Capitolo 34.

4.6K 322 85
                                    

Quella sera, qualche ora dopo che Malfoy se ne fu andato, presi la scatola con le sue cose e la rimpicciolii.
Avevo deciso cosa fare.
Presi il mantello ed uscii dal dormitorio.
Erano tutti a cena, perciò la scuola era  vuota.
Mi incamminai verso il settimo piano, nella Stanza delle Necessità.
Ho bisogno di nascondere una cosa che non voglio perdere, ma che voglio poter ritrovare.”, pensai, una volta di fronte al muro.
La porta apparve ed io, ancora un po' esitante, entrai.
Eccola: una stanza enorme.
All'inizio fui un po' sorpresa della sua grandezza, ma poi ci riflettei e pensai che, in effetti, tutti, e dico tutti, hanno qualcosa da nascondere.
Qualche scheletro nell'armadio.
Nessuno è limpido come l'acqua.
Anche quando sembra che lo sia, non è così.
È come quegli stagni che sembrano azzurri e cristallini, ma poi in realtà sotto l'acqua è verde e piena di alghe.
Come un attore che a fine spettacolo si toglie la maschera ed è una persona completamente diversa.
Tutti erano acqua verde.
Tutti erano attori.
Io anche ero acqua verde.
Ero un'attrice che indossava ogni giorno la sua maschera.
Ormai ero diventata quella maschera, perché si era impressa sul mio volto.
Ero lì perché, come tutti, avevo un segreto che non volevo far trapelare.
Però non ero falsa.
Almeno non mi ritenevo così.
Come avevo detto, ormai la mia maschera era parte di me.
E quando era così, quando ti fondevi con ciò che usavi per nasconderti, allora diventavi davvero quello che mostravi.
Una parte di te moriva rinasceva in un'altra forma.
Così era stato con me.
Ero diventata la mia maschera.
Iniziai a pensare ad un posto dove avrei potuto nascondere la scatola, un posto non troppo difficile da ritrovare, ma anche abbastanza sicuro.
Dopo un po', vidi un'enorme cassettiera, alta e con diversi cassetti. Presi una sedia e mi arrampicare, poi aprii l'ultimo cassetto.
Era vuoto.
Decisi di nasconderla lì.
Ingrandii nuovamente la scatola e la fece ricadere nel cassetto.
Il tonfo che provocò, però, mi fece capire.
Il cassetto era a doppio fondo.
In effetti all'esterno sembrava molto profondo, e poi all'interno era alto pochi centimetri.
Spostai la scatola sopra la cassettiera e provai ad aprire il doppio fondo. Schiacciai ai lati, provai a tirarlo su con le unghie, ma niente.
Poi, dopo un po', vidi l'ombra di un cerchio, esattamente al centro.
Pigiai su quel foretto, che si abbassò, lasciando un piccolo buco, lì nel mezzo.
Vi infilai il dito e riuscii a sollevare il cassetto.
Era vuoto, tranne che per un piccolo sacchetto in velluto rosso, con i lacci dorati.
Che senso aveva creare un cassetto così solo per metterci un sacchetto?
Curiosa, lo presi.
Era molto morbido.
Lo aprii e feci cadere il contenuto nella mia mano.
Era un piccolo ciondolo a forma di stella ad otto punte.
Sembrava più un sole, però.
Era dorato ed al centro aveva un enorme G, incisa in una calligrafia elegante.
Era molto, molto bella.
Sapevo che fosse sbagliato, ma lo presi comunque.
Sicuramente era appartenuto a qualche famiglia purosangue, vista l'eleganza dello stile.
Avrei provato a capire di quale famiglia si trattasse, e a chi fosse appartenuto. Lo rimisi nel sacchetto e poi lo misi in tasca.
Dopodiché, mi occupai di ciò che dovevo nascondere io.
Avevo deciso di nascondere quella scatola non perché non volessi avere quelle cose, infatti avevo tenuto l'album di foto, ben nascosto nel mio baule.
Non volevo perdere niente, ma non riuscivo a sopportare il fatto che mi facessero quell'effetto.
Mi facevano male, quindi sarebbe stato meglio tenerle lontane, almeno fino a che non fossi riuscita a non farmi sopraffare.
Sarei tornata a prenderla al settimo anno, se ci fossi arrivata, o quando mi sarei sentita pronta.
Però non potevo lasciarla così. Insomma, il doppio fondo era una grande idea, ma non era abbastanza. Decisi di imporre sulla scatola un sigillo.
Presi la bacchetta, pronunciai l'incantesimo, poi diedi il tocco finale. Mi tagliai il dito con un punteruolo, che mi ero portata dietro, e lo versai sulla scatola.
Si illuminò qualche secondo, poi tornò normale.
Decisi di rimpicciolirla di nuovo, forse così sarebbe anche passata inosservata.
Feci di nuovo l'incantesimo e, una volta tornata piccola, la misi in un cofanetto con il lucchetto.
Misi tutto nel cassetto, chiusi il doppio fondo e tolsi la sedia da lì vicino.
Ecco come nascondere una storia mai raccontata.
Notai che si era fatto tardi.
Uscii dalla stanza e tornai nei sotterranei.
Scorpius era sul divano, davanti al fuoco.
Alzò la testa di scatto e mi guardò. «Come stai?», chiese.
«Mi hai vista qualche ora fa.», gli feci notare.
«Sì, e non stavi per niente bene, quando me ne sono andato.».
Mi incupii.
«Sto bene.».
«Stai bene davvero?»,
«Sto meglio.».
Mi sedetti accanto a lui.
Stava bevendo una burrobirra. «Posso?», chiesi, indicando la bottiglia.
«Certo, Rossa.».
Continuava ad infierire chiamandomi rossa.
Me la passò.
Buttai giù tutto d'un fiato.
Era strana, ma buona.
Non avevo mai bevuto una burrobirra così.
«È diversa.», dissi.
«È al gusto menta e limone.».
«Che strana combinazione.»
«Non ti piace?».
«È buona.», risposi.
Non so quanto restammo su quel divano, so solo che ad un certo punto mi sentii sollevare.
Aprii gli occhi di scatto e mi accorsi di essermi addormentata.
«Che cosa stai facendo?», sussurrai. con voce impastata dal sonno.
«Ti sei addormentata. Ti porto a letto.».
«Non puoi salire in camera mia.».
«Tu dici?», disse, poi iniziò a salire normalmente le scale verso il dormitorio femminile.
«Come hai fatto?».
«Ti sei dimenticata che sono salito già altre volte?».
«No, ma pensavo che, come i Grifondoro, voi saliste usando la scopa.».
«No, abbiamo fatto un incantesimo alle scale anni fa, ormai non riconoscono più i ragazzi.», spiegò.
«Capito.», dissi flebilmente, stavo quasi per riaddormentarmi.
«Sei più là che qua.», disse, sorridendo.
Mugnai.
«Scorpius.».
«Sì?».
«Le mie compagne saranno sicuramente in camera.».
«E allora?».
«Allora, se mi vedono arrivare in braccio a te, poi pensano male.».
«Non importa.».
«Ma..».
«Rose, fregatene di loro. Sono solo delle galline.».
«Ma sono tue amiche.».
«Non sono mie amiche. O meglio lo sono, ma solo perché due di loro sono le sorelle dei miei migliori amici. E l'altra è un'amica di famiglia.
Poi, quest'anno le cose sono cambiate.».
«Perché sono cambiate?».
«Perché ci sei tu.».
«Io?».
«Si, tu. Sai, di solito io non sono abituato a parlare con le ragazze.
Con loro c'è solo attrazione fisica, ma credo di non avere mai avuto una conversazione con nessuna.
Non mi interessano le parole.».
«Lo so che non sei un tipo da parole.». «Però con quelle tre ci parlavo, o meglio, le ascoltavo. I loro discorsi ed il loro modo di pensare è così superficiale. Sono vuote.».
«E cosa c'entro io?».
«Tu sei diversa da loro. Parli di cose interessanti, vedi tutto in un'ottica diversa. Tu sei piena.».
«Ce ne sono tante come me.», dissi.
Ed era vero, non avevo niente di speciale.
«Sì, ma io vedo solamente in te queste cose.».
«Forse allora dovresti parlare con altre ragazze.».
«Non mi interessa farlo.», rispose. Ormai eravamo arrivati di fronte alla porta della mia stanza.
Eravamo anche molto vicini.
Si avvicinò impercettibilmente, sfiorando le mie labbra.
Mi aspettavo un bacio.
Volevo un bacio, era inutile negarlo. Mi accarezzò i capelli e chiuse gli occhi.
Restò così vicino per qualche secondo, poi sospirò e si staccò.
L'aveva fatto di nuovo, ma quella volta era diverso.
Non l'avevo fatto con malizia, anzi. Avevo visto qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che l'aveva fatto esitare.
Però non riuscii ad interpretare quel qualcosa.
«Ti lascio qui, allora.», disse, facendomi scendere.
«Sì.», risposi.
Si avvicinò, mi diede un bacio in fronte, poi se ne andò.
Senza voltarsi.

•||Dirty love.||•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora