Seconda parte

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Erano giorni che in casa c'era una strana agitazione, mio padre e i miei fratelli andavano spesso a casa di Don Salvatore con una frequenza insolita. Mia madre dal canto suo aveva dato ordine alle domestiche di fare una meticolosa pulizia nonostante non ce ne fosse bisogno. Camminava a passo svelto con una frenesia che mi insospettì, finché un pomeriggio presi coraggio e le chiesi cosa stesse succedendo.

"Mamma, cosa bolle in pentola?"

"Nente sacciu."

Non mi stupii affatto della sua risposta secca, la sua omertà mi infastidiva anche se avevo sempre sperato di ottenere da lei una risposta diversa, ma anche in quell'occasione il suo "nente sacciu" era la sua chiara incapacità di avere con me un legame non solo materno ma anche umano. Mi girai senza darle più importanza e me ne tornai in camera per leggere un libro. Solo un'ora più tardi mi venne un'idea, ovvero andare dalla signora Carmela. Passai accanto a mia madre e le dissi senza guardarla in faccia dove stavo andando. Sentii il suo sguardo addosso avvertendo che avrebbe voluto ribattere, ma non disse nulla. Già da tempo aveva capito che tra me e la sua amica di infanzia, sicuramente molto più emancipata di lei, si era instaurata un'amicizia e una confidenza che le dava fastidio, ma mai mi rimproverò, forse perché in fondo al cuore sapeva che mi avrebbe aiutata come lei non avrebbe mai saputo fare.

La strada che mi separava dalla grande tenuta dei Basile distava circa cinquecento metri e la percorsi a passo svelto temendo di incontrare i miei fratelli o mio padre che mi avrebbe sicuramente fatto una scenata per essermi incamminata da sola senza mia madre. Più volte l'avevo fatto ma nessun rimprovero mi era mai arrivato; il paese era piccolo e sicuramente gli occhi nascosti dietro quelle brutte persiane di legno logorato avrebbero poi riferito, con silenziosi bisbigli all'orecchio di mio padre che me ne andavo in giro da sola, trovando la cosa sconveniente per una "carusa bedda" come me. Non mi importava delle chiacchiere, un conto era una cosa riportata, un conto era farmi vedere in strada da sola direttamente da mio padre, ero sempre stata prudente, la mia condotta era impeccabile agli occhi della mia famiglia e nonostante il mio carattere forte e ribelle nulla mi mancava in casa e non avevo mai avuto bisogno di imporre una posizione che sapevo non avrei mai avuto, ma qualcosa stava accadendo e cocciuta più di un mulo mi misi in testa di scoprirlo. Giunta davanti il maestoso cancello gli uomini al servizio di Don Salvatore mi salutarono abbassando appena il capo senza dirmi nulla. Entrai a passo deciso ma con la paura ancora nel cuore di incrociare i mie carcerieri e mi sentii al sicuro solo una volta entrata in casa. La cameriera per prima mi vide e le dissi che dovevo vedere la Sig. Carmela per una cosa importante, e appena rimasi sola attesi davanti alla porta finestra dell' enorme salone disperdendo il mio sguardo all'esterno, ferma, immobile con la mia determinazione.

"Sta aspettando qualcuno?"

Mi voltai di scatto colta di sorpresa da una giovane voce maschile. Fu quello il momento che più ricordo, l'istante esatto in cui i nostri occhi si incrociarono, l'inizio di tutto, nel bene e nel male. Non dissi nulla, impietrita dalla virile bellezza di quel ragazzo che mi trovai di fronte, e la cosa che più mi colpì fu l'espressione mutarsi sul suo viso, da severa con le sopracciglia aggrottate si tramutò, ammorbidendosi come se fosse piacevolmente stupito o meravigliato, e le sue labbra si schiusero aumentando l'intensità del suo sguardo su di me. Quegli occhi grandi, neri che mi divorarono mettendomi in imbarazzo privandomi anche della forza di pronunciare una sola parola. Rimasi muta e mi lasciai guardare mentre lentamente percorreva il mio corpo abbassando lo sguardo dall'alto in basso per poi risalire. Un gioco d'astuzia il suo, con una povera pecorella innocente quale ero io allora. Fu come essere spogliata, mi sentii nuda, privata di ogni sicurezza, ma mi piacque a tal punto da sentire uno strano calore esplodermi tra le cosce, la mia fica pulsò e la sensazione che provai mi fece vergognare facendo arrossire le mie guance. Lui se ne accorse e mi sorrise, beffardo e vittorioso dell'effetto che aveva causato. Abbassai lo sguardo ormai a disagio, nonostante i miei ventitre anni ero ancora molto ingenua e seppur molti mi guardavano con occhi avidi capendo le loro sconce intenzioni, io non avevo mai subìto il fascino dell'altro sesso così prepotentemente.

"Sto aspettando la signora Carmela."

La voce mi uscì appena, un po' rauca dovuta alla gola che sentii secca, quasi bruciarmi. Mi leccai le labbra con la punta della lingua e vidi i suoi occhi incendiarsi. Che stupida che ero a non capire che quel gesto innocente era carico di una lussuria da consumare ogni animo. L'aria che si respirava in quella stanza divenne impregnata di voglie inespresse che oggi al solo pensarci mi fa ancora vibrare.

"Sei una nuova cameriera? Sei qui per chiedere lavoro?"

"No..."

"Che cameriera Giulio!"

La voce divertita della signora Carmela mi salvò da quell'assalto. Era entrata nel salone chissà da quanto tempo e forse si stava gustando la scena in silenzio. Mi girai e confortata dai suoi occhi lucenti le sorrisi.

"E' a figghia di Don Riccardo, a ricanusci?"

"No era picciridda, ora si fici granni, è una bedda picciotta".

Che faccia da schiaffi aveva Giulio, ma era così bella che gli sorrisi non curandomi del fatto che mi stava volutamente mettendo ancora in imbarazzo davanti a sua madre.

"Chiara, questo è Giulio, nostro figlio più grande, uomo si è fatto."

Era orgogliosa di lui, dei sacrifici che aveva fatto, non solo economici; mandarlo a studiare a Roma, in una grande città le era costato, ma sapeva che gli avrebbe dato una grande opportunità per essere un uomo migliore, sotto ogni punto di vista. Lo invidiai e in quel momento avrei voluto essere un uomo anche se i miei fratelli testoni non avevano mai sentito l'esigenza di staccarsi dalle loro origini e da quella mentalità così penalizzante, avevano preferito crescere come muli dietro a nostro padre per essere esattamente ignoranti come lui.

"Vieni Chiara, andiamo a prenderci qualcosa di fresco, comincia a fare caldo."

La seguii senza dire nulla e mentre mi allontanavo Giulio non mi staccò gli occhi di dosso, mi osservava andare via con stampato sulle labbra il suo sorrisetto da stronzo. Era bello, il ragazzo più bello che avevo visto in vita mia, anche se ricordavo appena il suo viso di quando era più piccolo, forse perché all'epoca ci frequentavamo appena e la nostra differenza di età e di sesso non permetteva nessun contatto. Gli abbozzai un sorriso anche io in segno di saluto senza dirgli però null'altro. Fu forse la mia timidezza, il mio rossore, la mia innocenza a colpirlo, a fare di me la sua preda, ma quello fu l'inizio della nostra perdizione perché il mio carattere unito agli eventi che seguirono si riversarono sulle nostre vite cambiandone il corso, disfacendo i progetti di Giulio, ma realizzando i miei.


L'innocenza perdutaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora