Chapter 15

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«Siamo quasi arrivati, H» dice Louis, interrompendo il silenzio che si era creato attorno a noi. È poco più avanti di me, sembra sicuro del tragitto da compiere per arrivare alla lapide del suo papà. Ha le mani nascoste nelle tasche dei jeans neri e le labbra serrate in una linea dura. La sua pelle pare di porcellana ora che la tenue luce della sera e i piccoli lampioni del cimitero lo illuminano, i suoi occhi sono lucidi, e mi chiedo se non stia per caso nascondendo un pianto disperato.

Lo vedo fermarsi più in là, rimanere immobile per una manciata di secondi prima di inginocchiarsi e abbassare la testa. La lapide di suo padre è nera, nera come l'oblio, quasi sfigura nella miriade di lapidi bianche che sovrastano questo tratto del cimitero.

«Ciao papà...» comincia. I suoi occhi blu sono puntati nella piccola foto tessera del padre. Rimango in disparte, perché non voglio interrompere questo momento così delicato. Se ci sarà bisogno, sarò io stesso ad abbracciarlo più forte di prima e portarlo nuovamente a casa.

«Scusa se non sono più venuto a farti visita, ma sai com'è la mamma...» emette un risolino che più che tale, però, pare un sospiro strozzato di chi sta cercando di trattenere delle lacrime amare. Si passa una mano sui capelli, poi allunga il braccio e afferra il mio polso per farmi avvicinare. L'unica cosa che rendono un po' meno lugubre il colore della lapide, sono le viole che sono state raccolte per il papà di Louis e messe con cura nel piccolo cestino accanto alla sua foto.

«Non è il momento adatto questo e lo so papà, e ti chiedo scusa, ma ci tenevo a  presentarti una persona» si gira verso di me ora, mi sorride per un brevissimo arco di tempo, poi i suoi occhi si spostano nuovamente sulla foto del papà. Questa ritrae un uomo probabilmente sulla cinquantina d'anni, dai capelli leggermente più scuri rispetto a quelli di Louis e pettinati elegantemente all'indietro. Riesco a riconoscere immediatamente la somiglianza con Louis: entrambi hanno gli stessi occhi celesti, la stessa pelle pallida e le stesse labbra rosse.

«Lui si chiama Harry, insegna nella facoltà di lettere dove mi sono iscritto per tuo desiderio. Fino ad ora è stato l'unico a restare al mio fianco, l'unico che ha messo un freno alla mia dipendenza, l'unico che sento davvero il bisogno di farti conoscere» le dita di Louis compiono dei disegni immaginari sulla mia pelle mentre continua a raccontare al suo papà gli ultimi avvenimenti importanti della sua vita. Sono onorato del fatto che abbia deciso di presentarmi al suo papà, in qualche modo mi fa sentire più parte del suo mondo. Mi fa sentire speciale.

«Devo ancora pensare ad un modo per ringraziarlo per tutto quello che sta facendo per me, però» si finge infastidito, anche se il sorriso che è apparso nelle sue labbra dice tutto il contrario. Alzo gli occhi al cielo, poi con un colpo di tosse decido di intervenire per non rovinare l'atmosfera simpatica che si è andata a creare.

«Signor Tomlinson, dica lei a suo figlio che non c'è bisogno che mi ringrazi» sorrido, mentre cerco di alleviare la leggera tensione che si riesce chiaramente a sentire, intrisa com'è nell'ossigeno. Le labbra di Louis si allungano verso l'alto per una manciata di secondi, poi ritorna apatico come prima e il mio cuore freme nel petto.

«Mi manchi papà, mi manchi terribilmente. Ho cercato di credere a tutte quelle cazzate che dicono che gli angeli rimangono a guardarti dall'alto, ma non ci sono riuscito e l'unica cosa che ho ottenuto è stata sentire ancora di più la tua mancanza» le sue gote si arrossano, delle fredde e amare lacrime percorrono le sue guance ed io sono lesto a tentare di asciugarle con il pollice, ma non funziona. Louis sembra non sentirle nemmeno le carezze delle mie dita, scuote la testa e poi abbassa lo sguardo, puntandolo sul prato verde che ci circonda.

«Mamma dice che sto diventando pesante con questa storia, ecco perché mi ha cacciato di casa. Ma credo che mi abbia dato un grosso aiuto, tanto me ne sarei andato lo stesso, prima o poi» dice ancora, lo vedo prendere un grosso respiro profondo prima di riprendere a parlare.

«Da quando non ci sei più, le mie sorelle mi danno la colpa per tutto. È colpa mia se la mamma alle volte tende a ripercorrere le tue tracce, è colpa mia se Daisy si è ammalata e, soprattutto, è colpa mia se tu hai deciso di lasciarci» ora dalle labbra di Louis fuoriescono dei singhiozzi e dei rantoli così addolorati che riescono a spezzare il mio cuore in mille e uno pezzetti. Mi sento sopraffatto. Sapevo che la sua situazione familiare fosse critica, ma non immaginavo così tanto. Vorrei soltanto poter fare qualcosa per migliorare la vita sia di Louis, sia della sua famiglia, ma cosa?

«Come vedi ti sei perso così tante cose... Ma non te ne do una colpa, alla fine al tuo posto anche io lo avrei fatto; sei e sarai sempre il mio eroe» fa un leggero sorriso, ma è così piccolo che fatico a vederlo in quelle guance rigate da troppe lacrime addolorate. «Non è colpa mia se Daisy si è ammalata, comunque, sai anche tu quanto amore provi per la mia piccola sorellina» ora si ritrova a nascondere il viso nel mio petto, una sua mano si va a premere nelle labbra rosee nel tentativo di nascondere i singhiozzi che minacciano di sconquassare il suo petto.

«Lo dico anche a te, Harry. Non è colpa mia» e alla stessa velocità con cui ha sollevato lo sguardo nel mio, si va a prendere dei ciuffi di capelli e li comincia a tirare con forza. Le mie mani vanno a fermare le sue, le vanno a stringere, ad intrecciare; voglio che senta la mia presenza, voglio che capisca che per lui io ci sarò sempre.

«Lo so che non è colpa tua, Louis. Perché dovrebbe esserlo? È insensato» cerco di farlo ragionare, ma lui scuote la testa. È testardo, lo è sempre stato. «Perché per mamma è così, Harry. È così e basta» risponde infatti, allacciando le braccia al petto. «Per lei è colpa mia se papà ha deciso di lasciarci» il dolore nella sua voce è palpabile, sta facendo sprofondare anche a me. Mi avvicino a lui allora e lo stringo nuovamente in un abbraccio: lui affonda il viso nell'incavo del suo collo, soffia aria calda sulla mia pelle ed io rabbrividisco.

Per una manciata di secondi rimaniamo così, abbracciati davanti a questa lapide nera come il carbone, poi Louis si allontana nuovamente: i suoi occhi ora non sono più colmi di lacrime come prima, sembra esserci una luce nuova, una luce che forse sono stato io ad accendere. «Harry» inizia, lasciando che le dita delle nostre mani si intreccino, «vorrei ringraziarti qui, direttamente davanti a papà, perché così sono sicuro di averlo fatto nel migliore dei modi» inizia, sulle sue labbra compare un sorriso che vorrei soltanto baciare. Solleva una mano e preme il palmo di quest'ultima sulla mia guancia: chiudo gli occhi. «Grazie, Harry» esala, in un soffio, «per tutto» continua, mentre l'intreccio delle nostre dita si scioglie e le piccole braccia di Louis vanno ad avvolgersi attorno al mio collo.

Un rumore assordante, però, riesce ad interrompere la magia che insieme stavamo creando e, quando mi allontano, vedo Louis assumere un espressione quasi affranta mentre si va a portare il telefono all'orecchio, la stessa che ho visto il giorno prima quando, con gli occhi colmi di lacrime, è fuggito via da me. Sento qualcuno parlare dall'altro capo della cornetta,  dal tono della sua voce sembra piuttosto adirato. Louis, al mio fianco, sbianca e scuote la testa con il labbro inferiore stretto fra i denti.

«Devo andare» è tutto ciò che riesce a dire Louis, dopo aver terminato quella frettolosa telefonata. Scuoto la testa, perché non può lasciarmi così, non di nuovo. Poso allora una mano sulla sua spalla, la stringo leggermente così che possa capire di parlarmi, così che possa almeno capire cosa stia succedendo, ma è tutto invano. Louis inizia a correre, raggiunge la mia auto parcheggiata fuori dal cimitero e non mi dà nemmeno il tempo di metabolizzare tutto quello che è appena successo. Siamo di nuovo al punto di partenza. Sospiro pesantemente. Oh, Louis... Riusciremo mai a raggiungere un punto di incontro?

Con le mani infilate nelle tasche dei jeans che indosso, lentamente comincio a raggiungere anche io la mia auto. Non ho nemmeno il coraggio di sollevare lo sguardo, la paura di intravedere ennesime lacrime sulle guance di Louis è troppo grande.

Nemmeno apro bocca quando finalmente raggiungo l'auto e, in silenzio, siedo sul sedile del guidatore ed inserisco le chiavi nel quadro di accensione. È stupido credere che magari sarà proprio Louis a raccontarmi cosa succede, ma ne dubito, e non mi voglio illudere, così semplicemente rimango in silenzio.

E in silenzio rimane anche Louis.

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Capitolo un po' di passaggio, che ho modificato solo alla fine. Spero vi sia piaciuto.

Ci tengo a precisare che siamo arrivati ormai a metà, circa: la storia sta andando lentamente, me ne rendo conto, ma mi piace la linea che sta seguendo.
I capitoli sono già pronti, li devo solo revisionare, per cui dovrei essere più veloce ad aggiornare!

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