Capitolo 1

26.2K 604 114
                                    

Suona la campanella che indica la fine delle lezioni.

Sistemo la mia roba nello zaino ed in solitudine esco dalla classe dirigendomi all'uscita del liceo.

Come al solito, devo fare il tragitto verso casa, se la si può definire tale, a piedi in quanto mio padre non ha la possibilità di venirmi a prendere, non abbiamo neanche la macchina.

Essere poveri comporta anche questo.

Viviamo in una situazione economica catastrofica, non conosco tutti i dettagli ma da quel che sono riuscita a capire la colpa è di mio padre e dei suoi cattivi investimenti.

Cinque anni fa mio padre era riuscito a vincere una bella somma di denaro giocando a schedine, a quei tempi la nostra situazione economica era stabile, stavamo bene.

Quei soldi vinti hanno fatto montare la testa a mio padre ce credendosi il miglior giocatore di tutti i tempi cominciò a buttare soldi in scommesse ed investirli in circoli poco raccomandabili.

Fu così che un giorno i carabinieri bussarono alla nostra porta e ci confiscarono tutto, ogni cosa, anche la casa.

Finimmo per strada come dei veri barboni e fummo costretti a vivere in un ospizio per poveri per quasi un anno.

La parte peggiore fu essere portata via dai servizi sociali e messa in una struttura per ragazzi insieme a mia sorella Celeste, lì sì che ho visto la parte peggiore della società e dell'animo umano.

Cibo razionato in maniera eccessiva e senza scopo, la dispensa e ogni mobiletto della cucina veniva chiuso a chiave dalla custode per impedirci di mangiare o bere fuori orario.

Ci facevano pulire l'intera struttura ogni santo giorno dopo la scuola costringendo me e molti altri ragazzi a fare i compiti la sera tardi con una minuscola torcina rubata dalla soffitta perchè interrompevano l'energia elettrica dalle nove di sera fino alle sei del mattino per non consumare corrente.

Dai miei genitori per più di due anni non ricevetti notizie, io e mia sorella ci eravamo rassegnate all'idea che saremmo dovute rimanere lì per sempre.

Ma, per fortuna, mio padre capì in qualche strano modo il suo errore e cominciò a cercarsi un lavoro e così fece anche mia madre stabilendosi in una palazzina abitata da altre tre famiglie in cui quasi tutti gli appartamenti erano comunicanti.

Ci ripresero con loro ma la nostra situazione di certo non era migliorata, dovevamo sempre stare attenti che gli altri non ci rubassero le nostre poche cose e dovevamo sempre chiudere tutto a chiave finchè la nostra famiglia, grazie ad una graduatoria, riuscì a prendersi una casa comunale mantenuta dalla regione.

Ed eccomi qui, al quinto anno di liceo, quasi maggiorenne e con alle spalle più tragedie e miseria di tutti i miei compagni di classe messi assieme.

Figurarsi avere amici dopo la bella nomina che si era fatto mio padre.

Adesso, Antonio Romanelli, lavora in una fabbrica di pneumatici mentre mia madre, Natalia, fa da badante ad una vecchia signora che le paga il giusto per far restare la nostra situazione stabile.

Avrei voluto aiutarli anch'io in qualche modo, dopotutto so per certo che l'università è per me solo un bel miraggio, ma hanno insistito affinché finissi il liceo linguistico in cui sono iscritta.

Sospiro svoltando a destra, il nostro quartiere è totalmente costituito da queste case comunali a schiera dove vive gente di tutti i tipi, da gente senza un quattrino bucato, dalla gente con una situazione simile alla nostra, da gente di colore e qualche anziano che con la sua pensione non si può permettere nulla.

Arrivata davanti al portone di case rovisto nelle tasche alla ricerca delle chiavi e non appena trovate le inserisco nella serratura per aprire la porta.

Irrimediabilmente TuaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora