Capitolo 18

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Mia madre era ricoverata all'ospedale da ormai una settimana. Saltai il lavoro per parecchi giorni, per poterla assistere e il direttore del supermercato mi tagliò anche lo stipendio per i miei giorni d'assenza.

«Perchè mi ha tolto dei soldi?» chiesi arrabbiato al direttore, in un pomeriggio di fine ottobre.

«Perchè non sei venuto a lavorare, mi sembra ovvio» mi disse, guardandomi con superiorità.

Si appoggiò completamente allo schienale della poltrona e la pancia prominente fece capolino dalla scrivania.

«Anzi, direi che forse è meglio se non vieni più» mi disse ancora, grattandosi il capo, ricoperti di ben pochi capelli ingrigiti.

«No aspetti, io non ho nessun altro lavoro. Mia madre è in ospedale... è per questo che non sono potuto venire al lavoro...» gli dissi, poggiando entrambe le mani sulla scrivania davanti a me.

«Ho già deciso Alessandro. Ho bisogno che ci sia gente che lavori per me tutto il giorno e tu non sei disponibile. In più il tuo contratto scadeva in questi giorni, quindi non ti è stato rinnovato» mi disse interrompendo il mio discorso.

«Per favore, ci ripensi...» lo pregai ancora, ma lui scosse la testa e, facendomi cenno di andar via, ritornò a leggere il giornale come se nulla fosse successo.

Mi voltai di scatto e, dopo aver aperto la porta, la richiusi dietro di me sbattendola forte. Il direttore uscì immediatamente dal suo ufficio, urlandomi qualcosa in lontananza che non capii.

«Vaffanculo!» gli urlai girandomi per un attimo, quindi aspettai che le porte automatiche si aprissero e uscii dal negozio.

Una brezza fresca m'investì il volto. Strinsi, con entrambe le mani, il giubbotto nero che indossavo all'altezza della gola ed iniziai a incamminarmi verso la macchina. Non appena fui dentro lanciai la tracolla che avevo sulla spalla destra, sul sedile passeggero. Sbattei violentemente entrambe le mani sul volante, come per scaricare la rabbia accumulata.

«Maledizione!» urlai ancora più arrabbiato, mentre puntellavo il gomito sull'incavo del volante e poggiavo la fronte sulla mano aperta. Rimasi così per qualche attimo, in completo silenzio. All'improvviso la suoneria del cellulare riecheggiò all'interno dell'abitacolo, rompendo quel silenzio che si era creato. Afferrai il cellulare, estraendolo dalla borsa. Ne vidi il numero. Era Davide.

«Ale, scusa se ti chiamo al lavoro...»

«Non importa» gli dissi, omettendo la verità «Cosa succede?»

«Il chirurgo mi ha avvisato che ha fissato l'intervento tra due giorni. Lho già comunicato a tua madre.»

«Capisco...» il mio tono di voce sembrò abbassarsi ad ogni sillaba che pronunciavo.

«Ale... stai da me stasera...» mi disse con la sua solita voce confortante.

«Si, va bene...» gli dissi, appoggiandomi completamente allo schienale del sedile.

Dopo esserci salutati, lasciai cadere il cellulare nella borsa da lavoro e, dopo un lungo sospiro, mi appoggiai ancora una volta allo schienale del sedile. Mi sentivo svuotato, senza più alcun briciolo di forza.

*   *   *

Buio. Non vedi nulla davanti a me. Mi voltai completamente. Non vidi nulla. Avevo la gola completamente serrata. La bocca, seppur spalancata, non riusciva a emettere nessun suono.

Qualcuno mi aiuti!

M'inginocchiai, privo di forze. Sollevai la mia mano, ponendola davanti ai miei occhi. Era coperta di sangue. Avrei voluto gridare, ma non ci riuscivo.

Aiuto!

Sentii qualcosa colere giù dalla mia fronte. Qualcosa di un rosso accesso. Il sangue colava dalla mia fronte ed io non sapevo come fermarlo. Il mio cuore prese a battere sempre più forte.

Aiuto!

All'improvviso una forte luce bianca mi accecò. Calore. Sul capo e sulla guancia. L'accarezzai, ma non capii di cosa si trattasse. La mia mano non era più coperta di sangue. La sentii calda, quasi pulsare. Il respiro tornò regolare.

*   *   *

Aprii gli occhi lentamente. Davide mi teneva stretta una mano e con l'altra mi accarezzava la fronte.

«Ale... stai bene?» mi chiese, udendo la sua voce come fosse ovattata.

Non gli risposi immediatamente. Mi sentii confuso e presi a guardarmi in torno. Ero nell'appartamento di Davide, sdraiato sul divano. Ero tornato dal supermercato e dovevo essermi appisolato. Puntellando una mano sul morbido tessuto del divano, mi sollevai, mettendomi seduto. Davide sospirò rumorosamente. Lo guardai in volto e sembrava molto preoccupato.

«Sono rientrato poco fa...» mi disse, mentre si alzava dal divano e andava in cucina «Ti ho visto sul divano che dormivi, ma eri agitato ed hai iniziato a sudare...» ritornò da me con un bicchiere d'acqua e un fazzoletto, con cui mi asciugai la fronte.

«Ho fatto un brutto sogno, credo...» gli dissi, dopo aver bevuto un sorso d'acqua «Sto bene...»

«Com'è andata al lavoro?» mi chiese, sistemandosi accanto a me sul divano.

«Mi hanno licenziato» ammisi, posando il bicchiere di vetro colorato sul tavolinetto davanti a me «Il direttore mi ha detto che ho fatto troppe assenze e che non mi rinnoverà più il contratto...»

«Oh no...» disse lui, davvero dispiaciuto, abbracciandomi teneramente.

«Spero di trovare un altro lavoro, ma al giorno d'oggi sembra sempre più difficile» dissi abbracciandolo a mia volta «Adesso penserò a mia madre e dopo l'intervento, quando tornerà a casa, mi metterò alla ricerca...»

Lui mi sorrise, ma non disse nulla. Mi baciò brevemente sulla fronte, ancora umida per il sudore. Sollevai il mento e cercai le sue labbra. Gli accarezzai la guancia e continuai a baciarlo. Lui mi tirò ancor più a sé e con un movimento rapido, mi sedetti a cavalcioni sopra di lui. Sorridemmo l'uno a l'altro per pochi secondi, prima di riprendere a baciarci. La sua mano prese ad accarezzarmi la schiena, scendendo pesantemente sul sedere. Mi tolsi la maglia e l'abbandonai da qualche parte sul divano. Sentii la mia eccitazione crescere, quando Davide prese a baciarmi il collo, scendendo sul petto. Il mio cuore batteva sempre più forte ed il mio respiro si fece sempre più corto ed irregolare.

«Davide... ti amo...» gli dissi, mentre gli accarezzavo i capelli neri con entrambe le mani.

*   *   *

Il giorno dell'intervento di mia madre arrivò, accompagnato dalla pioggia, che incessante cadeva ormai da ore. Mi soffermai a guardare le goccioline di pioggia, che impazzite schizzavano sul vetro della finestra nella sala d'attesa dell'ospedale.

Le infermiere stavano preparando mia madre per l'intervento, trasferendola su un letto che avrebbero poi portato in sala operatoria. La porta presto si aprì e vidi mia madre sfilare sul letto verso la sala d'attesa. Mi avvicinai a lei e le afferrai velocemente la mano che lei mi stava ponendo. Mi sorrise dolcemente ed io cercai di fare lo stesso, nonostante la mia grande ansia ed il mio turbamento.

«Ci vediamo dopo» mi disse continuando a sorridere. Intravidi però nei suoi occhi quasi lucidi, la stessa paura che provavo io.

«Si, ci vediamo dopo» le dissi anch'io, stringendo la sua mano ancora più forte.

Le infermiere spinsero il letto verso il corridoio ed io camminai con loro accompagnando mia madre fin all'ascensore riservato alla sala operatoria. Non riuscii a lasciare la sua mano e le infermiere, che capirono la situazioni, mi sorrisero e mi dissero che dovevano andare.

Annuii lentamente e dopo lasciai andare la mano di mia madre, che scomparve poco dopo, dietro le porte metalliche dell'ascensore. 

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