Occhi di smeraldo e...

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 La finestra causticamente serrata gemette di un lamento lungo e sommesso quando l'ennesima crudele sferzata dell'impetuoso vento mattutino ne colpì con violenta aggressività le antiquate imposte in legno.

- E sta zitta!- imprecò non propriamente a mezza voce lanciando contro quel fastidioso infisso il cuscino abbandonato diagonalmente sul letto sfatto. L'impalcatura legnosa si lagnò nuovamente facendo acuire il suo già prepotente nervosismo che, oramai da alcuni giorni, gli faceva solerte compagnia. Maledetta verifica di storia... pensò, lanciando uno sguardo disgustato verso la pila di libri che giaceva in maniera scomposta sulla superficie liscia della scrivania ingombrandola con la loro pesante mole.

Chissà se quel rosso ha già finito di studiarli... si chiese involontariamente per poi rabbuiarsene con profonda amarezza e una classica buona dose di ira.
Dopotutto che cavolo gliene fregava di cosa faceva quel maledetto, stupido rosso i cui occhi di smeraldo e innocente gioia sembrava volergli abbracciare l'anima con un unico dolce sguardo?
- Ah!- urlò lacerandosi la gola per poi scagliare istintivamente un pugno rabbioso contro la malandata anta dell'armadio alle proprie spalle.
Continuava a pensarlo.
Nonostante tutti i propri insistenti sforzi per cacciarlo a calci fuori dalla propria  mente turbata, quel ragazzino dai capelli di rame fuso tornava ingannevolmente a monopolizzargli pensiero e... cuore.
E' perché l'ho incontrato fino a nausearmi! – si era detto con imperiosa decisione per tentare di arginare quella cascata di lui che minacciava di trascinarlo sul proprio fondo di smeraldi.
Ed effettivamente era stato così.
La prima volta che i propri occhi si erano nuovamente incrociati, dopo il minuscolo incidente in aula, era avvenuta a mensa.
Era seduto in quell'odiosa sala pregna dell'odore di cibi precotti, e le addette ai pasti sapevano solo cos'altro, intento ad esorcizzare la noia, che ormai da anni scavava infaticabile un lungo tunnel buio all'interno della sua anima gelida,  intento a cercare la propria vittima quotidiana.
Quella mattina sarebbe toccato ad un insulso biondino che gli aveva coraggiosamente fregato il posto, quello che ormai era il suo banco da quattro anni, durante l'ora di logica senza nemmeno aver l'audacia di guardarlo negli occhi.
D'altra parte non poteva biasimarlo, nessuno osava guardarlo negli occhi.
La gelida furia che essi sprigionavano metteva a dura prova persino la ieratica calma degli istitutori che faticavano ad ignorarli con contegno.
E quella mattina stava appunto facendo vagare il proprio sguardo assassino lungo la sala quando, improvvisamente li aveva incontrati.
I suoi occhi verdi.
Occhi di smeraldo e, quel giorno, puro e imbarazzato stupore.
Il primo impulso era stato distogliere immediatamente lo sguardo da quel viso acceso di una bellezza così dolce e ignorarlo sfacciatamente ma quelle reti di giada seppero circuirlo con eccessiva facilità.
Il proprio feroce orgoglio, che tanto spesso lo aveva salvato da fare cose indegne e stupide, era caduto in un vergognoso oblio quando i propri occhi gli dipinsero sul cuore la dolce immagine delle goti del rosso che andavano tingendosi di un imbarazzato rossore.
Era rimasto immobile come un insulso ciocco di legno a osservare ogni dettaglio di quel viso spruzzato di efelidi che la lontananza fra loro gli permetteva di scorgere, con il cuore che saltava i battiti come un acrobata impazzito con un emozione a tal punto crescente che minacciava di far arrossire anche lui.
- Mihael.
Una voce cupa dalla tonalità quasi grottesca ma aggressivamente atona era improvvisamente precipitata nel regno paradisiaco del loro scambio di sguardi disintegrandolo in milioni di dolorose schegge smeraldine.
Si era voltato lentamente lasciando che ogni suo gesto comunicasse autentica ira, ma quando scorse chi aveva avuto l'ardire di disturbarlo fece fatica a mantenere il solito contegno gelido.
Il suo più odioso compagno di lezioni, colui che era l'unico in tutta la Wammy's in grado di tenergli testa a intelletto, quell'esecrabile bamboccio di Nate River gli stava davanti con la schiena leggermente curvata, come suo solito, e un ghigno malvagio vagamente accennato sulle labbra pallide.
Lo aveva sentito distintamente.
Il calore che gli abbandonava repentinamente il volto facendolo impallidire e una scossa di quei sudori freddi che solitamente faceva provare alle proprie vittime.
- Non ho tempo da perdere con te!- aveva affermato tutto d'un fiato con voce altera prima di voltargli le spalle di scatto e fuggire da quella sala maledetta sforzandosi di mantenere un passo costante e tranquillo.
Mai e poi mai avrebbe voluto mostrare la minima debolezza, soprattutto non davanti al proprio eterno rivale, e quello che aveva appena fatto a mensa tradiva perfettamente questo suo comandamento.
Doveva smettere di guardare quel ragazzo, persino di provare a pensarlo.
Il rosso doveva essere cancellato, eliminato o avrebbe fornito a quel nano di Nate un altro asso per la sua manica del pigiama che tanto abitualmente indossava.
Un moto di stizza misto a ira e l'intonaco chiaro del corridoio aveva tremato pericolosamente minacciando di staccarsi e cadergli vendicativamente in testa.
- Diavolo!- aveva bisbigliato tra sé e sé riprendendo a camminare nel tentativo di sfogare quella furia cieca che sentiva montargli dentro a dismisura.
Aveva vagato a vuoto per tutto il primo pomeriggio percorrendo alla cieca i pavimenti insensibili dell'istituto con la mente sempre più alla deriva.
Pensava a Nate, a quel ghigno malefico che gli aveva visto dipingersi sul volto scarno, quella smorfia odiosa che sembrava dirgli che il nano aveva compreso ciò che lui già celava dentro il suo cuore di lapislazzuli e anche qualcosa che ancora lui non voleva né sapeva capire.
A quel punto non aveva potuto impedire ad un lungo sospiro rabbioso di sfuggirgli fra le labbra ma quando aveva svoltato il corridoio, deciso a tornarsene in camera e porre finalmente fine a quell'orrida giornata, il suo piede era incappato nuovamente nel laccio ironico del destino.
Un raggio di sole morente gli aveva colpito la fronte e, desideroso di abbracciare lo spettacolo di fuoco che quel tiepido calore sembrava promettergli, aveva alzato lo sguardo.
Il rosso che lo aspettava davanti alla finestra non era però quello dell'astro morente ma il rame fuso dei capelli di quel giovane con quell'assurdo maglioncino a righe.
In quel momento era stato panico e nervosismo, immenso nervosismo.
Gli occhi di smeraldo e imbarazzo si erano accesi di una nuova, stupefacente luce quando un sorriso incerto si era inaspettatamente affacciato all'angolo di quelle due onde di carnoso cinabro e lui si ritrovò intontito da un rapidissimo batticuore.
La paura di quei sentimenti, che già ticchettavano con prepotenza sullo spesso ghiaccio che ricopriva la propria anima, giunse più velocemente dell'incerta felicità di averlo rivisto e così, dopo un'istintiva occhiata di puro veleno, gli aveva voltato le spalle troncando il suo goffo tentativo di saluto.
Darsi alla fuga.
Ecco cosa aveva appena fatto.
Come un vile, stupido codardo era scappato da quel ragazzino come un bambinetto imberbe.
Lui, Mihael Keehl, che non aveva timore nemmeno degli istitutori, se le era data a gambe davanti a uno stupido ragazzo qualunque.
Non poteva perdonarselo.
Per questa ragione aveva preso la ragionevole decisione di affrontare la situazione una volta per tutte, per esorcizzare in maniera definitiva tutte quelle insulse paure che gli pizzicavano l'ego.
E quella domenica mattina era perfetta per lo scopo.
Ora, in piedi davanti alla sottile lamina riflettente precariamente attaccata all'anta semi rotta del suo armadio, si sistemò il corpetto di pelle, che tante occhiatacce gli aveva fruttato dagli insegnanti, e uscì chiudendosi con forza l'uscio dietro le spalle diritte.
I corridoi a quell'ora di domenica erano praticamente deserti ma il biondo mantenne comunque la propria arrogante aria di gelida sicurezza e si diresse verso la camera del rosso.
Giunto sulla  soglia osservò ,ghignando beffardamente, la propria ombra profilarsi minacciosa sul muro alle sue spalle e, dopo una rilassata scrollata di spalle, bussò.
Dall'interno si udirono variegati rumori indistinti, che fecero accelerare gradualmente i battiti del suo cuore già su di giri, e, dopo alcuni asfissianti minuti, il rosso comparve sulla porta con un espressione a metà fra il seccato e il nervoso al cui fascino oppose una strenua resistenza.
Batté lo stivale sul marmo candido del corridoio nel tentativo di risvegliare la propria lucidità e, soffocato ogni altro istinto che non fosse quello di mettere fine a tutta quella stupidata, alzò sul rosso un ghigno aggressivo e pericolosamente canzonatorio.
Il giovane gli sbiancò letteralmente davanti agli occhi nutrendo il suo ego già sul piede di guerra di una nuova, notevole furia.
L'avrebbe fatto nero.  

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