Sollevai velocemente la mano e la posai sul braccio di mio padre. Potevo leggere nei suoi occhi verdi, gemelli dei miei, tutta la rabbia che provava in quel momento. Strinsi forte il suo polso e cercai di scostarlo dal collo della mia maglietta.
«Massimiliano...» lo richiamò mia madre ed entrambi la guardammo nello stesso momento.
Fu lui per primo a lasciare la presa e di conseguenza, io mollai il suo polso. Dal suo sguardo, però, potevo capire che non si era affatto calmato. Mi guardò all'improvviso e senza neanche dire una parola, mi colpì in pieno volto con un pugno. Persi l'equilibrio e caddi all'indietro, sbattendo la schiena contro il muro.
«Alessandro!» urlò mia madre, accorrendo in mio aiuto.
«Sei un ragazzino presuntuoso, Alessandro. Non permetterti mai più di parlarmi a quel modo!» sentenziò mio padre, mentre si massaggiava il dorso della mano destra.
Accarezzai piano la mia guancia dolorante. Sentii dapprima un formicolio e poi un dolore lancinante all'altezza dello zigomo.
Ricambiò il mio sguardo pieno di odio, con uno altrettanto furioso. Senza dire nient'altro, uscì dall'appartamento, sbattendosi la porta alle spalle.
Mia madre mi abbracciò ed iniziò a singhiozzare. Sentii le sue lacrime scendere copiose e bagnarmi la spalla. Fui incapace di parlare per il colpo ricevuto, quindi mi limitai ad abbracciarla.
«Mi dispiace...» sussurrò al mio orecchio.
Le accarezzai piano il capo, coperto dal solito berretto grigio e le cinsi ancora più forte la vita con l'altro braccio.
Rimanemmo in silenzio, lei in ginocchio ed io seduto per terra, a consolarci e a cercare di dimenticare quello che era successo.
Seduto sul divano, mia madre mi passò del ghiaccio, che subito appoggiai delicatamente sullo zigomo arrossato. Sentivo delle pulsazioni e delle fitte davvero dolorose. Mia madre si sedette accanto a me ed appoggiò il tubetto di crema adatta ai traumi.
«Ti fa male?» mi chiese mia madre, accarezzandomi la mano poggiata sul ginocchio.
«Cosa ci faceva qui?» biascicai quelle parole sentendo ad ogni sillaba un dolore tremendo.
«E' venuto a farmi visita...»
Mia madre distolse lo sguardo, posandolo sul tubetto di crema, che afferrò subito dopo. Svitò il tappo e mise un po' di crema sul dito. Prese quindi a massaggiarmi il viso arrossato.
«Cosa ci faceva davvero qui?» le dissi alterandomi appena.
Mia madre sospirò brevemente, poi prese a parlare.
«Mi ha fatto una proposta.» Fece una piccola pausa, poi riprese a parlare guardandomi negli occhi. «Mi ha chiesto di intestargli la casa e dopo mi ha detto che tu andresti a vivere con lui e la sua famiglia...»
«Cosa?! Ma neanche per sogno!» gridai seccato, scattando in piedi.
«Calmati...» mi disse lei, richiudendo il tubetto di crema «Gli ho ovviamente detto di no.»
«Ma perchè dovresti intestare la casa a lui? Perchè solo io dovrei abitare assieme a lui? Tu cosa faresti?»
Lei mi rivolse uno sguardo pieno di tristezza, ma la sua bocca non si mosse. I suoi occhi erano ancora arrossati per le lacrime versate in precedenza e sembrava che fosse sul punto di versarne delle altre.
«Quello stronzo è convinto che tu morirai...» dissi non credendo alle mie stesse parole.
Rimasi quasi inebetito e non aggiungendo altro, mi sedetti ancora una volta accanto a lei. Si pulì la mano sporca di crema con il fazzoletto e riprese, poi, ad accarezzarmi la mano.
«Alessandro, io non so se ce la farò...»
«Non continuare, per favore. Non continuare...» le dissi prendendomi il viso fra le mani ed iniziando a piangere. Mi cinse le spalle con le braccia e mi consolò. Mi scoprii ancora una volta fragile.
* * *
Quella sera stessa, uscii di casa e guidai verso casa di Davide. Mia madre, dopo avermi visto piangere in quel modo, mi costrinse ad uscire.
