Colpevole consapevolezza

430 39 0
                                    


 Il mattutino cielo azzurro brillava incredibilmente terso e  privo di imperfezioni, così che l'intera volta dava la lucente impressione che un benigno demiurgo l'avesse drappeggiata di eleganti e raffinatissimi stralci di pura seta.
Nugoli scuri di rondini cinguettanti si alzavano aggraziatamente in volo dai secolari arbusti che torreggiavano nel modesto giardino, solcando quel delicato ricamo celeste con la felice libertà che solo i volatili possiedono.
A Mihael avrebbe fatto infinitamente piacere seguire l'eterno volo di quei cupi uccelli lungo gli scuri tetti della Londra uggiosa che si distendeva pigramente appena fuori le pesanti cancellate dell'istituto, ma, in quel momento, un paio di pesanti tende color avorio gli vietavano crudelmente una tale paradisiaca vista.
- Ti rendi conto, vero, che hai comunque fatto una cosa terribile?
Si voltò, lentamente, cercando di mettere in quell'unico gesto tutto il fastidioso dolore che, ormai da giorni, gli graffiava incessantemente la schiena con i propri affilati artigli di ferro e fuoco.
- So bene che Mail ti ha insultato ma...
Il resto della frase però si perse nella pesante aria circostante dissolvendosi in minuscoli atomi insignificanti di cui nemmeno un quark giunse alle ovattate orecchie di Mihael.
Alla fine Roger ci aveva creduto.
Che la colpa della piccola rissa era in gran parte imputabile al rosso.
In teoria avrebbe dovuto esserne contento.
Sarebbe toccato al pomodoro scontare, senza possibilità alcuna di riduzione o trattazione, un intero mese di dura punizione ,mentre a lui sarebbe toccata una sola settimana.
Era perfetto, in effetti.
E allora perché qualcosa in lui continuava a strillargli senza posa che avrebbe dovuto essere il contrario?
Perché un prepotente senso di profonda ingiustizia non accennava a voler lasciare la presa sulla propria sino ad allora insensibile coscienza?
Perché si sentiva in colpa?
Un brivido gli corse rapido lungo la schiena gelida mentre un assurdo timore gli si insinuava malignamente tra le innumerevoli pieghe del suo cuore di ghiaccio arrivando sapientemente a scheggiarlo.
E se avesse iniziato a tenere a quel rosso?
No.
Era semplicemente impossibile.
Lui non teneva a nessun'altro che non fosse se stesso.
Il rosso non poteva significare qualcosa per lui.
Non doveva.
- Dovrai prestare aiuto alla mensa per una settimana, chiaro?
- Chiaro.
La propria voce stranamente atona e incurante fece notevolmente accigliare Roger che lo studiò da dietro i suoi scuri occhiali metallici con rinnovato rimprovero e, con una tonalità caustica che Mihael non gli aveva mai sentito usare, aggiunse:" Inoltre ti è proibito incontrarlo."
Gelo.
Totale e assoluto.
Come un iceberg intimamente ghiacciato che improvvisamente esplode con violenza in un potente getto di acqua infinitamente gelata, la frase appena pronunciata da Roger gli piombò prepotentemente addosso minacciando di schiacciarlo con un solo crudele gesto.
- C-cosa?- boccheggiò ansante mentre un'inaspettata ira travolgeva gli  argini della sua fredda razionalità per invadergli l'anima a guisa di un burrascoso uragano.
- Hai compreso alla perfezione.- il vecchio istitutore congiunse severamente le braccia continuando a guardarlo con dura ira. - Non vogliamo altri incidenti di questo genere.
Non ci poteva credere.
In un istante gli parve d'esser tornato infinitamente indietro nel tempo, ai propri primi anni in quell'orfanotrofio, quando Roger, nel goffo tentativo di gestire il suo carattere pericolosamente esplosivo, non faceva che porgli caustici divieti senza comprendere che, in questa maniera, alimentava ancora di più la sua sete di caos e anzi gli donava una ragione in più per compiere le proprie infantili malefatte.
Era stato il mantra della propria tenera infanzia.
Più categoricamente era proibito, più ci si doveva impegnare per farlo.
E questa volta non sarà diverso. – sibilò con voce sottile ma profondamente malvagia la parte maligna di lui che, da qualche tempo a quella parte, giaceva assopita sul fondo spinoso della sua anima in attesa dell'occasione giusta per tornare a causare guai.
- Perfetto
Voce alta, sicura e decisa.
Roger gli dedicò un intenso sguardo di sottecchi, sospettoso più di quanto non lo fosse stato fino ad un secondo prima, ma Mihael non gli diede un singolo istante per indagare sul proprio repentino cambio improvviso di atteggiamento.
Semplicemente, prima che l'anziano istitutore potesse anche solo meditare di complicargli ulteriormente quel periodo già propriamente burrascoso, si alzò dalla pesante sedia in pelle scura per poi abbandonare rapidamente l'ufficio senza voltarsi.
L'antiquata porta in legno si chiuse con un tonfo tombale alle sue spalle rigide ma in quel momento neanche un poderoso colpo di cannone sarebbe riuscito a destarlo dall'abissale trance in cui era precipitato.
Quell'immagine lo tormentava.
Mail, accasciato sul pavimento, quasi privo di sensi che continuava strenuamente ad addossarsi la colpa con una fedeltà di un'assolutezza così zelante che sembrava dovesse ricompensare Mihael di avergli salvato la vita o per un miracolo simile.
E poi i suoi occhi.
I suoi splendidi occhi di puro smeraldo lucente che lo fissavano per pochi, intensi istanti prima di essere celati dalle palpebre in un esausto moto incosciente.

Scalpiccio, voci allegre e il biondo si riebbe di colpo.
Doveva parlare con Mail.
Capire, domandargli perché diavolo si fosse fatto prendere a pugni senza fiatare e soprattutto per quale dannato motivo lo aveva coperto anche con la scontata prospettiva di una colossale punizione e, in particolar modo, quando avrebbe dovuto avere ben di meglio a cui pensare dal momento che, proprio in quegli istanti, era in evidente procinto di svenire.
Organizzò tutto con cura.
Passò, come Roger gli aveva severamente imposto, il proprio primo turno nelle cucine a lavare le montagne di piatti accumulatesi durante il pranzo, ma non con il contrito contegno che ci si aspettava dovesse avere un ragazzo pentito della birichinata compiuta.
Perché lui non aveva proprio nulla di cui pentirsi.
Non, però, perché non si vergognava del gesto fatto ma perché quella colpa, che lui avrebbe dovuto sentire e per cui avrebbe dovuto scontare quel castigo, se le era caricata in spalla, contro la sua volontà stavolta, qualcun altro.
La smania lo aveva tormentato per tutto il pomeriggio e lui non si era preoccupato affatto di trattenerla.
Aveva strepitato per tutta la durata del suo turno lamentandosi a gran voce, come suo solito, per l'ingiustizia della punizione fino a che l'addetta alla mensa, esasperata dalle sue asfissianti proteste, non lo aveva letteralmente cacciato dalle cucine.
Tutto come aveva previsto.
Ghignando sommessamente se l'era filata da quel buco infernale di cucina per poi lanciarsi di corsa contro i corridoi, a quell'ora ormai deserti, per raggiungere la tanto agognata infermeria prima che venisse chiusa per la notte.
I muscoli delle gambe si lamentavano con dolorosa veemenza per lo sforzo a cui li stava sottoponendo ma Mihael li ignorò bellamente.
Aveva un obbiettivo e non sarebbero state le sue gambe a fermarlo.
Le candide porte dell'infermeria gli apparvero dopo pochi minuti di folle corsa e, concedendosi appena pochi istanti per prendere fiato, si infilò silenziosamente nell'enorme salone archi voltato.
I raggi rossastri del sole morente trafiggevano le enormi vetrate istoriate inondando i letti candidi di mille colori brillanti ma aveva troppa fretta per mettersi ad ammirare quegli splendidi giochi di luce.
Dopo un rapido sguardo attorno individuò un lettino più in disparte rispetto all'entrata e, senza pensare minimante agli infiniti strati di polvere che avrebbe potuto incontrare, ci si infilò sotto ad attendere che la notte scendesse a coprire il proprio deciso atto di disobbedienza.
Il tempo parve scorrere infinitamente lento in quel bugigattolo in penombra ma finalmente, quando ormai la pazienza di Mihael era quasi giunta agli sgoccioli, scese la bramata oscurità e l'infermiera decise, con sua infinitamente sollevata gioia, di andarsene a letto.
Il campo era infine sgombro.
Un sospiro e il biondo forzò aggressivamente i propri muscoli intorpiditi a risvegliarsi e muoversi per uscire dal proprio poco fantasioso ma efficace nascondiglio.
Totalmente al buio e senza la consueta presenza rinfrancante della propria allegra addetta, l'infermeria sembrava un luogo molto più cupo e soffocante di quanto non apparisse normalmente, ma Mihael non sentì alcun fremito di paura fargli tremare le vene.
Era abituato al buio e anzi, nel proseguo dei propri anni, aveva avuto modo di preferirlo di gran lunga all'accecante luce del giorno.
L'oscurità lo faceva sentire protetto e assurdamente invincibile.
Altro che la stupida paura dei suoi coetanei.

Mi fa più timore quello che potrei provare per Mail... gli scappò pensato prima che potesse impedirselo.
Scosse la testa, lui non provava proprio nulla per quello stupido rosso, e se era arrivato sino a lì era solo ed esclusivamente per concludere quella faccenda una volta per tutte in modo da potersene dimenticare in santa pace.
E a proposito di quel pomodoro, dove diavolo è?
Lasciò scorrere il proprio attento sguardo sui letti vuoti che lo circondavano, ma la tenue luce della luna aiutava ben poco i suoi occhi ciechi, così iniziò cautamente ad incamminarsi lungo quell'ampia sala spettrale,  raccolto in un profondo silenzio.
Un tranquillo ronfare regolare catturò immediatamente l'attenzione delle sue orecchie spasmodicamente tese e, preso nuovamente dalla famelica smania che in quei giorni lo aveva pedantemente provocato, si diresse subito verso la fonte di quel rumore così buffo con il cuore che andava lentamente accelerando i propri battiti.
Disteso in maniera scomposta tra le lenzuola caoticamente stropicciate e con un espressione di infantile fastidio dipinta sul volto perfettamente ovale dormiva profondamente il per lui incomprensibile rosso.
Mihael allungò una mano con la vendicativa intenzione di affibbiargli uno scossone per svegliarlo ma un improvviso raggio lunare inondò il letto completamente disfatto bloccandogli la mano a mezz'aria.
Le lucenti mani argentate della Luna accarezzavano dolcemente il volto addormentato di Mail mettendone piacevolmente in risalto i punti che già, con la loro spontanea bellezza, avevano attirato la perspicace attenzione di Mihael.
Le lievi efelidi di un leggerissimo porpora gli solcavano le guance magre rendendole di un allegro cinabro sbiadito e giocavano felicemente a nascondersi sotto le candide bende che gli coprivano premurosamente la piccola altura del naso.
I capelli di autentico rame fuso erano sparsi sul cuscino bianco in maniera assolutamente disordinata tanto da sembrare un'insensata mano di vernice purpurea, insano prodotto di una crisi di follia di un pittore all'apice della propria pazzia artistica.
Il volto roseo di fresco riposo era contratto in un espressione di lieve fastidio che rendeva la sua bocca sottile un'onda rossastra di un mare increspato e be' Mihael lo trovò... carino...
Come?
Il biondo ritrasse la mano di botto e indietreggiò rapidamente.
Forse avrebbe dovuto dar retta a Roger per una volta.
Smettere di vedere Mail, allontanarsi da lui finché era in tempo.
Ma in tempo per cosa?
Per non farsi coinvolgere nuovamente in un altro affetto che gli avrebbe sicuramente portato ancora atroce dolore?
Istintivamente Mihael scosse la testa.
Questa volta, si disse con falsa sicurezza, non avrebbe corso rischi.
Perché in fondo, continuò a mentirsi con sapiente convinzione, non provava nessun tipo di affetto per il rosso, giusto?
E senza aspettare una risposta che molto probabilmente non gli sarebbe piaciuta proprio per niente allungò nuovamente la mano e cominciò a scuoterlo per svegliarlo.


A Wammy's love storyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora