Nei giorni successivi non rividi più il dottore. Mia madre faceva la chemioterapia una volta alla settimana e quindi non avevo più avuto modo di vederlo.
Quel pomeriggio ero al mio lavoro part time. Lavoravo in un supermercato facendo il commesso. Paga misera per un monte ore che proprio nulla aveva a che fare con il part time. I soldi mi servivano, così da poter pagare la retta universitaria. Ero piuttosto indietro con gli studi, avevo 24 anni e avevo dato davvero pochi esami. Appena finita la scuola superiore, iniziai subito a lavorare: prima in un bar, poi in un negozio di abbigliamento maschile ed ora eccomi qui, impantanato in questo lavoro sottopagato, a sistemare il ripiano riservato alla creme che, tempo 5 minuti, sarebbe stato nel caos più totale.«Ale, sei carino anche oggi» mi disse la signora Solmini, dopo avermi dato una pacca sul sedere. Quella donna è impazzita, pensai. Una donna che aveva sposato un uomo molto più vecchio di lei, un imprenditore forse, che viveva in una ricca casa, andava in giro con la sua ricca auto e con ricchi vestiti: questa era la signora Solmini.
«Buongiorno signora. Grazie del complimento.» le dissi continuando a sistemare il ripiano. Di tutta risposta, la signora mi si avvicinò e prese ad accarezzarmi i capelli. Mi irrigidii all'istante, tanto da far cadere per terra un tubo di crema.
«I tuoi capelli... mi piacciono, sono di un colore particolare. Mi sembrano biondi a volte.» disse quasi sussurrando al mio orecchio.
Mi spostai quasi subito dalle sue carezze e raccolsi il tubo di crema dal pavimento.«Si, castano chiaro...»
Lei sorrise in modo malizioso, quindi si voltò e andò verso il banco gastronomia senza dire più nulla. Sospirai scuotendo la testa e ripresi a sistemare lo scaffale. Il suo tocco, però, mi aveva lasciato come un qualcosa di sporco. Subito pensai a Davide. La sua mano gentile, che si posò sul mio viso quella mattina, era del tutto differente dal tocco della signora. Perchè poi ci pensavo? Mi chiesi. Come aveva potuto baciarmi? Lui era un uomo ed io anche. Non è possibile.
* * *
Tornai a casa più stanco del solito e, dopo una breve doccia, mi sdraiai sul letto. Mia madre mi raggiunse in camera annunciandomi che domani mattina aveva un altro ciclo di chemioterapia e che dovevo accompagnarla. Mi rigirai dall'altra parte e, dandole le spalle, le dissi seccamente di si.
«Se non vuoi accompagnarmi, non importa. Prenderò l'autobus.» disse notando il mio comportamento.
«Ma no, ti accompagno. Non ti preoccupare»
Cercai di rassicurarla, ma poco dopo lasciò la stanza senza dire nient'altro. Sentii solo il tonfo della porta che si chiudeva alle sue spalle. Non mi scocciava accompagnare mia madre. Non era quello il problema. Avrei però dovuto rivedere quel dottore. Uno strano formicolio mi pervase in quell'istante le labbra. Mi misi subito a sedere sul letto, presi un lembo del lenzuolo e strofinai forte sulla bocca. Spensi la luce e il sonno mi colse quasi subito.
* * *
Appena giunti in ospedale, accompagnai mia madre nella sala chemioterapica e, dopo il solito timido sorriso, la lasciai con le infermiere. Sospirai a fondo, poi presi a guardarmi intorno. Non c'era alcuna traccia del dottore. Non sapevo se sentirmi sollevato o sconfortato, ma ricacciai indietro quella mia indecisione e mi sedetti su di una sedia di metallo della sala d'attesa. Quella mattina mi ero portato un libro, così da poter studiare un po' prima di ritornare al lavoro nel pomeriggio. Guardai prima l'orologio. Erano le 9.30. Poi lanciai una rapida occhiata allo studio del dottor Rossi, ma le luci erano completamente spente. Ritornai a guardare il libro. Ormai avevo letto quella stessa frase almeno dieci volte. Mi poggiai completamente sullo schienale ed i miei pensieri corsero a quella mattina. Dopo avermi baciato, il dottore si allontanò in fretta dal mio viso. I suoi occhi azzurri erano incollati ai miei, larghi per lo stupore. La mia bocca era rimasta dischiusa ed era incapace di articolare qualsiasi tipo di parola. Lui non disse nulla, ma si allontanò del tutto da me. Abbassò lo sguardo, aprì la porta e la richiuse dietro di sé.