«Incontra i tuoi amici e cerca di svagarti un po'» mi disse buttandomi praticamente fuori di casa.
Consideravo mia madre una donna straordinaria. Cercava di non farsi mai abbattere da tutto ciò che le stava succedendo. Davanti a me era forte, ma sapevo che non appena era sola si abbandonava allo sconforto. Non potevo fare nulla per lei, se non starle vicino il più possibile e sostenerla.
La visita di mio padre turbò molto mia madre. Glielo lessi nei suoi occhi tristi.
Mentre ero in macchina ripensavo a ciò che successe quella mattina, alla reazione sconsiderata di mio padre, al nostro rapporto padre - figlio inesistente.
Non accesi la radio, come ero solito fare mentre guidavo. Guardavo solo la strada che si stagliava dinanzi a me. Non pensavo a nulla. Volevo solo andare da Davide. Volevo vederlo. Avevo bisogno di lui.
* * *
Davide mi aprì la porta di casa sua sorridendomi. Indossava dei boxer grigi e una maglietta a maniche corte dello stesso colore. Non appena mi squadrò il viso, si accorse del gonfiore e del rossore ormai evidenti. Smise immediatamente di sorridere e, chiudendo la porta dietro di me, mi chiese cosa avessi fatto al viso.
Non gli risposi e gli saltai, praticamente, al collo. Iniziai a baciarlo con foga. Sentivo dolore in ogni movimento che facevo con la mandibola, ma non m'importava. Presi ad accarezzargli la schiena e poi le mie mani, mosse da chissà quale forza, si mossero verso il basso, verso il sedere. Presi a baciargli il collo, ma Davide si allontanò e mi fermò.
«Frena Ale, che ti succede? Che cosa è successo?» mi chiese ancora più spiazzato.
Abbassai lo sguardo e, sollevando la mano sinistra, mi accarezzai il gomito imbarazzato. Davide posò entrambe le mani sulle mie spalle, per poi muovere la destra verso il mento per indurmi a sollevare il viso.
«Che è successo?» mi chiese ancora una volta, esaminando il mio zigomo arrossato.
«Tu... la devi salvare... la devi salvare!» quasi mi misi ad urlare. «Devi salvarla Davide, non permettere che mia madre muoia!»
Davide dischiuse le labbra e sospirò. Abbassò per un attimo lo sguardo, poi tornò a guardarmi.
«Sto facendo il possibile, Ale... devi credermi.» mi disse con un tono calmo, in netto contrasto con quello che stavo usando io.
«Che cosa è successo?» mi chiese ancora una volta.
Gli raccontai ciò che era successo a casa mia, con mio padre e mia madre. Raccontai del pugno che mi ero beccato e di ciò che mio padre aveva detto in mia assenza a mia madre. Davide scosse la testa, forse disgustato dal racconto.
Non mi disse nulla. Mi abbracciò solamente più forte che poteva. Poggiai il mio viso sulla sua spalla e mi abbandonai, come spesso facevo, fra le sue braccia. Mi sentii subito più calmo e rilassato. Lui mi baciò il collo con dolcezza e subito sorrisi per il solletico che provai per quel piccolo bacio. Davide mi allontanò da sé e mi guardo sorridendo.
«Va meglio?» mi chiese cercando il mio sguardo.
Annuii, come un bambino che aveva pianto dopo essersi sbucciato un ginocchio mentre correva. Amavo questo suo essere così dolce, così pieno di ottimismo. Sapeva sempre quali parole utilizzare ed erano sempre quelle che poi si rivelavano giuste. Era forte, molto più di me. Forse lui stesso non se ne accorgeva.
«Vuoi un po' di ghiaccio per la guancia?» mi chiese interrompendo il flusso dei miei pensieri.
«Si...» gli risposi e lo seguii in cucina.
Amavo Davide, ne ero consapevole ormai. Non potevo più fare a meno di lui. Sentivo che ogni giorno che passava, mi stavo sempre più innamorando di lui e, al contempo, cresceva dentro me una grande paura.
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Fragile
Storie d'amoreAlessandro era arrabbiato con il mondo. Ogni cosa che lo circondava lo disgustava. Riusciva a vedere attorno a sé solo sofferenza. La vita lo stava mettendo a dura prova. Davide, invece, era il suo opposto: fin troppo ottimista, riusciva a vedere...