20 ➳ Come to Mama

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Luke's pov


New York era gelida in quel periodo dell'anno. Quando ero arrivato, il contrasto con Los Angeles era stato traumatico nonostante fossi abituato alla temperatura fredda invernale. Forse, a rendere il tutto gelido, era il ghiaccio che avevo nel cuore a causa della mia situazione con Michael. Lui era il motivo per cui fossi tornato a New York, avevo bisogno di non pensare a lui - cosa che stavo facendo comunque - e di schiarire le idee, di prendermi un attimo di pausa da tutte quelle bugie e tutto quel dolore. Motivo per cui fossi in camera mia, avvolto da una copertina di pile con gli orsetti e la chitarra in braccio, fogli sparsi tutti attorno a me. Stavo scrivendo molto, aiutato dalla tristezza inconsolabile che provavo e dal fatto di essere a casa. Avevo molte più idee, qui, nel posto in cui ero sempre stato me stesso, senza trucchi, finti fidanzati per cui provavo sentimenti complicati e maschere. Ero semplicemente io, il ragazzo con un sogno nel cassetto e troppe idee per la testa.

«Luke, sei sicuro di stare bene? Sono due giorni che sei chiuso qui dentro e non vuoi vedere nessuno. E non sei venuto neanche a mangiare, non puoi mica vivere di crackers per il resto della tua vita sai».

Alzai la testa dai miei fogli, fissando mia madre adesso appoggiata allo stipite della porta. Era stata molto contenta di vedermi tornare a casa, nonostante non l'avessi avvisata le faceva piacere che il suo figlio più piccolo passasse del tempo con lei. Beh, perlomeno era stata contenta fino al momento in cui non aveva scoperto che le stessi nascondendo qualcosa e che non ero molto loquace. Aveva capito da sé che c'era qualcosa che non andava, come ogni madre, solo che non aveva capito cosa - e io non gliel'avrei detto per nessun motivo al mondo.

Sospirai. «Sto benissimo, mamma», risposi, tornando a strimpellare la mia chitarra come se niente fosse successo. Mi sentivo più in pace con me stesso se fingevo che non fosse successo niente; intrappolato nella mia cameretta e lontano dal mondo sembravo essere tornato ciò che ero prima.

«Oh andiamo, perché non vuoi dirmi cosa ti succede? Sono tua madre! Ho dovuto scoprire che sei gay grazie ai giornali, non tenermi più all'oscuro della tua vita. Lo apprezzerei».

Deglutii. «Non sono gay, mamma. Sono bisessuale», ripetei per l'ennesima volta, sospirando. Beh, in realtà non avevo ancora capito bene quale fosse il mio orientamento sessuale, visto che ormai avevo occhi solo per Michael, ma pensavo ancora che le tette fossero magnifiche.

«Questo non giustifica il fatto che non l'hai detto a tua madre, la persona che ti ha messo al mondo con tanta pazienza e troppo dolore - del resto partorire un bambino di quattro chili e mezzo con un testone enorme è un'impresa paragonabile a quelle di Ercole».

Fissai mia madre disgustato. «No, questo credo di non volerlo sapere, grazie. E comunque lo sai, non te l'ho detto perché non sapevo di esserlo con convinzione. L'ho capito con Michael».

E ovviamente, grazie a mia madre, ecco che mi peggioravo l'umore da solo parlando di Michael. Non avrei voluto mai più parlare di lui, almeno nel periodo che avrei passato a New York, ma era leggermente inevitabile dato che mia madre ancora pensava che fosse il mio ragazzo...

«AH! Allora si tratta di lui!», scattò mia madre, facendomi sobbalzare, «Appena hai menzionato Michael ti sei fatto così triste! Adesso mi racconti cosa ti è successo, figlio mio».

Sbuffai. «Non voglio, mà».

Mia madre mi guardò seccata, prima di correre inaspettatamente verso il letto, tirare giù i fogli e la chitarra ed abbracciarmi in modo stritolante. «Mamma! La mia musica!», mi lamentai, comunque cedendo e lasciando che mi abbracciasse. Non mi ero reso conto che necessitassi dell'abbraccio di qualcuno, con tutto ciò che stava accadendo.

Do it for the record || MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora