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Se non fosse per il fatto che le mie sigarette siano già pronte e non abbiano bisogno di essere preparate, potrei anche credere che Luke e Ashton abbiano davvero sostituito il tabacco con della verdura tritata per provare una delle loro tesi partorite dalle noia.

Ne parlavano giusto l'altro giorno mentre affrontavano una di quelle conversazioni tipo: "cosa porteresti in un'isola deserta?".

Luke ad esempio si porterebbe una mucca, sostenendo che il suo latte fresco sia perfettamente in grado di farlo sopravvivere abbastanza a lungo da permettergli di autoproclamarsi dio – e imperatore – di una nuova civiltà.

È stato talmente magnanimo da prometterci che ci avrebbe reso partecipi di questa nuova religione. Lui e le sue manie di protagonismo stanno ancora limando i dettagli.

Ashton, dipendente dalla nicotina quasi quanto il sottoscritto, si è posto subito il problema delle sigarette.

«Se dovessi finire in un'isola deserta, la prima cosa che vorrò fare sarà: piangere.» ci aveva subito ammonito, notando le nostre espressione perplesse. «Avrò bisogno di calmarmi e per farlo avrò bisogno di una sigaretta che sarà tipo la mucca di Luke!»

Di fronte alle nostre espressioni (giustamente) confuse, si sentì subito in dovere di specificare: «Nessuna sigaretta, nessuna nuova civiltà.»

«Sai che dramma!» aveva replicato Luke. «Ti cerchi una foglia, la tagli e te l'arrotoli in un'alga come si fa con il sushi.» concluse con voce pratica prima che potesse sorridere tra sé e sé con la sua solita sfrontatezza. «Motivo numero uno per cui debba essere considerato un dio: ho una soluzione a tutto.»

Mi scrollo di dosso il sospetto di essere stato drogato dai miei stessi amici e, senza esitare un secondo di più, mi riporto la sigaretta alle labbra nel tentativo di lasciarmi scivolare via anche questo ricordo, cercando ancora una volta di silenziare l'intero universo.

Purtroppo non funziona neanche questa volta.

Forse ho solo aperto il mio vaso di Pandora. Forse è il momento che mi renda conto di quanto sia stato crudele nei suoi confronti. Forse, la parte più disperata di me, vuole solo raggiungerla al parco ancora una volta per scusarsi, per avere la certezza che stia bene.

La nuvoletta di fumo si sta già dissolvendo lentamente sotto i miei occhi mentre vengo riportato lentamente ad un pomeriggio di febbraio.

Ero da solo di ritorno dalle prove con i miei amici e, come sempre, avevo usato il parco come scorciatoia per arrivare prima a casa.

Attento a non inciampare su qualche bambino che giocava, concentrandomi solo sui miei passi, camminavo con il mio basso a tracolla, ricoperto dalla sua custodia nera.

Stavo provando a godermi quei pochi minuti di pace, ignorando di proposito ogni tipo di pensiero e preoccupazione. Sapevo che, una volta superata la soglia di casa, tutta quella tranquillità si sarebbe volatilizzata.

Sapevo che ad attendermi ci fosse mia madre che, sicuramente, avrebbe iniziato a borbottare qualcosa su una pentola sistemata nello scaffale sbagliato. Se avessi anche solo provato a farle notare di essere un tantino esagerata, saremmo finiti in un tipico litigio madre – figlio dove tornano in superficie vecchi e sgradevoli episodi.

E se non fosse stata mia madre, sarebbe stata mia sorella seduta sul divano con il broncio per aver ancora litigato con Brad, il suo ragazzo. Se avessi provato a tirarla su di morale, avrei ottenuto un: "vaffanculo, cosa ne sai tu di relazioni?" appena borbottato prima di alzarsi e chiudersi in camera, lasciandomi da solo con i sensi di colpa.

Allora avrei provato a chiamare quella che sarebbe dovuta essere la mia ragazza con l'intenzione di chiarire e scusarmi nuovamente per gli ultimi due giorni di silenzio da parte mia, ma avrei finito per litigare anche con lei e tornare a non parlarci per altri cinque giorni.

Twelve Minutes// Calum Hood Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora