Capitolo 13

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Il mio respiro era ancora irregolare, mentre stringevo il pugno nell'altra mano. Cercai di aprirla, ma faceva malissimo. Guardai Davide ed era ancora scosso da quanto accaduto. Lo vidi deglutire più e più volte, mentre mi guardava e mi veniva in contro. Posò entrambe le mani sulle mi spalle e mi tirò a sé, abbracciandomi.

«Grazie» sussurrò al mio orecchio. Sgranai gli occhi per la sorpresa, poi gli sorrisi, allontanandomi da lui piano.

«Lo devo seguire. Voglio assicurarmi che non parli con qualcuno dell'ospedale. Non voglio che ti crei problemi» gli dissi, voltandomi e dirigendomi verso la porta.

«Mi dispiace... che sia andata così...» mi disse Davide prima che uscissi. Mi voltai per un attimo verso di lui. Lo guardai, ma aveva lo sguardo basso e poggiava entrambe le mani sulla scrivania, coperta interamente dai fogli sparpagliati.

«Non preoccuparti» mi affrettai a dirgli, poi aprii la porta e me la richiusi alle spalle. Vidi mio padre alla fine del corridoio entrare nella stanza di mia madre, con una benda sulla guancia.

Corsi per tutto il corridoio e raggiunsi la stanza. La porta non era completamente chiusa. Stavo per afferrarne la maniglia per sospingerla in avanti, ma i miei movimenti furono bloccati dalle parole di mio padre che potevo ben udire.

«Stava baciando il dottore!» urlava mio padre «Ti rendi conto?!»

«Quindi?» disse mia madre con naturalezza.

«Come quindi? Alessandro stava baciando il dottore nello studio e questo non ti preoccupa?» chiese ancora mio padre a mia madre.

«Perchè dovrebbe preoccuparmi?» ripose mia madre con un'altra domanda.

«Oh andiamo!» esclamò mio padre battendo forte le mani sul tavolo della stanza «Alessandro è... è...»

«Gay?» intervenne mia madre

Mio padre sospirò così forte da poterlo sentire fuori dalla porta.

«Me lo aveva già detto» aggiunse lei.

«E tu non hai fatto nulla?»

«Alessandro è felice, è più sereno. Sta completando i suoi studi e lavora come un matto. Perchè avrei dovuto fare qualcosa? Se lui è felice lo sono anche io!» esclamò mia madre ed inevitabilmente sorrisi.

«Non posso accettarlo! Non... è normale!» disse lui ed il mio sorriso scomparve «Lui è... malato! Non voglio un figlio così! Non lo considero più mio figlio!» disse lui urlando.

«Non è mai stato tuo figlio!»esclamò mia madre «Non l'hai mai considerato tale. Abbiamo avuto Alessandro e già frequentavi un'altra donna. Pensavi che non lo sapessi, beh... ti sbagli. Sei stato una delusione come marito e come padre. Quindi ciò che pensi di mio figlio, non m'interessa!»

«Sei pazza quanto lui...» disse sospirando mio padre.

«Se davvero pensi questo, Massimiliano, preferisco che tu non ti faccia più vedere. Stai lontano da mio figlio e da me!»

Sentii i passi di mio padre avvicinarsi sempre più alla porta, la quale si aprì di scatto. Feci un passo indietro, per non esserne travolto all'apertura. Mio padre rimase per un attimo sorpreso nel vedermi. Mi guardò con disprezzo per qualche secondo, poi mosse qualche passo, diretto verso l'uscita.

«Aspetta!» dissi fermandolo.

Lui si voltò e posò il suo sguardo carico di odio verso di me. «Che cosa vuoi?» mi chiese.

«Voglio chiederti scusa, per il pugno.»

Lui schioccò la lingua e scosse la testa. Sul suo volto si palesò un sorriso carico di astio. «Sei proprio una femminuccia se ti scusi per un pugno...»

«Non si tratta di questo. Mia madre mi ha insegnato che con la violenza non si ottiene nulla e che quando sbaglio è giusto chiedere scusa» feci una piccola pausa per un sospiro e poi continuai a parlare «Non mi scuserò per il mio amore per Davide, perchè per me è giusto ed è normale. Se non puoi accettarlo, non posso farci nulla, ma io continuerò ad amarlo comunque vadano le cose.»