Rimasto solo, poggiai immediatamente una mano sulla superficie della scrivania. Il cuore batteva all'impazzata e non mi era mai capitato prima di sentirmi in quel modo. Più ci ripensavo e più non trovavo una spiegazione a ciò che era successo. Perchè lo aveva fatto?, continuai a chiedermi.
Intanto continuai a guardarmi attorno. Ogni viso dei presenti aveva la stessa espressione di chi vorrebbe essere altrove, di chi si chiede il motivo per cui sia accaduto tutto questo, di chi si chiede semmai tutto tornerà come prima.
L'infermiera uscì dalla stanza e bloccò quel mio flusso di pensieri. Per un istante riuscii ad intravedere all'interno della stanza due poltrone di un azzurro freddo. Su di una sedeva mia madre, con il capo adagiato al poggia testa, con gli occhi socchiusi e l'esile braccio poggiato sul bracciolo, punto dalla flebo, che iniettava la chemioterapia. Raggelai all'istante nel vederla così pallida, così fragile. Cercai di non cambiare espressione, ma l'infermiera se ne accorse e si affrettò a chiudere la porta.
Chiusi definitivamente il libro e lo posai sulla sedia accanto. Poggiai entrambi i gomiti sulle ginocchia e misi la testa fra le mani. Continuai a respirare a fondo. In quel momento sentii una carezza sui miei capelli. Guardai immediatamente in alto e scorsi il viso del dottor Rossi.
«Alessandro, stai bene?» mi disse con un lieve sorriso sulle labbra.
«S-si...» balbettai «Tutto bene»
Abbassai lo sguardo e lui riprese a parlare.
«Scusa, ti ho dato del tu senza pensarci, ti da fastidio?»
Negai con il solo movimento della testa, nel mentre mi appoggiai nuovamente sullo schienale.
«Potrei parlarti nel mio studio da solo?»
Lo guardai in volto questa volta e non vi lessi nessun turbamento. Accennai ad un si e, dopo esserci alzati, lo seguii silenzioso nel suo studio.
«Volevo parlarti di quello che è successo quando ci siamo visti l'ultima volta» esordì lui, dopo aver richiuso la porta della studio. Deglutii con forza dopo quella premessa e, non sapendo cosa dire, restai in silenzio.
«Stai sbagliando tutto Alessandro, non è questo il modo di comportarsi...»
Non riuscii a credere a ciò che sentivo. Strabuzzai gli occhi per la sorpresa, ma ancora non dissi nulla.
«Tua madre non ha bisogno di un figlio debole. Ha bisogno di forza e di sostegno. Mi hai detto che hai paura che muoia, ma non hai mai pensato che se anche accadesse lei vorrebbe vivere questi momenti con te in gioia e serenità? Lei vorrebbe vederti sorridere, perchè il cancro è una malattia orribile. Ti senti tradito dal tuo stesso corpo. Non ha bisogno di essere tradita anche da suo figlio!»
Non riuscii a dire niente, volevo che mi parlasse ancora e non capivo il motivo di quei miei sentimenti confusi.
«Quello che cerco di dirti è che anche nelle avversità bisogna sorridere sempre. È solo con il sorriso che riusciamo a rendere migliore la giornata di chi sta male. Deprimersi ed essere arrabbiati non porta a nulla di buono. Non dico certo che devi accettare la malattia, ma anzi! Devi combatterla assieme a lei.»
Abbassai lo sguardo e portai una mano tremante sulla bocca. Aveva ragione. Sapevo che l'aveva. Avevo sempre guardato mia madre in modo diverso. Quasi non la riconoscevo più come la mia mamma. Ero arrabbiato con il mondo e maledicevo ogni cosa bella che succedeva attorno a me. Sono stato un egoista, perchè non ho pensato a lei, che aveva bisogno di me.
«Sto... sbagliando lo so, ma è difficile...» dissi sfogandomi ancora in un leggero pianto. «Per quanto ci provi mi sembra una cosa più grande di me.»
Davide si avvicinò a me lentamente e la sua mano cercò la mia spalla.
«Non sono io che ho bisogno di conforto. E' lei che sta male ed io dovrei essere forte...»
Davide si avvicinò sempre più a me e, cingendomi le spalle con entrambe le braccia, mi abbracciò forte. Dapprima rimasi impietrito, ma quell'abbraccio sciolse ogni mio dubbio. Era lì che volevo stare: tra le sue braccia. Quindi, tremante, mi aggrappai alla sua schiena e continuai a piangere silenziosamente.
Perché con lui mi sentivo così?
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Fragile
RomanceAlessandro era arrabbiato con il mondo. Ogni cosa che lo circondava lo disgustava. Riusciva a vedere attorno a sé solo sofferenza. La vita lo stava mettendo a dura prova. Davide, invece, era il suo opposto: fin troppo ottimista, riusciva a vedere...