Capitolo 5

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«Posso offrirti qualcosa?» mi chiese Davide, facendo qualche passo verso la cucina.

«Un bicchier d'acqua può andar bene...» gli risposi timidamente. Non avevo il coraggio di guardarlo in volto, così distoglievo lo sguardo non appena incrociavo il suo.

Mi strinsi nelle spalle e, a testa bassa, sollevai una mano, poggiandola sul gomito. Strinsi nervosamente il braccio e, forse, accorgendosene, Davide mi invitò a sedermi su di una delle poltrone nel salotto. Non mi disse nient'altro e lo vidi scomparire dietro la porta della cucina.

Mi diressi verso la poltrona, ma il mio corpo sembrava non rispondermi più. Rimasi in piedi ancora con lo sguardo basso. Cercai invano di scrollarmi di dosso quella sensazione, ma non ci riuscii.

Davide ricomparve con in mano un bicchiere colmo d'acqua, che mi porse immediatamente. Per un istante le nostre dita si sfiorarono e lo stomaco prese di nuovo a farmi male.

Sorseggiai piano l'acqua, la cui freddezza sembrò spegnere l'incendio che avevo in gola. Davide non scollava i suoi occhi azzurri da me. Al contrario, io non riuscivo a sostenere il suo sguardo.

«Come mai sei qui?» mi disse rompendo quell'assurdo silenzio che si era creato.

Deglutii l'ultimo sorso d'acqua che rimaneva nel bicchiere, per poi poggiarlo sul tavolino vicino a me.

«Ecco...» esordii malamente. In realtà non sapevo cosa dirgli. «Mi dispiace se sono piombato così, magari dormivi...»

«In effetti, mi ero addormentato leggendo un libro, ma non preoccuparti.»

«Ah...» abbassai ancora lo sguardo. Puntai dapprima al tavolinetto, dove avevo poggiato il bicchiere, poi ancora verso Davide, che continuava a fissarmi incuriosito.

«Cosa succede? Tua madre sta male?» mi chiese allarmato questa volta.

«N-no, non si tratta di questo.» mi affrettai a dirgli.

Sembrava sempre più spazientito. Incrociò le braccia al petto e continuò a parlare. «Quindi, perchè sei qui? Mi era parso di capire che dovessi lavorare...»

Non gli permisi di continuare la frase.

«Scusa, credo sia meglio che vada.» dissi, senza pensarci due volte e iniziai a incamminarmi verso la porta. Davide mi afferrò il braccio, stringendolo forte quasi da farmi male. Mi bloccai all'istante e mi voltai verso di lui.

«Lasciami.» gli dissi con poca convinzione.

«Perchè sei venuto qui?»

«Non è importante. Lasciami per favore!»

«Dimmelo!»

M'incalzò ancora. Guardai il suo viso ed ora era veramente arrabbiato. Non lo avevo mai visto in quel modo. Cercai di divincolarmi, ma invano. Lui stringeva il braccio sempre più forte.

«Mi stai facendo male, Davide!»

«Non ti lascerò fino a quando non mi dirai la verità. Perchè sei venuto qui?!»

Non potevo scappare ancora dai miei sentimenti. Non potevo farlo di nuovo. Il mio cuore e tutto me stesso non me lo permetteva. Dovevo affrontare Davide. Dovevo dirgli la verità. Dovevo dirgli che...

«Ho bisogno di te.» ammisi con un fil di voce. Lo vidi trasalire e strabuzzare gli occhi. La presa dal mio braccio si allentò piano. Non disse nulla, restava solo a guardarmi.

«Ho... provato ad andare avanti, a convincermi che eri solo una parentesi, un capriccio senza significato. Ma non sentirti, non vederti mi fa male.» feci una piccola pausa e lui lasciò andare del tutto il mio braccio. «Sono stato uno stupido a dirti quelle cose per telefono. Ti ho ferito e mi dispiace. Credo che avessi paura di ciò che provo per te.»

Sollevai il braccio e strinsi forte un lembo della mia maglia, all'altezza del cuore, che batteva all'impazzata.

«Con te mi sento fragile, ma al tempo stesso forte. Lo so è un controsenso.» ridacchiai nervoso «Quello che cerco di dirti è che provo qualcosa per te...» dissi raccogliendo tutto il coraggio di cui ero capace.

Davide era sconcertato, potevo leggerlo nel suo volto e nello sguardo fisso nel mio. Allargò le braccia e mi cinse le spalle. Mi abbandonai in quell'abbraccio senza neanche pensarci. Come poteva quel gesto così semplice riempirmi di così tanto calore? Cinsi la sua vita con le mie braccia tremanti. «Sono così felice...» mi sussurrò all'orecchio. Sorrisi e lo strinsi più forte a me. «Anch'io» gli dissi, sussurrando a mia volta.

Allontanò il suo corpo dal mio, seppur continuando a poggiare le sue mani sulle mie spalle. Sollevai di poco il mio viso e cercai le sue labbra. Ci baciammo con più passione rispetto alla prima volta. Posò la sua mano sulla mia nuca, mentre l'altra era impegnata a togliermi il giubbotto, che non tardò a finire sul pavimento.
Sentivo il viso in fiamme, mentre continuava baciarmi, stuzzicandomi la lingua con la sua. Prese ad accarezzarmi dolcemente la schiena. Potevo sentire infiammarsi ogni parte che mi toccava. Le sue labbra scesero nell'incavo del mio collo e, quasi involontariamente, emisi un gemito. Davide mi sfilò la maglia e la buttò sul pavimento. Era chiaro quello che stava per succedere.

«Davide...» gli dissi quasi sussurrando. Lui mugugnò qualcosa, mentre continuava a baciarmi il collo. «Davide... io... non...»

«Cosa c'è?» mi chiese, accarezzandomi una guancia.

«Io non l'ho mai fatto con un uomo... non so cosa fare...»

Lui mi sorrise dolcemente e senza dire una parola, mi prese per mano e mi condusse in camera da letto.

Ero teso ed impacciato con i movimenti. Cercai di togliere la maglia di Davide, ma non ci riuscii. Lui riprese a baciarmi sulle labbra, con più dolcezza e dopo ci sdraiammo sul letto. Lui fu subito sopra di me. Mi coprii istintivamente gli occhi. Provavo vergogna, ma allo stesso tempo molta eccitazione.

«Ale, rilassati...» mi sussurrò lui dolcemente. Aprii gli occhi e guardai i suoi, così belli e profondi, di un colore particolare. Anche lui rimase presto a torso nudo. Non avevo mai visto il suo fisico asciutto, ma muscoloso.

Afferrò la mia mano e se la portò al petto. Potei sentire il suo cuore che batteva forte, quasi quanto il mio. Riprese a baciarmi e la sua mano mi sbottonò i pantaloni. Ancora un gemito fuoriuscì dalla mia bocca.

Ero felice e non poteva essere altrimenti. Tutti i suoi baci, tutte le sue carezze, mi chiedevo come avessi fatto fino a quel momento a vivere senza. Era lì che dovevo stare: in quel letto, fra le sue braccia. Non mi importava più di nulla, volevo solo che mi toccasse ancora, che mi baciasse. Volevo essere suo.

Suo.

*   *   *

Nella borsa del lavoro, che avevo dimenticato sul pavimento all'ingresso della casa di Davide, il telefono aveva squillato incessantemente. Sul display compariva "mamma".

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