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In una mano la sigaretta e nell'altra il cellulare con la schermata aperta su una chat vecchia di almeno quattro mesi.

Il suo ultimo accesso risulta essere "oggi alle 21:21".

L'orologio del telefono segna le 21:22.

Sorrido mestamente e clicco sulla tastiera nel tentativo di formulare una frase che ricancello subito, bloccando di nuovo il cellulare per la stupidaggine che stavo per fare e mi porto la sigaretta alle labbra.

«Posso farti una domanda?» domandò d'un tratto con curiosità.

Alzai un sopracciglio e un sorrisetto fastidioso mi si dipinse sulle labbra.

«Posso fare qualcosa per impedirtelo?» replicai voltandomi verso di lei.

«Perché il basso?» chiese, ignorando la mia piccola provocazione.

Scrollai le spalle, senza darle una risposta vera e propria.

«Insomma sai suonare anche la chitarra, perché proprio il basso?» insistette.

Rimasi in silenzio per diversi secondi, cercando una risposta abbastanza concreta e che non suonasse fin troppo stupida mentre, nella mia testa, prendeva vita l'immagine di mia sorella sulla soglia della mia camera da letto con la custodia del basso e un sorriso dolce, quasi timido e imbarazzato, a incurvarle le labbra.

«Non lo so...» mi arresi alla fine, facendole aggrottare la fronte, non proprio soddisfatta. «Avevo tredici anni quando Manui me lo regalò, quattordici quando imparai davvero a suonarlo.» tagliai corto.

Lei rimase in silenzio per un paio di secondi, guardandomi con la fronte ancora corrugata.

«L'hai iniziato a suonare per tua sorella?» chiese poi, assumendo un'espressione intenerita.

Mi trattenni dallo sbuffare, un po' imbarazzato per quell'ammissione.

«Più o meno.» ammisi alla fine. «Erano mesi che metteva da parte la sua paghetta per farmi un regalo.»

Isabel fece per fare una domanda ma la interruppi, intuendo cosa volesse sapere.

«Non so perché decise di regalarmi proprio il basso.» ammisi, trattenendo una risatina divertita nel realizzare quel particolare. «So solo che si era scocciata. Le prendevo spesso la chitarra per imparare a suonare, ma non ero un granché: nell'accordarla finivo sempre per tirare troppo le corde, facendole saltare.»

Isabel sorrise.

«Dopo la quarta volta, si decise a farmi il basso.» continuai, guardando un gruppo di bambini che giocava davanti a noi. «Per un bel po' lo tenni chiuso nella custodia, nascosto sopra all'armadio. Lo ripresi in mano solo dopo qualche mese, dopo una brutta giornata...» conclusi, voltando il mio sguardo verso di lei.

Mi stava ascoltando con attenzione, con quell'espressione curiosa che spesso mi ricordava una bambina, ma non volevo raccontarle il vero motivo per cui avevo iniziato a suonare. Non ero pronta a dover raccontare ancora una volta il principio dei miei problemi.

Non era una novità che i miei genitori avessero divorziato, era uscito fuori diverse volte mentre le raccontavo episodi della mia quotidianità. Isabel non si era mai sbilanciata più di tanto nel fare domande a riguardo, non aveva mai osato chiedere nulla, neanche in che rapporti fossi rimasto con mio padre, come invece aveva fatto qualcun altro.

La prima volta che uscì fuori, rimasi sorpreso nel non ottenere una reazione. Né un sorriso imbarazzato, uno sguardo di scuse o di tenerezza. Era rimasta fissa a guardarmi con la fronte corrucciata, solo un breve cenno di assenso con la testa, uno di quelli che si fa sempre in maniera distratta quando si è coinvolti in un discorso.

Twelve Minutes// Calum Hood Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora