8. Vuoto.

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Sto da più di un'ora qui, chiusa a chiave in un bagno, immersa nei miei pensieri, in una speranza di un risveglio da un incubo, una speranza vana.

Quando decido di uscire dalla doccia, i miei nervi non sono poi così distesi e rilassati, ed hanno ragione.

È così... Non c'è parola per descrivere cosa io senta, ma è totalmente vuoto dentro me. Sì, forse vuoto potrebbe andare, ma è superficialmente poco per racchiudere il mio stato d'animo, adesso.

E so che continuerà oggi, domani, dopo domani... sempre.

In un attimo, ho dimenticato tutti i miei problemi, rimpiazzandolo con uno molto più grande, quasi infinito, e forse, lo è.

Esco dalla doccia, e inizio ad asciugare con estrema delicatezza ogni parte di me.

Lo faceva mia madre quando ero piccola.

Bisogna essere delicati, soprattutto con sè stessi.

Lo diceva sempre, ed io sono cresciuta esattamente con l'insegnamento dato attraverso le sue parole, espresse con tale dolcezza.

Esco dal bagno e mi dirigo verso la mia camera, recuperando un pigiama a caso, e raccogliendomi i capelli lunghi (e arruffati) in una coda disordinata.

Quando vado in cucina, noto che Amerique ha un'espressione al dir poco piacevole, anzi, tutto il contrario che piacevole.

Ha la fronte aggrottata e il pugno di una mano serrato, mentre con l'altra picchietta sulla tavola.

Non si è accorta della mia presenza, e quando mi avvicino, scoppia in lacrime.

"Cloe... Io... Devo parlarti. Anzi, voglio che sia il giornale, a farlo."

Mi porge un giornale, un giornale italiano.

"Donna di 42 anni assassinata dal proprio compagno."

Non capisco, non posso capire, non devo.

"Amerique... Non capisco."

Mi guarda, e quello sguardo è uno sguardo di resa.

"È tua madre, Cloe. Non è vero un cazzo, nessun infarto. Nessuna morte improvvisa. Tua mamma ha conosciuto un uomo dopo la nostra partenza, e non te ne ha mai parlato. È bastato un litigio... E..."

La guardo, e inizio a correre verso la porta. Ancora una volta. Ancora una.

Mia mamma è stata assassinata da un uomo, mia mamma non è morta d'infarto.

Amerique ha lasciato che io andassi via, e l'ho apprezzato, ma non ho tempo adesso per pensarci. Non voglio.

Mi ritrovo di nuovo in strada, a correre e a correre, fin quando non mi fermo in un bar e inizio a bere, a bere tanto.

Dopo un certo numero di bicchieri, la mia vista inizia a non essere abbastanza lucida.

"In questo stato non è maggiorenne, lo sai?"

Quella è la voce di Ray.

Nonostante la mia sbronza, riesco a percepire bene quelle parole.

"Non lo sapevo..." dice il barista.

"Ed è per questo che esistono i documenti." Dice Ray.

Mi prende per mano, ma non riesco a camminare.

Le mie gambe non reggono, sono troppo, troppo stanca.

È un rifiuto psicologico.

Sento Ray abbassarsi alla mia altezza, prendermi per le gambe e posare il mio corpo sulle sue spalle.

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