Capitolo 10

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"No, questo no, troppo osceno come faccio ad avere vestiti del genere? No." siamo in camera di Eva a trovare qualcosa da indossare per il mio 'appuntamento' con Caleb.

"Perfetto! Ho trovato i vestiti giusti per te." mi porge una maglietta a dir poco scollata e una gonna anch'essa corta.

"Stai scherzando immagino. Non metterò mai una cosa del genere!" le ridò i vestiti indietro.

"Invece si. È un ordine." spinge i vestiti contro di me.

"Ehm, no." respingo indietro i vestiti,

"Okay, okay, va bene. Allora ti posso truccare?"

Non ci voglio credere, questa ragazza continua ad insistere.

"Eva, ascoltami, apprezzo che tu voglia aiutarmi ma è solo un'uscita nel parco vicino alla scuola, non succederà nulla. Se avrò un'appuntamento tu sarai la prima a saperlo e mi farai da make up artist personale ok?" la calmo mettendola a sedere ai piedi del suo letto.

"Hai ragione, non continuerò ad insistere." sbuffa, "Almeno solo un po' di rossetto e eyeliner?"

"Eva!" scoppio a ridere e lei si unisce.

Quando sei in compagnia di qualcuno con cui stai bene, tutto il male sparisce, il passato si mette in un angolino lontano dalla mia mente.

Ed è questo che voglio, avere una vita e felice.

Niente più problemi, niente più tristezze, niente più delusioni. Niente.

Mi avvicino ad Eva e l'abbraccio.

"Perchè questo abbraccio inaspettato?" chiede lei con un sorriso stampato in faccia.

"Non lo so, forse un po' per tutto." cinge le braccia intorno al mio collo e ricambia l'abbraccio.

Iniziamo a parlare del più e del meno, decidiamo di fare qualche esercizio di algebra ma è inutile, ci sono solo lettere e numeri.

Stufe della matematica, mettiamo la musica e parte Charlie Puth, iniziamo a ballare come pazze e a saltare sul letto.

Il tempo passa così in fretta che non mi accorgo che mancano quindici minuti alle quattro.

Saluto velocemente Eva che mi augura buona fortuna accompagnato da un'occhiolino finale.

Odio essere in ritardo, anche se spesso quella che fa tardi sono sempre io. Velocizzo il passo in modo tale da arrivare in tempo.

Dopo un paio di chilometri arrivo al parco: è molto più grande di quanto pensassi, ci sono alberi sparsi nella lunga distesa di prato, un parco giochi con bambini felici e coppiette che passeggiano tranquillamente.

Caleb non si è ancora fatto vivo, nel frattempo mi siedo su una delle tante panchine ad aspettarlo. Inizio a torturarmi le mani intrecciandole tra di loro, questo è segno che sono in ansia, il fatto che son passati più di dieci minuti mi fa pensare che lo abbia fatto apposta, che era tutta una presa per il culo.

Decido di andarmene, non appena mi alzo il mio sguardo si concentra sul ragazzo che mi sta venendo contro, è lui.

Mi faccio prendere in preda al panico e stropiccio le maniche della mia felpa. Me lo ritrovo davanti.

"Scusami per il ritardo, ma avevo da fare." dice grattandosi la nuca.

"Pensi davvero di scusarti così? Saranno passati almeno venti minuti."

"Venticinque." mi interrompe.

"Ti sembra poco? Sarei potuta andarmene, come stavo per fare."

"Perché non lo hai fatto? Perché non te ne sei andata prima?"

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