Chapter 11

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E' passata una settimana dall'ultima volta che ho parlato con Louis, quel giorno di pioggia, nella Biblioteca universitaria. Non so dove sia. In questi giorni ho anche cercato di avere delle informazioni sul suo conto per mano di Zayn, il suo amico, ma nemmeno lui è riuscito a dirmi dove possa essersi rifugiato. "E' sempre così" mi ha detto un giorno, mentre davanti alla macchinetta delle bevande aspettavo l'erogazione del mio terzo caffè della mattinata. "Quando tutto va male, Louis è solito rifugiarsi nella sua camera perché così nessuno può vedere quanto effettivamente stia male" ha continuato, mille brividi hanno percorso la mia schiena dopo le sue parole, "se non lo conoscessi abbastanza le avrei consigliato di andare a trovarlo, almeno per assicurarsi che stia bene, ma con il senno di poi le posso solo dire di aspettare. Tornerà, lo fa sempre" ha poi concluso, allontanandosi come se nulla fosse successo.

Tornerà, lo fa sempre. Queste parole continuano a rimbombare nella mia mente, non mi lasciano dormire: mi sento come se avessi un terribile peso sulle spalle e sul cuore. Tornerà, lo fa sempre, dice Zayn, ma è passata una settimana e mi rende irrequieto non sapere dove Louis sia. Mi rende irrequieto sapere che forse sta male, ovunque egli sia, e non ci sono io al suo fianco a rassicurarlo, a dirgli che andrà tutto bene. Dall'ultima volta che l'ho visto, mi sveglio ogni giorno con la speranza di poterlo incontrare, ma sto perdendo le speranze. Ho parlato persino con il signor Horan in questi giorni, ed era evidente la delusione nel suo sguardo azzurro come il cielo estivo, ma neppure lui è saputo esser d'aiuto. Abbiamo le mani legate, non sappiamo più come comportarci, e ci distrugge.

Io, mi sento distrutto.

Per questo, dopo la fine della mia ultima lezione della giornata, mi sto apprestando a raggiungere la mia auto. Voglio tornare a casa, farmi un tea caldo e magari provare a dormire, perché è da un paio di giorni che ho continui incubi. Non so se siano dovuti allo stress o all'ansia di non sapere dove Louis sia, ma è sempre lui il protagonista di questi incubi. Questi ultimi sono sempre quasi tutti uguali: Louis al centro di un enorme stanza priva di finestre, l'unica fonte di illuminazione proviene dall'alto, sembra essere una di quelle luci usate per illuminate i volti degli attori sul palcoscenico. Le sue mani sono di un bianco quasi trasparente, posano su di un pavimento in legno colmo di polvere. Il suo respiro è affannato, chiama il mio nome, lo sussurra, ma nessuno riesce a sentirlo. Io non riesco mai a raggiungerlo. Lo chiamo anche io, grido il suo nome nella speranza che riesca a sentirlo, ma Louis non solleva mai lo sguardo, e l'incubo termina sempre così. Mi lascia senza fiato. Mi fa sentire come se avessi un buco proprio al centro esatto del mio petto.

Sospiro mentre apro la portiera dell'auto e finalmente mi siedo sul sedile del guidatore. Non andrò a casa, ho cambiato idea. Ho bisogno di dedicare un po' di tempo a me stesso, solo e soltanto a me stesso. Probabilmente mi fermerò a Bryant Park, ci vado sempre quando ho bisogno di riflettere. L'aria aperta e il profumo della natura che mi circonda aiuta la mia mente a rilassarsi. E mentre metto in moto ed accendo l'aria condizionata, mi costringo a non pensare più a Louis. Non posso passare le mie giornate facendomi avvolgere il cuore da una terribile ansia, inoltre è da un po' di tempo che non dedico una giornata solo a me stesso.

Le strade, perlomeno ai lati, sono tutte colme di foglie gialle, marroni e arancioni, a segnare il fatto che l'autunno sia ormai arrivato. Mi sto dirigendo a Bryant Park: dista un paio di minuti dall'Università e dal mio appartamento, ma non è un problema. Passeggiare tra i numerosi viali alberati mi consentirà di estraniarmi dalla disastrosa e caotica vita che conduco, e mi permetterà di tornare a casa finalmente rinvigorito: magari stanotte riuscirò persino a dormire!



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