Capitolo VII

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Dormii favolosamente nello spazioso e morbido letto a baldacchino, Esme accoccolata al mio fianco.

La stanza era enorme, ospitava altri tre sontuosi letti, accanto ad ognuno una cassettiera intarsiata e un'estesa scrivania; inoltre ogni posto letto era fornito di accessori per gli animali; trespoli, abbeveratoi, tappeti imbottiti, carne essiccata ed altre leccornie.

Fui svegliata malamente, alle sette e trenta spaccate, quando le regali tende che ricoprivano affusolate l'ampia portafinestra si aprirono di scatto; la stanza fu inondata dalla vivida luce del sole che, dopo aver lottato contro ettari ed ettari di foresta, sfogava tutto il suo fulgore sui miei occhi addormentati.

Sorpresa, e ancora piuttosto spaesata dagli avvenimenti del giorno prima, caddi bruscamente dal letto, portandomi dietro il copriletto e facendo sussultare e saltare via Esme.

«Oh, per mille lingue di rospo! Qualcuno spenga quel faro!»

Esclamai intontita alla camera vuota.

Esme soffiò innervosita verso le tende e, stiracchiandosi, mi raggiunse per darmi un umido buongiorno sul viso. Mi sgranchii anch'io e, a gambe incrociate sul pavimento, appoggiai la testa sul dorso della mia felina per ricambiare assonnata le fusa.

«Che noia Esme, siamo qui da meno di otto ore e già vorrei trovarmi di nuovo a Palazzo, nella mia camera adeguatamente oscurata, per riuscire a dormire un numero decente di ore!» Mi lagnai con voce ancora arrochita dal sonno. La mia caracal emise un versetto di approvazione e mi diede qualche altra leccata sul viso che mi svegliò definitivamente.

La notte precedente ero talmente stanca che, dopo essermi svestita, non avevo perso tempo ad infilarmi nel letto, senza neanche provare a cercare un bagno.

Per questo scoprire che in camera non ce ne fosse uno non fu la più magnifica delle sorprese.

Armata di asciugamano, avvolto sul corpo, mi avventurai nel corridoio alla ricerca delle docce.

Mi mossi con calma, conscia del fatto che sul piano non c'era nessun'altro, a parte Bren e la sua Ierofania nei dormitori maschili.

Notai che le camere erano locate da entrambi i lati del largo corridoio e che ogni tre porte vi era un salottino munito di numerose poltroncine, qualche divano, uno scoppiettante camino ed un paio di librerie.

Mi immaginai seduta a leggere un libro davanti al fuoco, a crogiolarmi di beatitudine con una tazza di cioccolata calda tra le mani ed amai la Maximea ancor di più.

Nel corridoio, inoltre, dimoravano altri quadri simili a quelli che avevo notato nell'ingresso.

Mi fermai spesso ad osservarli, perdendomi sognante tra un prato in fiore ed una barriera corallina dai colori sgargianti, mentre l'odore del mare mi riempiva avido le narici.

Altri però, mi fecero rabbrividire; uno in particolare raffigurava un lupo nero che, aggressivo e letale, ne azzannava uno bianco sul collo, mentre il sangue di quest'ultimo zampillava sinistro sporcandone il pelo opalescente.

I latrati laceranti che il dipinto emanava alternamente aumentarono a dismisura il mio disagio e, velocemente mi mossi per superarlo, accelerando il passo di buon grado.

Purtroppo però, dopo appena qualche metro, mi imbattei in un tratto di corridoio pieno di inquietanti specchi neri.

Nel riflesso i miei occhi gialli assumevano un angoscioso color ocra e la mia pelle bianca risultava spettrale, i lunghi capelli corvini completavano il cupo riflesso.

Esme, al contrario, non sembrava affatto impressionata dal cambiamento che il vetro distorto produceva alla sua figura, e continuava a procedere annoiata.

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