Mio padre scosse ancora la testa, alzando gli occhi al cielo. Poi si voltò e s'incamminò verso l'uscita dell'ospedale senza più dire nessuna parola.

Dopo un grande sospiro entrai nella stanza di mia madre. Il suo viso pallido contrastava con le pareti azzurre della stanza. Era seduta sul letto e poggiava la schiena al cuscino dietro di lei. Il braccio magrissimo, a cui era attaccata la flebo, era adagiata sulle gambe, coperte dal lenzuolo e da una pesante coperta marrone scuro. Mi avvicinai a lei, la quale aveva una espressione serena e addolcita.

«Mi dispiace che tu abbia sentito tutto» mi disse lei, non appena mi fui seduto sulla sedia accanto al suo letto.

«Mi hai difeso e sono contento» le dissi prendendole la mano ed accarezzandola.

«Quindi... tu e il dottore?» mi canzonò lei, ridacchiando.

Arrossii immediatamente al suo dire ed annuii lentamente, abbassando lo sguardo.

«Mi sembra una brava persona.»

«Si, lo è» le dissi subito, alzando lo sguardo verso il suo volto sorridente.

«Allora sii felice Alessandro e vivi la tua vita.»

* * *

Lasciai mia madre riposare nella sua stanza. Attraversai tutto il corridoio e arrivai dinanzi l'ufficio di Davide. La porta era chiusa, così prima bussai. Sentii la sua voce dall'altro lato della porta dirmi di entrare. Sospinsi la porta in avanti e vidi Davide e una infermiera intenti a rimettere a posto l'ufficio. Il pugno che avevo sferrato a mio padre aveva creato non poco scompiglio nella stanza. Alcuni fogli erano volati via e molti erano sparpagliati sulla scrivania. La pianta che solitamente stava nell'angolo della stanza era caduta, riversando tutto il terriccio sul pavimento. Anche qualche libro era volato per terra.
L'infermiera mi guardò per un attimo perplessa, poi continuò a riordinare i fogli sulla scrivania, riavviando continuamente dietro l'orecchio un ciuffo di capelli castani che prepotentemente continuava a caderle in avanti.

Davide prontamente le disse che poteva andare e che avrebbe continuato da solo a sistemare la stanza. L'infermiera dapprima protestò, ma poi con un gran bel sorriso si congedò. Prima di uscire rivolse ancora uno sguardo fugace a Davide, che però era intento a sistemare dei documenti.

«Mi dispiace per il disordine» gli dissi non appena rimasi solo con lui nella stanza.

«Non importa» mi disse con un tono insolitamente freddo.

«Ti posso aiutare?» gli chiesi, afferrando qualche libro e rimettendolo sulla scrivania.

«Potresti raccogliere i libri e i fogli, per favore?»

«Si, certo» gli risposi e continuai a raccogliere ogni cosa caduta sul pavimento durante la colluttazione con mio padre. Risollevai la pianta e con le mani riempii, con il terriccio caduto, il vaso. Schiacciai bene, affinchè la pianta rimanesse in piedi. Intanto Davide aveva finito di riordinare le cartelle cliniche e le aveva disposte sulla scrivania in modo ordinato. Lavai le mani nel piccolo bagno nel suo ufficio. Quindi, mi sedetti su una poltrona davanti a lui.

Davide si adagiò sulla poltrona, posandosi completamente allo schienale della poltrona. Sospirò e, con il telecomandino, ridusse ulteriormente la temperatura del condizionatore.

«Mio padre non ha detto nulla a nessuno» annunciai, sporgendomi in avanti e posando entrambe le mani sulla scrivania, divenuta fredda per la bassa temperatura.

«Capisco...» disse lui con un sospiro.

«I miei hanno litigato e penso che non rivedrò più mio padre...»

Sul volto di Davide si disegnò una strana espressione, che mai gli avevo visto fare. Abbassò subito lo sguardo, poi prese a parlare piano.

«Mi dispiace... non avrei mai voluto che succedesse questo. Ti sto causando un sacco di problemi.»

«Cosa? No... non è vero...» subito lui m'interruppe.

«Forse è meglio finire qui la nostra storia» disse lui con un fil di voce.

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