Capitolo XI

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Le divise si adattarono ai nostri corpi appena indossate, magicamente, proprio come ci aveva riferito la druida.

Erano composte da una gonna nera a pieghe, accompagnata da una camicetta bianca ed un fiocchetto verde smeraldo al collo. Sopra le spalle invece portavamo la tipica mantellina che indossavano le streghe della comunità, nera e con un grosso cappuccio, solo un po' più corta del normale. Meravigliosa, anche se l'idea della divisa in sé non mi facesse impazzire, ma almeno non avrei dovuto scervellarmi ogni mattina alla ricerca di qualcosa da mettere.

Lemon, invece, era molto più entusiasta di me, si girava e rigirava davanti allo specchio, non capacitandosi del riadattamento automatico che subirono gli indumenti una volta indossati.

Uscite dal bagno, aspettammo che Bren si lavasse parlando del più e del meno; ricordai ad un tratto che il giorno precedente i chiarissimi capelli della ragazza erano quasi del tutto lisci e le chiesi per quale motivo avesse camuffato quello splendido riccio.

«Considerato che il riccio associato al mio colore di capelli estremamente chiaro fosse abbastanza inusuale ho pensato che, per una volta, mi sarebbe piaciuto non sembrare strana; ma vedo che i miei capelli qui sono una delle cose più normali!» Mi confidò ridacchiando.

Fummo interrotte ancora una volta dalla druida che ci consigliò di non perderci lo spettacolo che si godeva dal piccolo balconcino laterale.
Ci avviammo incuriosite verso la sporgenza ed appena aprii la portafinestra un'aria salmastra mi investì piacevolmente; la respirai a pieni polmoni, rivivendo tutti i pomeriggi estivi passati in riva al mare.

L'Accademia in realtà distava almeno un paio di chilometri dalla schiuma salata, ma un ponticello partiva da quella che pensai potesse essere un'uscita secondaria e si trasformava, strada facendo, in un piccolo porto in mezzo al mare dove era attraccata una barca minuta, indecisa se affondare sotto l'impeto del mare o aspettare di poter vivere ancora qualche avventura marina. Le grida dei gabbiani riempivano l'aria accompagnate dallo scroscio delle onde che s'infrangevano allegre e brillanti sugli scogli aguzzi.

Lemon era ammutolita e guardava il panorama con lo stesso luccichio che si scorgeva sulla superficie salmastra.

«Da togliere il fiato» Soffiai spensierata, recludendo qualsiasi altro pensiero in un angolino recondito della mia testa, almeno per quel momento di pura estasi.

«Puoi dirlo forte!» Mi rispose la bionda, come se stesse volando tra le nuvole mangiando zucchero filato.

«Miss Lexie?» Sentii la voce di Miss Coleen chiamarmi con urgenza da dentro l'infermeria ed interruppi malvolentieri quell'idillio, per recarmi da quest'ultima; Lemon mi seguì anche se non glielo chiesi, colpendomi piacevolmente.

«Si, Miss Coleen?» Chiesi facendomi largo tra alcuni lettini. Quando la raggiunsi, però, mi accorsi che non era sola.

Spaventosa come un uragano inaspettato, di fianco a lei si stagliava la figura di una terrificante megera. Era alta almeno due metri e magra come un manico di scopa, estremamente androgina, vestiva di nero con gli abiti tradizionali, ed anche alquanto obsoleti, della comunità. Il viso era di un pallore verde malaticcio, il naso importante interrompeva la piattezza sinistra del volto, incorniciato da corte ciocche azzurre tirate all'indietro, occhi piccoli e profondamente neri mi scrutavano altezzosi e le sue labbra sottili oltremisura si arricciarono alla mia presenza.

Mi sembrò di scorgere in lei la somiglianza con qualche figura che ristagnava nella mia memoria, ma non riuscii ad afferrare quale, finché Lemon non mi bisbigliò un timido ed ironico: «Ma è Ade! Dov'è rimasto Ercules?» Provocando in me un inopportuno risolino, bloccato solo dallo sguardo famelico dell'avvoltoio dalla testa pelata che sostava disinvolto sulla spalla di Ade in gonnella.

Maximeanima AcademyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora