Capitolo 4

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I giorni passarono in fretta. Non facevo altro che lavorare e studiare. Giada non si fece sentire e tanto meno io la cercai. Sbagliai,lo so, ma non sapevo come giustificarmi. L'avevo baciata, poi allontanata e non sapevo dare una risposta nemmeno a me di quanto era successo.

Davide continuava a martellarmi di messaggi. Mi chiedeva se potevamo vederci, ma rimasi sempre sul vago e non gli risposi mai chiaramente.
Mia madre intanto, riuscì sempre meno a sopportare la chemioterapia e per fortuna quella settimana non andò in ospedale. Ne approfittai,quindi, per concentrarmi sugli studi. Giovedì e venerdì avrei sostenuto due esami importanti, quindi passavo ogni momento, lontano dal lavoro, chino sui libri.
Davide mi chiamò mercoledì sera. Ero intento a studiare e, dopo una miriade di messaggi e chiamate, decisi di rispondergli.
«Perché non rispondi? Va tutto bene?»si affrettò a chiedermi con un tono di voce che andava dal preoccupato all'arrabbiato.
«Si, stavo solo studiando. Ho un esame domani.» Sospirai e mi poggiai allo schienale della sedia.
«Capisco. Scusami allora. Ero solo preoccupato...» fece una piccola pausa silenziosa di pochi secondi e, poi, continuò a parlare «Voglio vederti.»
«Devo studiare. Non posso...»
«Dopo gli esami.Magari sabato sera. Ho la giornata libera, non devo lavorare.»
«Ma io si. Almeno fino alle nove.» mi affrettai a dire seccato.
«Allora facciamo dopo le nove. Ti vengo a prendere.»
«No!» gli dissi ancora più seccato. «Senti... io non lo so che fare. Sono confuso. Siamo entrambi uomini...non ho mai avuto questo tipo di rapporto con un uomo. Non so se me la sento...»
Lui non disse niente. Sentivo solo il suo respiro. Lo stavo ferendo e in quel momento avvertii una fitta dolorosa al petto. Sollevai la mano e mi strinsi la maglia all'altezza del cuore.
«Ho capito.» disse soltanto e dopo chiuse la chiamata.
Restai fermo e immobile a fissare lo schermo del cellulare. Rilessi più e più volte il suo nome fra le chiamate ricevute. Poi abbassai lo sguardo e poggiai il cellulare sulla scrivania.
Meglio così...
Mi sentii così vuoto.

*   *   *

Riuscii a passare entrambi gli esami. I voti non erano eccellenti, ma nemmeno scarsi. Ero piuttosto soddisfatto. Ne restavano solo sei e avrei concluso quel percorso di studi così travagliato. Avevo tanti sogni e progetti quando iniziai l'università. Mi iscrissi un anno dopo il diploma alla facoltà di lettere ed ero molto motivato. Cominciai subito a dare i primi esami. Qualcuno lo superai, altri invece no. Continuai a lavorare duramente per potermi pagare gli studi, ma così facendo li trascuravo. Tornavo a casa talmente stanco, che mi addormentavo immediatamente.
Adesso mi mancava davvero poco e finalmente sarebbe finita.
Davide non si fece più sentire. Sabato sera, al termine del lavoro, pensai che fosse lì ad aspettarmi fuori dal supermercato. Invece, non c'era. Non ci sarebbe stato mai più.
Mi convinsi che lui era stata solo una parentesi. Che ne avevo avuto bisogno in quel momento, ma che non poteva nascere nulla fra noi. Dovevo solo guardare avanti e pensare a mia madre. Più cercavo di convincermi e più sentivo male allo stomaco.
Perché?
Quel sabato riuscii a trovare il coraggio di chiamare Giada e di spiegarle ciò che era successo. Mi chiese di vederci a casa sua.
«Meglio di no» le dissi prontamente. Lei però insistette. Disse che saremmo stati meglio a casa da soli. Insistette e dovetti accettare il suo invito. Mi presentai dopo il lavoro da lei e mi sorrise vedendomi sulla porta. Entrai in casa ed effettivamente eravamo soli. Quindi, posai le mie cose sul divano e mi voltai verso Giada, cercando di raccogliere un po' di coraggio per poterle spiegare il mio comportamento. Ma ciò che fece lei dopo mi stupì ancora di più. Mi corse fra le braccia e mi baciò improvvisamente sulla bocca. Cominciò a sollevarmi la maglia grigia che indossavo.
«Giada...» tentai di richiamarla «Giada aspetta... cosa fai?»
«Mi sei sempre piaciuto Ale, fin dal primo momento in cui ti ho conosciuto.» dopo continuò a baciarmi con più passione, accarezzandomi la schiena e il sedere.
«Giada... io...»non riuscivo più a ragionare. Ero così confuso. Ero andato da Giada con altre intenzioni e adesso mi ritrovavo a baciarla.
Mi spinse sul divano e, perdendo l'equilibrio, mi ritrovai presto quasi sdraiato. Ero del tutto incapace di parlare e nel mentre lei mi tolse definitivamente la maglia. Cominciò a baciarmi il collo, scendendo sempre più sul petto.
«Giada... per favore fermati.» le dissi raccogliendo quel poco di ragione che mi restava. Anche la sua maglia seguì la mia sul pavimento e restò solo con il reggiseno. Sospirai a fondo osservando quella scena dinanzi a me. I suoi seni perfetti stavano facendo vacillare il mio autocontrollo. Riprese a baciarmi,ma questa volta la fermai. Lei mi guardò confusa e con gesto timido,riavviò dietro l'orecchio una ciocca di capelli castani.
«Perché?Non ti piaccio?» mi chiese a bassa voce.
«Dio no... mi piaci, ma non nel modo in cui ti piaccio io.»
«Potremmo... farlo lo stesso... tu mi piaci... anzi credo sia di più di una cotta. Mi ritrovo a pensare a te in ogni momento della giornata...» ammise ridacchiando nervosamente.
«Allora proprio per questo non dovrei nemmeno essere qui.» Raccolsi la maglia dal pavimento e me la infilai. «Ci tengo a te, Giada, ma come amica. Nient'altro. Mi dispiace»
Lei non disse più nulla. Rimase sul divano, con lo sguardo basso, coprendosi il petto con entrambe le braccia. Raccolsi il resto delle mie cose e, maledicendo il mio essere un bravo ragazzo, uscii dalla casa.

*   *   *

Il freddo della sera mi colpì in volto, facendomi rabbrividire. Ripensai a tutto ciò che era appena successo e mi fu inevitabile fare un paragone. Avevo baciato Giada,ma non avevo sentito nulla, se non passione da parte sua. Avevo baciato Davide ed era completamente diverso. Avevo lo stomaco in subbuglio. Sapevo quello che significava, ma non volevo ammetterlo.Avevo paura che dicendolo potesse diventare reale e che non potessi più scappare via.
Mi vergognavo di questi sentimenti che, quasi senza accorgermene, due lacrime iniziarono a rigarmi la guancia. Le asciugai immediatamente con la manica del giubbotto. Non mi riconoscevo più. Ero cambiato così tanto in così poco tempo da non notarlo nemmeno.
Iniziai a incamminarmi verso la prossima meta e questa volta non avrei esitato. Avrei capito davvero i miei sentimenti.

*   *   *

Erano passate da poco le 22:30, quando arrivai a destinazione. Casa di Davide si trovava in un palazzo vecchio stile, in un quartiere di lusso della città. Aveva degli splendidi balconi in pietra decorati e, al suo interno, non aveva più di cinque o sei appartamenti.
Ero molto teso, tanto che la mia mano non voleva smettere di tremare. Cercai il suo nome sul citofono e non appena lo trovai, non ebbi il coraggio di suonare.
Respirai a fondo e mi feci forza. Suonai la prima volta, ma non ebbi alcuna risposta. Pensai che fosse uscito, ma decisi ugualmente di ritentare una seconda. Questa volta una voce dall'aria assonnata mi rispose.
«So-sono...Alessandro... scusa se sono ven...»
«Sali! Terzo piano!» esclamò senza farmi finire la frase.
Il grande portone in legno massiccio intagliato si aprì con estrema facilità e, dopo aver preso l'ascensore, fui subito al terzo piano. Davide mi aspettava sul pianerottolo. Indossava una maglia attillata nera a maniche corte e dei pantaloni lunghi grigio chiaro. Il mio cuore accelerò non appena i nostri sguardi s'incrociarono. Le mie gambe iniziarono a tremare, ma mi feci forza e andai verso di lui. Davide rimase in silenzio a guardarmi. Mi fece solo segno di accomodarmi all'interno della casa.
Questa volta non avrei esitato. Gli avrei detto cosa provavo.

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