenente le bozze su cui avevo lavorato in quei giorni.

"Vieni qua e conta i miei respiri." || Marco MengoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora