Prologo

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  Nevicava.
Enormi fiocchi di neve biancastri cadevano vorticando follemente nell'aria grigia per poi depositarsi con infinito languore su di una lastricata strada della periferia londinese. Il freddo artico di Dicembre aveva reso le vie antiquate sculture di ghiaccio che la candida neve aveva ricoperto fino all'inverosimile. Strati e strati di prismatici fiocchi che, come spesse trapunte ghiacciate , coprivano di grazioso freddo quell'umida città.
Mail camminava lentamente in quella giungla gelata lasciando, con la lunga sciarpa color porpora, una profonda scia di oscuro vuoto che le nuvole grigie sopra di lui provvedevano immediatamente a ricoprire di nuove lacrime di neve.
Tirò su rumorosamente col naso e strinse i pugni intirizziti dal freddo per evitare di piangere ancora, erano ore ormai che camminava solo per le gelide strade di quella città apparentemente deserta e una parte di lui mugugnò che non avrebbe resistito a lungo.
Come se il copro avesse udito quel muto capriccio, le gambe gli cedettero improvvisamente facendolo precipitare di faccia nella neve, dove rimase immobile senza riuscire nemmeno a pensare.
Non seppe quanto tempo dopo una mano calda lo sollevò dal ghiaccio nevoso e iniziò a riscaldarlo con pacche dolci e quasi amorevoli per poi coprirlo con pesante cappotto e, presolo delicatamente in braccio, iniziare lentamente a camminare.
Per dove?
Mail non poté chiederlo perché quel tiepido calore gli posò le proprie fragili dite sulle sue palpebre gelide chiudendogliele per poi avvolgersi attorno alla propria fragile coscienza e trascinarlo con sé nello splendido mondo del sonno.
****

La prima cosa che i suoi finalmente caldi sensi percepirono fu l'infinita morbidezza di dolci coltri che gli coprivano interamente il corpo non più gelido.
Aprì gli occhi di scatto e pareti color ciambella gli apparvero improvvisamente dinanzi agli occhi facendogli gorgogliare rumorosamente lo stomaco.
- Ecco la tua colazione.
Un colosso un po' in avanti con gli anni e un paio di vistosi baffoni bianchi gli sorrise da dietro un paio di occhialetti in metallo sottile per poi posare con assurda dolcezza un vassoio in legno chiaro pieno di leccornie sul basso comodino scuro che affiancava il letto su cui era stato disteso.
- Chi cavolo sei tu?- chiese di getto aggrottando le sopracciglia rossicce in un espressione a metà fra il curioso e il circospetto, chi diamine era quell'uomo, che voleva da lui e dove diavolo lo aveva portato?
L'omaccione si sedette ai piedi dell'elegante letto in legno e guardandolo di sottecchi affermò:" C'è qualcosa che desidero dirti, Mail Jeevas."

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