J-Hope's POV, 2006
Gwangju è la mia città.
La danza è la mia vita.
La cosa che preferisco fare è andare in giro per la mia città e ballare appena posso, ovunque posso, che sia in una piazza nel centro della città, in una delle stazioni della metro che hanno inaugurato poco fa, o in un vicolo squallido con un piccolo gruppo di amici.
Ma sono anch'io un ragazzo come gli altri, e tutti, prima o poi, cominciano ad avere delle ambizioni. Anche per me è così: adoro ballare con i miei amici, ma voglio qualcosa di più degli angoli nascosti e puzzolenti del quartiere.
Tutti mi dicono di rallentare, di pensarci bene, dopotutto ho solo 12 anni, ma non capiscono. Io sono già vecchio. La danza è un'arte che si pratica da giovani, non posso aspettare di aver finito gli studi. Devo buttarmi ora.
Quando dico che gli altri non capiscono, ovviamente, non mi riferisco ai miei genitori.
Gli altri non capiscono. Mio padre mi punisce direttamente. Per lui la danza, come qualsiasi altra arte, è una perdita di tempo e dovrei concentrarmi di più sulla scuola per poter prendere dei voti abbastanza buoni da entrare in una prestigiosa università e bla, bla, bla. Una volta è arrivato persino a chiudermi a chiave nella mia stanza per impedirmi di andare a ballare con i miei amici nel weekend. Però si era dimenticato la finestra aperta e io sono abbastanza flessibile, anche se ammetto che spiegare come mi fosse venuto un livido enorme sul ginocchio fu abbastanza difficile.
Mia mamma è diversa, invece. Non dico che condivida la mia passione, ma almeno riesce a capire cosa rappresenta per me: una scappatoia, una via di fuga da una vita grigia e monotona. Sono sicuro che, se le avessi detto dove mi sto dirigendo, non si sarebbe opposta, ma non volevo che si facesse sfuggire qualcosa con mio padre.Ripasso mentalmente i passi della coreografia che ho inventato per l'ennesima volta, è il mio modo per sfogare lo stress. Ne abbozzo anche un paio mentre cammino a passo svelto, in modo da modificare le ultime imperfezioni rimaste.
Davanti a me si trova un enorme blocco di cemento grigio, abbastanza brutto. Devo ammettere che mi ero immaginato qualcosa di più elegante, ma non ci faccio molto caso. Non sono mai stato più agitato in vita mia. Prendo un respiro profondo, entro nel mostro di cemento e rimango a bocca aperta: dentro, quell'orrendo immobile è decorato in modo così fastoso e allo stesso tempo raffinato da farmi rimangiare completamente i pensieri fatti solo due secondi prima. Ma, più dell'elegante bancone in legno della reception o dei pavimenti tanto lisci e puliti da brillare, la cosa che mi colpisce maggiormente è vedere un sacco di persone che girano per la grande hall (perché di quello si tratta, di una gigantesca area di passaggio e collegamento tra varie altre sale). Vedo ragazze con spettinate code legate in alto sulla testa e forti giovani che trasportano borsoni, tutti di fretta, tanto che devo abbassarmi un paio di volte per non ritrovarmi il segno di una borraccia impresso sulla fronte. Mi dirigo verso il bancone in legno, dietro al quale è seduta la signorina Kyungsoon, a giudicare dal nome impresso sulla targhetta che porta attaccata alla camicetta.
- Mi scusi, noona. Sono qui per l'audizione... - le chiedo, un po' imbarazzato.
Lei solleva lo sguardo e mi fissa con i suoi occhi pesantemente truccati e coperti da lenti azzurre. Sembra quasi squadrarmi mentre risponde annoiata: - Di là. - indicando un corridoio stretto.
- La terza a destra. - aggiunge poi.
La ringrazio e mi dirigo nella direzione che mi ha indicato. Improvvisamente mi sento sudare freddo, le gambe diventano gelatina. Ogni passo risulta più difficile del precedente e sto quasi pensando di tornarmene a casa di filata e che questa sia stata una pessima idea, ma sono troppo orgoglioso per arrendermi proprio ora.
Ancora pochi passi mi separano dal mio destino. Conto mentalmente le porte che supero: una a sinistra, due a destra, due a sinistra... eccola lì, una porta semplice, di legno chiaro, la terza a destra. Poso la mano sulla maniglia, prendo un altro respiro profondo ed entro in una stanza spaziosa, luminosa, spoglia, con il pavimento in parquet. Una parete è occupata da delle enormi finestre, mentre dall'altro lato c'è un lunghissimo tavolo dietro al quale sono seduti i membri della giuria.
- B-buongiorno -, dico con voce tremolante, - mi chiamo Jung Hoseok e sono qui per sostenere l'audizione. -
- Salve, Jung Hoseok. Puoi cominciare. -
La musica parte. All'inizio sono un po' insicuro a causa dell'emozione, ma ben presto entro in sintonia con la musica, il ritmo e il mio corpo diventano una cosa sola e mi abbandono alla danza. Eseguo tutti i passi con la massima energia e precisione, dò il meglio di me, ballo meglio di quanto abbia mai fatto e quando finisco sono sudato, ma decisamente soddisfatto.
I giudici mi guardano in silenzio, con sguardi severi, poi il presidente della commissione in persona mi chiede: - Quanti anni hai, Hoseok? -
- Dodici, signore. - rispondo educatamente.
Quello scambia uno sguardo con gli altri giurati prima di dirmi: - Grazie mille, ti faremo sapere. Il prossimo! -
Me ne vado dal palazzo con una strana inquietudine addosso. Ho fatto del mio meglio, anzi, più del mio meglio, allora perché sono così nervoso?Sono ormai passate due settimane da quando ho fatto l'audizione. Ogni ora passata senza notizie non ha fatto altro che alimentare la mia ansia. Dopotutto, quella è la compagnia di danza migliore di tutta la provincia di Jeolla Meridionale.
Tornato a casa da scuola controllo la cassetta della posta, sebbene ormai rassegnato al silenzio radio degli ultimi giorni. E invece, eccola lì! Una busta!
La prendo in mano frettolosamente e corro in casa per aprirla.
- Gentile signorino Jung Hoseok, - leggo ad alta voce con timbro nervoso, - le scriviamo per informarla che lei... -
Mi fermo per controllare di aver letto bene l'ultima riga. Sì, non è un errore, ho letto bene.
Incredulo, appoggio il foglio sul tavolo, fissando quelle parole.
"Lei non è stato ammesso".
Cinque parole che hanno mandato in frantumi il mio mondo, le mie speranze, tutto.
Quando mio padre torna dal lavoro, mi trova ancora lì a fissare la lettera sul tavolo come un ebete. Appena capisce di cosa si tratta inizia a gridarmi addosso e mi tira pure uno scappellotto, ma io non mi muovo, non piango, non dico niente. Sono come pietrificato.Devo rinunciare al mio sogno.
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Auguri Hobi, sunshine de mi corazon!!!!! Saranghae <3💜😍🎉🎊🎉🎊 +23
- Vale
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Quell'ARMY che ebbe un culo pazzesco e incontrò i BTS
FanfictionE se i BTS decidessero di fare un concorso con in palio un viaggio in Corea per incontrarli? E se la fortunatissima ARMY vincitrice facesse addirittura battere il cuore ad uno di loro? Speranze vane ed improbabili di un'ARMY e della sua nonna adotti...