Capitolo 17

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«Ho paura...» dissi a Davide, mentre eravamo sdraiati nel letto di casa sua, l'uno accanto all'altro.

«Di cosa?» mi chiese perplesso, girandosi sul fianco, per potermi guardare meglio.

Sollevò la mano e la posò delicatamente sui miei capelli. Me li accarezzò dolcemente. Chiusi gli occhi per qualche attimo, rilassandomi al suo tocco. Poi girai il mio viso verso di lui, incrociandone lo sguardo e ripresi a parlare.

«E' che sono felice... tanto felice. Ho imparato che la felicità non dura molto ed ho paura che tutta questa felicità che provo adesso possa svanire da un momento all'altro.»

Lui mi guardò, ma non disse nulla. Giocherellò un po' con i miei capelli, poi la sua mano scese più in basso e si posò sulla mia guancia, accarezzandola. Si avvicinò a me e, tirandomi a sé, mi baciò le labbra. Chiusi gli occhi rispondendo a quel bacio così dolce e tenero. Allontanò la sua bocca dalla mia, mi guardò per qualche attimo in silenzio. Posò, quindi la sua fronte contro la mia e mi sorrise dolcemente. Rimasi abbracciato a lui, finché non sentii le mie palpebre pesanti ed il sonno sopraggiungere.

*   *   *

Parcheggiai la macchina al solito posto e mi affrettai a ritornare a casa. Afferrai le chiavi dalla tracolla e le infilai nella toppa della porta. Ne afferrai la maniglia dorata e la sospinsi in avanti.

«Mamma, sono tornato!» esclamai, richiudendomi la porta alle spalle.

«Mamma!» esclamai ancora una volta, posando le chiavi dell'auto e di casa sul mobiletto all'ingresso.

Mi guardai attorno spaesato. Il cuore iniziò a battermi forte. Sentii all'improvviso mugugnare dal bagno. Corsi immediatamente in quella direzione ed il mio respiro si fermò alla vista di quella scena raccapricciante. Mi madre era riversa sul pavimento in una pozza di sangue che usciva dalla bocca. Mi guardò con i suoi occhi spaventati ed imploranti. Iniziai a tremare. La vista mi si annebbiò per qualche attimo, poi qualcosa sembrò destarmi. Afferrai il cellulare e chiamai immediatamente un'ambulanza, spiegando ciò che stava succedendo. Dopo presi la mano di mia madre tra le mie e la strinsi forte. Cercai di aiutarla a sollevarsi, ma perse ben presto conoscenza. Quindi preferii lasciarla sdraiata. L'ambulanza arrivò pochi minuti dopo. Due paramedici visitarono mia madre e mi chiesero informazioni su di lei. Dopo averle posato sul viso la maschera dell'ossigeno, la issarono sulla barella e la portarono all'ospedale. Afferrai le chiavi e mi diressi in fretta alla macchina. Una volta dentro presi il cellulare e, con le mani ancora tremanti, composi il numero di Davide.

«Davide... mi madre è in un'ambulanza... la stanno portando all'ospedale. Ti prego, salvala!»

*   *   *

Impaziente attesi in sala d'attesa. Non riuscii a sedermi e non riuscii a calmarmi. Davide si occupò personalmente di mia madre, facendola sistemare in una stanza del reparto oncologico. Sentii le gambe cedere e per qualche momento poggiai la schiena al muro. Stavo impazzendo. Avrei voluto entrare nella stanza e capire cosa stava succedendo, ma non potei fare altro che aspettare.

Quando ormai avevo perso le speranze, Davide uscì dalla stanza e mi venne incontro. Lo guardai nei suoi occhi azzurri, così seri in quel momento. Deglutii a fatica. Non avevo la forza di chiedere come stava mia madre. Avevo paura.

«Ale...» sospirò prima di ricominciare a parlare «Tua madre si è ripresa per ora.»

Sospirai tanto rumorosamente che echeggiò per il corridoio dell'ospedale. Sentii le ginocchia tremare e cedere. Davide se ne accorse e mi sorresse per un braccio.

«Ale, ti senti bene?» mi chiese lui preoccupato.

«Si, ero solo agitato» gli risposi, reggendomi finalmente sulle mie gambe.

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